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Immagine elaborata con Copilot | DALL·E 3.

Non avrebbe mai pensato di poter vedere, un giorno, il corpo inerte del Commissario disteso sul tavolo di un obitorio.
In qualche modo, attenendosi ai certosini dettami di una pratica nota solo a una ristretta cerchia di esperti di medicina legale, Doc e i suoi assistenti erano riusciti a ricomporre il volto del cadavere in un’espressione che, se non poteva dirsi di serenità, quantomeno rasentava la pacifica accettazione della fine. La maschera che aveva deformato i lineamenti del Commissario – come l’aveva intravista Briganti mentre gli uomini della Scientifica rimuovevano il corpo dalla scena del crimine – non era scomparsa. Ma un lavoro minimo di cosmesi avrebbe nascosto del tutto le ferite sugli occhi, sulle labbra e sulle guance. Il trattamento avrebbe reso il cadavere uno spettacolo accettabile nella teoria funeraria di una camera ardente. Ma adesso, nel seminterrato che era territorio di Lanzi, la vista di quel volto così dissonante richiamò alla mente di Briganti una icona clownesca, un saltimbanco scampato all’olocausto mnemonico della sua infanzia.
Occhi tristi e smorfia sorridente intessevano l’espressione contraddittoria di qualche enigmatico Pulcinella d’avanguardia. Un misto di felicità e sofferenza, di sconforto ed esultanza, conviveva nella maschera, in rottura con la comune accettazione della polarità delle rispettive nature.
Briganti sbatté le palpebre nel vuoto, in un mondo di soli odori. Disinfettanti e composti chimici per i quali non trovava un nome dominavano lo spettro della sua percezione. La parte più antica del suo cervello, quella risalente allo stadio rettile dell’albero evolutivo, decodificò l’informazione olfattiva in una frazione di secondo e lanciò un segnale modulato in frequenza alla superficie continentale del sistema limbico, la struttura caratteristica dei mammiferi che, tra le altre cose, è la sede dell’istinto. Qui il segnale emerse in forma cosciente e Briganti ricordò di trovarsi nel laboratorio di Lanzi.
Quello che restava era davanti a lui: un organismo immobile abbandonato al flusso entropico della decomposizione, che non serbava più alcuna traccia delle doti d’intelletto che ne avevano animato la mente.
Un corpo spento, nel gergo impietoso dei necromanti.
Il Commissario era regredito a uno stadio base, al rango di materia di indagine. Buono, al limite, per gli incubi di un bambino.
Nel silenzio statico del seminterrato, rotto appena dal ronzio dell’impianto di climatizzazione, Briganti s’inerpicò sulla salita della concentrazione. Cacciò da una tasca il suo astuccio argentato e lo posò su un ripiano, accanto a uno dei terminali olografici che attrezzavano il laboratorio. Quindi si tolse l’impermeabile e sganciò la fondina ad armacollo. Dopo aver posato la Typhoon e la sua custodia di cuoio sulla scrivania, passò alla cravatta. Infine si sbottonò il colletto della camicia e si rimboccò le maniche fino ai gomiti. Ogni sua mossa era parte di un rituale studiato in ogni dettaglio e ripetuto allo sfinimento, decine di volte.

Un estratto procedurale da Ricordi proibiti (Delos Digital, 2024).

Ovviamente, non posso fare altro che sperare che i diritti opzionati per la serie di Briganti si traducano in qualcosa di concreto, ma allo stesso tempo non posso ignorare che il mondo della serialità, che più di ogni altro ha cambiato negli ultimi 15-20 anni il modo di concepire, costruire e raccontare storie complesse incentrate su personaggi multidimensionali, ha già iniziato a cambiare nuovamente pelle: la prossima era, in cui già cominciamo a muovere i primi passi, prevede un progressivo abbandono di temi sfidanti e del modello rischioso fondato su temi scomodi o comunque in grado di accendere discussioni (e di tabù Sezione π² e Corpi spenti ne infrangono qualcuno) e su personaggi disfunzionali (come sono quelli intorno a cui ruotano le mie storie), a favore del recupero del vecchio formato confezionato per soddisfare i palati del pubblico più ampio possibile, e per questo basato su trame lineari, se non proprio verticali, necessariamente accessibili, in grado di assicurare il ritorno atteso agli investitori.

Al cinema, in realtà, il vecchio modello non ha mai lasciato molto spazio al nuovo: è stato nella serialità che la sfida è risultata vincente in questi ultimi anni, perché nella serialità si è potuto osare di più, grazie all’audacia di nuovi player alla disperata ricerca di una formula in grado di sovvertire lo status quo della fruizione generalista tradizionale. Il prevalere di fenomeni come il binge watching ha sancito l’esito della scommessa e la scoperta del tanto ambito Sacro Graal dell’intrattenimento continuo, multipiattaforma e dal seguito social: le piattaforme di streaming hanno conquistato quote di mercato sempre più larghe, arrivando a diventare dominanti con un sorpasso epocale portato a termine nel corso del 2022, e hanno potuto fissare gli standard di un modello poco sostenibile ma valido anche per i concorrenti. Lo spiega molto bene questo articolo uscito ieri sul Post e non faccio fatica a crederci.

Le case di produzione (cioè le società che le serie le inventano e poi le realizzano dopo averle proposte a un canale o una piattaforma che accetta di finanziarle) spesso raccontano come gli stessi committenti che prima chiedevano qualcosa di coraggioso oggi vogliano prodotti sicuri e adatti al grande pubblico. Anche i canali che avevano costruito un business intorno all’idea di serie di prestigio sono diventati altro, spinti a seguire economie di scala e a crescere sempre di più, il che significa attirare un pubblico più ampio, cosa per la quale è necessaria una programmazione buona per tutti e quindi con un carattere più vicino alla televisione generalista.

Benché, specialmente in ambito cinematografico, la storia della fantascienza sia scandita da fallimenti di grande successo (o capolavori che si sono rivelati dei flop al botteghino, a seconda di come la si voglia guardare), da Blade Runner a GATTACA, da Strange Days a Blade Runner 2049 (per chiudere il cerchio), era nella serialità che la science fiction, da Battlestar Galactica in poi, sembrava aver trovato una sua dimensione in grado di coniugare il coraggio di un certo approccio sperimentale a produzioni, almeno nelle loro stagioni di esordio, dal budget confrontabile o di poco superiore alle produzioni indipendenti (penso tra le altre a The Man in the High Castle, The Handmaid’s Tale, Love, Death & Robots e alla sfortunata Raised by Wolves o, sul versante della vecchia guardia, a Westworld, The Expanse e Watchmen).

Certo, esistono sempre le eccezioni e, per nominare una serie che non ho ancora citato, magari prima o poi salterà fuori una nuova Stranger Things. Tuttavia, nessuna delle produzioni avviate negli ultimi anni sembra destinata a prenderne il posto (come sottolinea l’articolo citato) e appare sempre meno probabile che la ricerca della prossima Stranger Things sia perseguita dai produttori con la sistematica tenacia che abbiamo visto finora. E questa è un’inevitabile conseguenza del cambio di modello di business che sta prendendo forma.

Mi piacerebbe sbagliarmi. Spesso succede. Magari succederà anche stavolta.

La notizia è ormai della settimana scorsa, ma torneremo a parlarne anche perché ci sono altre novità che stanno maturando dietro le quinte, dove si consuma la gran parte del lavoro di chi scrive: la Fast Film, casa di produzione di recente costituzione (come dimostra il sito ancora in allestimento), ha opzionato i diritti cinematografici, televisivi e audiovisivi di Sezione π² e di Corpi spenti, i due romanzi incentrati sulla figura di Vincenzo Briganti e sui suoi agenti della Sezione Investigativa Speciale di Polizia Psicografica di Napoli.

Si tratta di un traguardo che non potevo nemmeno lontanamente prevedere quanto iniziavo a scrivere questa serie e a cui tanto meno potevo pensare di aspirare, ma alla fine è successo e sono doppiamente felice perché, al di là del risvolto personale, sancisce un interesse da parte di un circuito totalmente estraneo al mondo della fantascienza scritta in Italia per ciò che in questo mondo viene elaborato, prodotto e pubblicato. Un risultato tutt’altro che scontato, chiunque sia direttamente coinvolto, e quale che sia l’opera baciata dalla sorte.

Come sa bene chi bazzica questo mondo da un po’, non è comunque il caso di farsi troppe illusioni. I diritti opzionati che arrivano infine sul grande o sul piccolo schermo sono una piccola frazione delle acquisizioni totali che interessano l’editoria, ma ci sono dei potenziali investitori che hanno colto degli elementi di interesse in Briganti e nei suoi necromanti, e questo per il momento è abbastanza. È un risultato per cui sono grato a Urania e al suo curatore attuale, Franco Forte, a chi ha seguito la trattativa per conto dell’ufficio Movie&Domestic Rights di Mondadori, e naturalmente a Sergio Altieri e Giuseppe Lippi, all’epoca rispettivamente editor e curatore di “Urania”, che hanno creduto al lavoro di un giovane poco più che ventenne al punto da volergli offrire un’opportunità sulle pagine della più antica collana di fantascienza in circolazione. Senza di loro, non saremmo qui a commentare questa per me splendida notizia.

La scorsa primavera, tra le altre cose, mi è capitato di essere ospite di Davide Giordani per il suo podcast Tra il dire e il fare. In quell’occasione ci siamo dilungati sul connettivismo e i suoi rapporti con la fantascienza e l’immaginario, passando in rassegna anche alcuni dei miei lavori.

La registrazione dura circa un’ora e potete ascoltarla sulla pagina ufficiale oppure cliccando direttamente sul badge qui in basso.

Giorno 39 dalla dichiarazione della Zona Rossa Italia. Raggiunti i 172.434 casi totali. 42.727 dimessi, di cui un numero imprecisato di guariti. 22.745 decessi sicuri, ma diverse migliaia di decessi stimati in aggiunta ai dati ufficiali: nelle case di riposo (e qui per la Regione Lombardia le cose iniziano a mettersi male, con buona pace per tutta la campagna propagandistica che ha accompagnato la gestione dell’emergenza, dalle dirette Facebook del suo assessore al Welfare all’ospedale in Fiera) o in isolamento domiciliare.

La curva dei contagi pare stia raggiungendo l’atteso picco, con tre settimane di ritardo rispetto al picco che in molti ci aspettavamo a fine marzo. Oggi il numero totale dei positivi è salito di sole 355 unità a 106.962: l’incremento minore dal 3 marzo, grazie anche al massimo finora raggiunto dal numero di guariti giornalieri (+2.563), ma sono comunque 10mila unità più del picco che prevedevamo solo la scorsa settimana.

Ma ormai su questi numeri l’attenzione si è molto ridotta, sia per le note metodologie già più volte discusse (e riassunte in questi due articoli del Post), sia per l’allentata pressione sul sistema sanitario nazionale, in particolare con una riduzione del tasso di occupazione delle terapie intensive dal 65% di inizio aprile a circa la metà negli ultimi giorni (37%).

Sulla validità, attendibilità, utilità o credibilità dei dati si sono aggiunti negli ultimi giorni questo commento di Francesco Costa e questo post di Luca Sofri che riprende uno studio di alcuni astrofisici che stanno seguendo l’evoluzione statistica dell’epidemia, e che hanno trovato per primi una spiegazione allo strano andamento ondulatorio della discesa del numero di contagi giornalieri: evitando spoiler per rovinarvi il gusto della scoperta, anticipiamo qui che i «picchi» visibili nella prima delle immagini qui sopra sono distanziati di… 7 giorni.

Tutto sommato, che fosse una farsa avevamo iniziato a sospettarlo già dopo la prima settimana di quarantena.

Ma a proposito di farsa guardiamo cosa sta succedendo nel mondo. Ovvero: 2.223.240 casi totali e 152.328 vittime. Gli USA hanno quasi raggiunto 700.000 casi e 37.000 vittime: i nuovi contagi continuano a crescere da giorni al ritmo di 30.000 al giorno, mentre la conta delle vittime ha visto il suo giorno più nero il 14 aprile, con oltre 6.000 decessi in ventiquattro ore. I numeri, come dimostra l’esperienza italiana, non devono trarre in inganno: gli Stati Uniti, fatte le debite proporzioni, si trovano più o meno dove eravamo noi a fine marzo; sono passate tre settimane e i casi sono continuati ad aumentare. Ma Donald Trump tira dritto per la sua strada e, spaventato da scenari economici sempre più foschi che difficilmente ne favorirebbero la rielezione (nell’ultimo mese sono state presentate 22 milioni di richieste per il sussidio di disoccupazione), ha deciso di andare allo scontro aperto con i governatori degli stati guidati dal Partito Democratico. Mentre lui dichiara di aver sospeso i finanziamenti alla World Health Organization, rea a suo dire di una cattiva gestione della crisi (ma in molti hanno riconosciuto nell’annuncio la solita strategia di Trump per sviare l’attenzione dalle sue responsabilità e dai suoi fallimenti), e propone un piano in 3 fasi per rimettere in moto l’economia, il governatore dello stato di New York Andrew Cuomo estende le misure restrittive fino al 14 maggio.

In Spagna i casi sono arrivati a 188.093, con 19.613 vittime. In Francia a 147.969, con 18.681 vittime. Nel Regno Unito 108.692, con 14.576 vittime, ma il 12 aprile il premier Boris Johnson ha lasciato l’ospedale in cui era ricoverato. In Germania, con 139.134 casi confermati, ci sono state appena 4.203 vittime. Il Portogallo si conferma al contrario una felice eccezione nel panorama del Vecchio Continente.

L’epidemia si diffonde anche in Turchia e Russia, inducendo il governo di Ankara a scarcerare 45.000 detenuti a rischio di contagio (ma non i «detenuti politici») e il presidente russo Vladimir Putin a una posizione inaspettatamente defilata nella gestione di una crisi la cui portata potrebbe essere già oggi più grave di quanto denunciano le cifre ufficiali (32.000 casi, meno di 300 vittime…).

Le autorità cinesi hanno rivisto al rialzo il numero di decessi avvenuti a Wuhan a causa della Covid-19: nella città focolaio della pandemia, ci sarebbero stati almeno 1.290 decessi in più rispetto alle stime originariamente diffuse dal governo. Il bilancio delle vittime sale così a 4.632.

La World Trade Organization nei giorni scorsi ha diffuso un rapporto in cui prospetta una contrazione del commercio mondiale compresa tra il 13 e il 32 per cento. Nel secondo semestre del 2020 gli scambi potrebbero ripartire limitando i danni; al contrario, se la crisi dovesse proseguire, si potrebbe avere un risollevamento dell’economia solo a partire dal 2021, con un ritorno al volume di scambi di… dieci anni fa. In entrambi gli scenari, l’impatto della pandemia sembra destinato a dimostrarsi peggiore della crisi del 2008.

Previsioni sul volume degli scambi commerciali mondiali; scenari a confronto con la serie storica (fonte: WTO, via Il Post).

E degli scenari bisognerebbe ricominciare seriamente a parlare anche in Italia. Le stime dell’impatto della crisi per il nostro paese peggiorano di settimana in settimana: se a marzo si parlava di un calo del PIL mediamente intorno al 5%, per il Fondo Monetario Internazionale adesso la crisi si tradurrà in una perdita del 9,1%. Non siamo soli: la Germania perderebbe circa il 7%, l’Eurozona nel suo insieme il 7,5%, gli Stati Uniti il 5,9%. Ma siamo sicuramente tra i più colpiti.

Non a caso l’altro giorno la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, intervenendo all’inizio dei lavori di una sessione plenaria straordinaria del Parlamento Europeo, ha rivolto delle scuse all’Italia per non aver fatto abbastanza nelle battute iniziali della crisi. Mentre sono in discussione le nuove misure per fronteggiare la pandemia e le sue conseguenze economiche, con i paesi europei schierati  tra un fronte più intransigente e uno più favorevole a una maggiore flessibilità, questa autocritica è sembrata un’apertura alle istanze del nostro paese… e, giusto per non smentirsi, poche ore dopo i nostri rappresentanti politici all’Europarlamento, senza distinzioni di schieramento, hanno offerto l’ennesima dimostrazione della grande coerenza e dell’amore che nutrono per il nostro Paese. A riprova del fatto che viviamo tutti in una farsa, non c’è altra spiegazione.

Inevitabilmente anche i tassi di disoccupazione aumenteranno dappertutto: dal 10 al 12,7% in Italia, con l’Eurozona al 10,4%. Mario Draghi, ex presidente della Banca Centrale Europea, ha ribadito che bisognerebbe spendere tutto il necessario per sostenere l’economia dei paesi in crisi durante la pandemia e qualcuno si è spinto a ipotizzare un «reddito di quarantena», che mette i brividi fin dalla definizione. Ma con un pizzico di coraggio in più si potrebbe provare a guardare un po’ oltre il nostro naso.

Si prevedono tempi di enormi stravolgimenti e la situazione è talmente incerta che mai come nelle ultime settimane think tank, comitati e risk office hanno elaborato scenari tanto contrapposti. Senza essercene accorti, invece del picco dei contagi potremmo in effetti esserci messi alle spalle il picco del petrolio (il cosiddetto picco di Hubbert, che prende il nome dal geofisico americano Marion King Hubbert), che diversi studi prevedevano per questo decennio (e alcuni per il 2023), e che invece potrebbe esserci stato nel 2019. En passant, la curva di Hubbert (che altro non è che la derivata della funzione logistica o sigmoidale che sappiamo approssimare bene l’andamento dei casi totali) è proprio la funzione adottata nei modelli usati per descrivere l’andamento dei nuovi contagi giornalieri (l’andamento qui sotto è tratto per esempio dal post del 31 marzo).

Scenario_E2_casi_giornalieri_2020-03-31

Per accelerare la ripresa, paesi come la Cina potrebbero decidere di puntare sulla costruzione di nuove centrali a carbone, vanificando i benefici indirettamente comportati dal lockdown in termini di emissioni inquinanti.

Probabilmente con i settori dell’auto e dei trasporti aerei che riporteranno le perdite più gravi a causa della pandemia (e almeno per il trasporto aereo sembra davvero poco plausibile un rilancio nei prossimi mesi) e con il mercato dell’energia che si accinge ad accelerare i tempi di una transizione epocale, potrebbe essere arrivato il momento per rivedere l’intero modello di business su cui si reggono le nostre società occidentali. Ovviamente è presto per parlare di cambiamenti che potrebbero diventare effettivi solo sul medio-lungo periodo, come per esempio la riprogettazione del settore dell’energia, ma i piani decennali che alcuni paesi hanno già avviato potrebbero venire accelerati. Allo stesso tempo, gli effetti della pandemia potrebbero finire per mostrare anche ai più scettici i vantaggi di un sistema sanitario centralizzato o almeno coordinato centralmente e la necessità di  un piano di assistenza medica gratuita universale. Spingendoci ancora un po’ oltre, allora, con milioni di posti di lavoro che andranno in fumo prima che se ne possano creare di nuovi, probabilmente in settori diversi, è ancora così balzana la prospettiva di un reddito universale di base che non sia la ridicola parodia messa in piedi dal M5S in Italia?

Non lo so, ma sugli scenari torneremo sicuramente nei prossimi giorni. Intanto, una chiosa sull’Italia. Il governatore della Campania Vincenzo De Luca si è detto pronto a chiudere i confini della regione se i suoi colleghi dovessero allentare le misure di sicurezza attualmente previste dal governo, con il rischio di una ripresa dei contagi a livello nazionale. Come qualcuno faceva notare, non è una prospettiva molto distante da qualcosa che capitava nelle pagine di Corpi spenti. La realtà potrebbe solo essere arrivata con quei 40 anni di anticipo, per non farci mancare ancora una volta niente. Nemmeno in tempi di pandemia.

In questa intervista per il ricchissimo numero 204 di Delos, l’ultracentenario direttore Carmine Treanni (che ringrazio) mi strappa alcuni dettagli sui retroscena di Karma City Blues.

Dopo Sezione π² e Corpi spenti mi sarei aspettato il terzo romanzo con protagonista Vincenzo Briganti, e invece mi hai spiazzato (favorevolmente e credo anche i tuoi lettori), scrivendone uno ambientato nello stesso universo, ma con un nuovo principale personaggio. Quali sono i motivi che ti hanno spinto verso questa scelta e che collegamenti ci sono con i due precedenti romanzi?

Anche se l’esordio letterario di Vincenzo Briganti era fin dall’inizio pensato come parte di un possibile racconto seriale, l’universo della Sezione Speciale di Polizia Psicografica di Napoli abbracciava un più ampio orizzonte narrativo ancora prima che Briganti entrasse in scena. Prima di Sezione π² era stata infatti la volta di un fumetto uscito a puntate sulle pagine di Solaris*, un progetto di Cagliostro ePress tanto interessante quanto sfortunato, e come la stessa rivista rimasto incompiuto. C’era tutto un mondo lì fuori che Sezione π² e Corpi spenti mi hanno permesso solo di intravedere di sfuggita, e un romanzo slegato dalla continuity delle indagini dei necromanti poteva aiutarmi ad addentrarmi nei suoi recessi.

I collegamenti con i due romanzi «canonici» non mancano, con alcuni personaggi di contorno che tornano in Karma City Blues, unendosi a una galleria ancora più ampia. Ma i punti di contatto principali sono sicuramente l’ambientazione, che al lettore dei precedenti romanzi risulterà allo stesso tempo familiare e straniante, e la psicografia, qui mostrata secondo la lezione di William Gibson nell’uso che la strada ha trovato il modo di farne. Uno dei motivi che mi hanno spinto a scrivere un romanzo staccato dalle indagini dell’Officina è anche questo: esplorare il contesto criminale dall’altra parte della barricata.

Come nasce l’idea di Karma City Blues, che, leggendo la tua nota alla fine del romanzo, ha avuto una lunga gestazione?

Ovviamente dal ricordo di una donna, in particolare una che l’interruzione delle pubblicazioni di Solaris* aveva condannato a un oblio prematuro e immeritato. In Pi-Quadro Angelica Vicino era in un certo senso il braccio armato della Ksenja Corporation, uno dei colossi industriali che dominano questo mondo futuro. Karma City Blues è stata l’occasione per riportarla in azione. E in dodici anni Angelica non è certo rimasta con le mani in mano, ma ha avuto tutto il tempo necessario per aggiornare la sua agenda e tornare più determinata che mai a perseguire i suoi obiettivi.

Il resto lo trovate qui.

La gestazione di Karma City Blues è stata lunga: tra una revisione e una riscrittura e un’altra revisione – e così via per quattro o cinque volte – ci sono voluti oltre dieci anni tra mettere giù la prima parola e arrivare alla sua pubblicazione. Ho voluto raccontare i retroscena del making of in una nota pubblicata in appendice all’e-book, quindi non mi soffermerò oltre su quali sono stati i passaggi che il romanzo ha dovuto attraversare. Voglio però spendere due parole su una bizzarra corrispondenza di cui mi sono accorto solo dopo aver dato alle stampe il romanzo.

Ho iniziato a scrivere KCB subito dopo aver pubblicato Sezione π², per potermi cimentare di nuovo con il mondo che avevo costruito senza il peso dei suoi personaggi, quasi come banco di prova prima di passare a lavorare a un seguito vero e proprio. Dieci anni sono curiosamente gli anni che intercorrono tra la pubblicazione dei due titoli e anche tra le storie che raccontano. Sezione π² aveva infatti luogo nell’arco di un paio di settimane nel novembre del 2059, mentre è il 23 marzo 2069 quando Rico Del Nero si risveglia sotto l’identità di copertura di Lorenzo Roi. “Time is a flat circle“, rubando la battuta a Rustin Cohle. Non possiamo farci niente, e neanche Rico Del Nero, che cercherà di riannodare i fili spezzati otto anni prima per portare a galla una verità sepolta nel suo passato, scomoda soprattutto per lui.

Dieci anni non trascorrono invano. Sono più di un quarto degli anni che mi porto sulle spalle e quasi due terzi del tempo trascorso da quando ho cominciato a misurarmi seriamente con la scrittura. Quindi sicuramente KCB contiene un bel po’ di trucchi del mestiere appresi nel frattempo, che ai tempi del mio romanzo d’esordio non potevo nemmeno immaginare. Ma racchiude anche la maggiore esperienza accumulata come lettore (secondo le statistiche del mio profilo Anobii, corrispondono in effetti a 470 tra libri e fumetti), come spettatore (qui non ho cifre precise, ma dodici anni fa guardavo pochissime serie TV, mentre ormai la mia dieta da spettatore è monopolizzata dalla narrazione seriale), come essere umano (nel 2007 ero entrato da poco più di un anno nel mondo del lavoro).

E dieci anni non trascorrono invano nemmeno per il mondo. Se nel 2008, l’anno della prima stesura di KCB, gli USA eleggevano Barack Obama loro 44esimo presidente, non credo serva ricordare i tanti capricci che ci siamo presi il lusso di toglierci nel frattempo come specie e come civiltà. Ma lasciando da parte la visione politica, pensiamo a cosa è cambiato in questi dieci anni per provare a immaginare cosa potrebbe cambiare nei prossimi quaranta che ci separano dal 2059, e ancor più – secondo la legge dei ritorni acceleranti – nei successivi dieci fino al 2069. Banalmente, se tra Sezione π² e Corpi spenti intercorrono circa diciotto mesi, il futuro di KCB non poteva che essere molto più diverso da quello di Corpi spenti di quanto quest’ultimo non fosse dal futuro di Sezione π².

In particolare, da diversi anni le proiezioni di crescita concordano nel dipingere uno spostamento del baricentro economico del pianeta dall’Atlantico all’Asia. Uno studio dell’OCSE di pochi anni fa, analizzato qui abbastanza nel dettaglio, prevede la contrazione della quota di PIL mondiale per i paesi membri dell’organizzazione dal 65% del 2011 al 42% del 2060, mentre contestualmente Cina e India da sole saliranno dal 24% al 46%. E mentre l’economia cinese tenderà a consolidarsi, assumendo le caratteristiche di economie mature come quelle occidentali e cominciando a mostrare gli stessi segni di indebolimento (inclusa la transizione verso un ageing society), l’India già nel prossimo decennio segnerà il sorpasso demografico sulla Cina e continuerà a crescere a ritmi vertiginosi fino a sopravanzare la dimensione stessa del mercato USA.

La crescita degli altri BRICS, dell’Indonesia e del Messico metterà nell’angolo le economie occidentali, in particolare l’UE, che perderà progressivamente terreno rispetto ai paesi emergenti. Lo scenario di decadenza già delineato nei precedenti due romanzi, non poteva che venire esasperato in KCB. Ma mentre in Sezione π² e Corpi spenti lo scenario globale, per quanto non trascurato, rimaneva sempre piuttosto relegato sullo sfondo, in Karma City Blues la geopolitica guadagna un ruolo centrale, non solo con i difficili equilibri tra USA, Russia, Cina e India, ma anche con i crescenti interessi delle potenze mondiali in Africa.

In un altro post parleremo del contesto tecnologico del romanzo.

Tornando seri, lo scorso 21 marzo in occasione della Deepcon 16 sono stati annunciati i risultati della terza edizione del Premio Cassiopea. Ringrazio la giuria e l’organizzazione e mi complimento con gli altri autori sul podio. Potete leggere di più su Fantascienza.com.

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Due notizie a breve distanza l’una dall’altra sono venute fuori negli ultimi giorni. La prima in ordine temporale riguarda l’annuncio di uno studio francese di aver creato dei falsi ricordi tramite stimolazione transcranica su delle cavie di laboratorio addormentate: al risveglio, i roditori sottoposti al trattamento mostravano di “ricordare” posti in cui non erano mai stati prima. La stimolazione è stata attuata durante una particolare fase di attività dell’ippocampo, “la regione cerebrale che funge da substrato neuronale alle mappe mentali che consentono di muoversi in un certo ambiente”. Durante il sonno nei mammiferi avverrebbe infatti un processo interpretato come il consolidamento degli input spaziali, testimoniato da uno specifico schema di onde cerebrali denominate SPW-R (sharp wave ripples). La scoperta delle cosiddette cellule di posizione era stata premiata nel 2014 con il Nobel per la medicina.

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Il secondo risultato è stato divulgato da uno studio del Cold Spring Harbor Laboratory (New York) pubblicato da Nature: oggetto dell’articolo è la possibilità di risalire dall’analisi dei tessuti neurali di una cavia morta alle abilità ed esperienze che il soggetto aveva acquisito da vivo. Semplificando, una lettura post-mortem della mente. Anthony Zador, a capo del team di ricerca, ha dichiarato: “[…] è come se avessimo decifrato un pezzettino del codice neurale col quale l’animale archiviava queste memorie. In sostanza, riuscivamo a leggere la mente di questi ratti”. La stessa tecnica potrebbe essere applicata ad altre regioni del cervello, per decifrare altri sensi. “Non vediamo l’ora di applicare questo metodo a forme più complesse di apprendimento e ad altri sistemi sensoriali, come quello alla base della vista”.

Già qualche anno fa due team americani avevano effettuato importanti annunci sulla decodifica di schemi di attivazione neurale legati alla vista e alla parola. Non ci sarebbe da stupirsi dunque se da qualche parte nel mondo, magari in un cupo e freddo seminterrato di qualche prestigiosa università, un dottor Elliott Grosvenor fosse al lavoro con il suo assistente Rundolph Carter, procedendo per tentativi ad apprendere i rudimenti della psicografia.

Donato Speroni ha messo a disposizione (ormai da un mesetto), sul blog che cura per il Corriere della Sera, un semplice tool che si rivela utilissimo per prefigurare gli scenari sociali, politici ed economici del futuro. Basandosi su ipotesi relative all’evolversi della situazione mondiale (verso un esito più o meno sostenibile dell’attuale tempesta perfetta che stiamo attraversando), continentale (un’Europa forte e unita oppure ancora più in crisi di identità di quanto non sia oggi) e nazionale (superamento della crisi, o affondamento), ha elaborato 8 scenari che vanno dal “migliore dei mondi possibili” (e forse il più improbabile) al worst case del “si salvi chi può”. Ognuno può farsi la sua previsione, rispondendo ai seguenti quesiti con il grado di confidenza che si sente di attribuire a ciascuna affermazione:

  1. Nel Mondo, la tendenza verso una progressiva ingovernabilità dei fenomeni globali verrà corretta dagli accordi tra gli Stati?
  2. L’Europa riuscirà a darsi forme di governo più efficienti che consentano a questo continente di affrontare adeguatamente le sfide del futuro?
  3. L’Italia riuscirà a correggere i suoi mali collettivi e a diventare un Paese più unito, più onesto e più giusto, tutelando il benessere collettivo?

Come suggerisce lo stesso Speroni, si tratta di un giochino valido più che altro per “aiutare a riflettere sul futuro”, e per questo vi invito a provarlo.

Con la mia combinazione (30% di probabilità alla prima, 60% alla seconda e un più che  generoso 20% alla terza), gli scenari meno probabili sono risultati i primi due, in cui l’Italia abbraccia, con o senza Europa, la sfida mondiale di uno sviluppo inclusivo e sostenibile, aprendosi a una nuova fase di benessere e prospettive per il futuro. Insieme, raccolgono circa il 6%. Gli scenari che sono risultati più probabili sono al contrario quelli più pessimisti, in cui l’Italia naufraga, che assommano a un abbondante 56%: per la precisione 22,4% per l’ottavo, il peggiore in assoluto, e 33,6% per il settimo, che prefigura un’Europa a due velocità, che salva il salvabile dell’Italia, mettendolo sotto assistenza controllata, e abbandona il resto. Bassitalia sprofonda con la Grecia e la Spagna nel caos del Mediterraneo. E chi ha letto Corpi spenti non dovrebbe restare particolarmente sorpreso, né impressionato.

Cyberpunk_City_02

Altri scenari potrete trovarli su io9, grazie a questa panoramica di George Dvorsky, al motto di “you won’t see it coming“. In bocca al lupo!

L’annuncio è su Fantascienza.com. Ora si aspetta che venga ufficializzata la composizione della giuria di esperti che dovrà valutare le opere finaliste e scegliere la vincitrice. Per la stima e l’ammirazione che, nella quasi costante divergenza di idee, nutrivo nei confronti di Ernesto, un appassionato vero e sincero, provvisto di una qualità umana ormai rarissima e purtroppo venuto a mancare quando c’era ancora troppo bisogno di lui, e perché credo che ci sia bisogno di iniziative credibili per promuovere l’immagine della fantascienza al di fuori dei confini ristretti del fandom, non c’è bisogno che vi dica quanto questo risultato significhi per me.

Ci tengo quindi a ringraziare tutti gli iscritti alla World SF Italia che hanno ritenuto di indicare il mio lavoro nella categoria romanzi. In bocca al lupo agli altri colleghi in finale con i loro titoli: che vinca il migliore!

Giovanni Agnoloni ha sintetizzato per PostPopuli alcune sue riflessioni sull’Altro, che presto confluiranno in un saggio più strutturato sul connettivismo, conducendo una panoramica su Corpi spenti e la serie della psicografia in cui si inserisce. Con l’occasione mi ha rivolto anche alcune domande su argomenti di cui si è molto discusso in rete – anche da queste parti – negli ultimi tempi: i “realisti di una realtà più grande” di Ursula K. Le Guin, il congresso di futurologia e lo stato della fantascienza in Italia. E così l’articolo è diventato una sorta di termometro della situazione. Ve lo consiglio anche per questo.

Eccone un estratto:

In un nostro recente scambio di battute su FB – a seguito del suo articolo uscito su Holonomikon – hai sottolineato come il Connettivismo si fondi sulla sostanziale compresenza (o, eventualmente, sull’alternanza) di generi diversi, fusi però in un’unica sensibilità capace di proiettarsi anche su un orizzonte narrativo mainstream. Si può dire che il movimento stia cercando di evolversi in una direzione che vada oltre certe resistenze “passatiste” della produzione strettamente fantascientifica italiana, che evocavi nel tuo articolo?

Ho sempre creduto che la cosa importante fosse evitare di fossilizzarci. Per restare in ambito fantascientifico, la mia prima grande passione è stato il cyberpunk: dai quindici anni in poi ho cercato di acciuffare qualsiasi cosa fosse stata pubblicata in Italia di riconducibile a questa corrente letteraria. Ho accumulato decine di libri e li ho divorati tutti, leggendoli più e più volte. Ma per mia fortuna, quando ho scoperto il movimento di Gibson e soci, Bruce Sterling ne aveva già certificato la morte da quattro o cinque anni. La scena del crimine, quando sono arrivato io, era già fredda… Così ho potuto spingermi in esplorazione, fuori dal filone, e sai cosa ho trovato? Altre fonti di meraviglia che hanno acceso altre passioni: Philip K. Dick, per cominciare; e poi Samuel R. Delany, J.G. Ballard e gli altri protagonisti della New Wave; e poi Alfred Bester, Fritz Leiber, Frederik Pohl e gli altri padri ispiratori del genere. E, tra gli italiani, Valerio Evangelisti, Vittorio Catani, Vittorio Curtoni, Lino Aldani

Tra gli utenti del fandom di SF attivi in rete, c’è un certo numero di nostalgici che rimpiangono un’età dell’oro perduta: la cara vecchia space opera, le storie semplici e accattivanti di una volta, i protagonisti tutti d’un pezzo, e non so che altro. Non credo che siano la frangia più numerosa del fandom (figuriamoci dell’intero bacino di lettori di fantascienza, di cui il fandom rappresenta solo la punta dell’iceberg), ma di sicuro è la più rumorosa. Scalpita, recrimina, rivendica un ritorno a stagioni della nostra storia che purtroppo per i loro sogni non si ripeteranno mai più. Come non si ripeterà più il decennio del cyberpunk. Ma questo non vuol certo dire che in futuro non ci saranno correnti e filoni altrettanto vitali e interessanti.

Già adesso nel mondo anglosassone si parla di una nuova Golden Age: lo hanno fatto quest’anno gli editori e gli addetti ai lavori riuniti a Londra in occasione della WorldCon. Si guarda con interesse ad altre culture, grazie al fatto che la società americana e quella britannica, di fatto le culle della science fiction, acuiscono sempre di più i loro tratti multietnici. E si guarda con uguale interesse al tema dei diritti civili, che dal femminismo in avanti non ha mai conosciuto battute d’arresto. Solo qui in Italia possiamo trovare gente che si permette di fare la voce grossa guardando al passato, senza che si inneschi un moto di risposta collettivo che riesca a isolare e far risaltare l’insulsaggine di queste pretese.

Con il connettivismo abbiamo messo in piedi un tentativo in questa direzione. E l’idea di cristallizzarci in uno schema imitativo (sia pure di noi stessi) non ci sfiora nemmeno. Quest’anno varchiamo l’orizzonte dei dieci anni. Era una notte di dicembre del 2004, quando quest’oscuro congegno si mise in moto. Chi l’avrebbe detto che dieci anni dopo saremmo stati ancora qui (con Sandro Battisti, Marco Milani e un gruppo sempre più numeroso di amici acquisiti per strada, tutti animati dalla stessa passione) a parlare di fantascienza e a proporre progetti per il futuro?

Ancora su Corpi spenti, con due pareri autorevoli da parte di due illustri colleghi. Enrico Di Stefano, autore catanese di numerosi racconti a partire da Il record impossibile e del romanzo  L’ultimo volo di Guynemer, approfitta della lettura del romanzo per sviluppare una più ampia riflessione a tutto tondo sul connettivismo. Riporto il suo intervento senza tagli:

Corpi spenti di Giovanni De Matteo conclude (?) la vicenda di un corpo molto speciale della polizia italiana del futuro, quei Necromanti che ho cominciato a seguire con Sezione π2, il romanzo vincitore del Premio Urania 2007. Le due opere si apprezzano appieno se affrontate in successione, senza interporre troppo tempo tra la lettura delle due parti. Io, ad esempio, ho riletto il n° 1528 prima di affrontare il 1607. Vi chiederete: perché tanto zelo? È semplice: a parte il piacere di leggere un buon romanzo di SF, che non guasta mai, desideravo chiarirmi le idee circa il connettivismo. Per i pochi che non lo conoscessero, si tratta di un movimento letterario nato nel 2004 sotto la spinta degli autori che oggi redigono la rivista NeXT e che ha avuto in De Matteo uno dei suoi principali animatori. In realtà diverse suggestioni le avevo tratte dalla lettura di E-Doll di Francesco Verso (“Urania” n°1552). Ma seguendo attentamente le vicende di Vincenzo Briganti, e soprattutto lo scenario in cui questi si muove, ho potuto definire meglio le conclusioni alle quali ero giunto cinque anni or sono.

Il Manifesto del Connettivismo, al suo apparire, mi aveva disorientato. “Troppa carne al fuoco” mi dicevo, non riuscendo a farmi un’idea di dove volessero andare a parare i promotori dell’iniziativa che concludevano il loro programma con la frase “Noi saremo tutto”. Per fortuna sono arrivate le opere che ho appena citato ed in tal modo ho potuto restringere il campo d’indagine. Essendo un vecchio fanzinaro non potevo non dissezionare le mie letture per cercare di decifrarne i significati e confrontarmi su di essi con gli altri appassionati. Mi è venuto spontaneo cercarne i comuni denominatori. Dunque, secondo me il connettivismo è caratterizzato da uno scenario, da una premessa tecnologica e da un tema caratteristici. Il primo è l’ambiente urbano o, meglio ancora, metropolitano. Il secondo è lo straordinario sviluppo delle tecnologie informatiche e nanotecnologiche. Il terzo è il postumano con tutte le sfumature e le implicazioni che il termine comporta. Attenzione, queste tre coordinate non devono essere interpretate come limitazioni perché già offrirebbero territori sterminati da esplorare. Non voglio dire che il connettivismo sia solo questo, ma la massa dei lettori lo conosce prevalentemente per i romanzi di Verso e De Matteo che, su tale substrato, hanno costruito due tra le più interessanti opere prodotte nell’ultimo decennio dalla fantascienza italiana. Che, lasciatemelo dire, in questo ambito temporale non è stata per niente avara di cose valide.

Tornando a Corpi spenti vorrei concludere sottolineando come l’autore abbia lavorato lasciando intravedere molta attenzione all’indagine antropologica definendo personaggi che sono sì futuribili, ma le cui ascendenze potremmo facilmente individuare tra i protagonisti della realtà odierna. Inoltre, ho avuto l’impressione di aver letto un romanzo fortemente politico. E, se permettete, non potrebbe essere altrimenti dato che Giovanni De Matteo, originario della Basilicata, conosce benissimo le realtà sociali ed economiche di quel Mezzogiorno che in Corpi spenti procede verso una forma di secessione. Ipotesi tutt’altro che peregrina, considerando le tormentate vicende della politica italiana dell’ultimo ventennio. Questa, naturalmente, è solo la mia interpretazione. Passo la palla a voi. Buona lettura.

Carmine Treanni, curatore di Delos SF, ha usato parole altrettanto lusinghiere in una nota pubblicata su Facebook, che ha coinciso anche con il suo primo intervento sul social network. Anche in questo caso, riporto integralmente e senza filtri:

Vorrei dedicare questo mio primo post a Giovanni De Matteo, fratello di fantascienza, facendo pubblica ammenda: non sono riuscito a dare spazio al suo romanzo Corpi spenti su Delos. Non posso rimediare, ma con piacere posto qui la mia inedita recensione del romanzo… Se qualcuno non lo ha letto, ricordo che il romanzo è disponibile in e-book.

La città premeva sul porto con la spinta di una nebulosa urbana in decompressione. Nel melange cleptoarchitettonico che sovrastava le acque torbide, ruderi d’epoca e falansteri si accalcavano intorno al Golfo come un esercito di sbandati in rotta: la battaglia doveva essersi risolta epoche addietro, tutto ciò che restava era il caos del presente.

Il pirotecnico incipit (omaggio a Gibson e Sterling) di Corpi spenti (Urania n. 1607, Mondadori, disponibile in e-book), l’ultimo romanzo di Giovanni De Matteo, mi sembra la giusta introduzione per parlare di un progetto narrativo pienamente riuscito sotto vari punti di vista che proverò a spiegare. Intanto, va segnalato che il romanzo è il seguito di Sezione π², pubblicato nel 2007 sul numero 1528 di Urania, vincitore del Premio Urania, ma appare dopo il breve romanzo Terminal Shock — 2184 Labirinti Alieni (Mezzotints Ebook, 2013), definito dallo stesso autore una cyberspace opera, ossia un’opera narrativa che mescola space opera e cyberpunk. Un testo in cui De Matteo spinge ai limiti la sua prosa con risultati, a mio avviso, notevoli e che ritroveremo anche in Corpi spenti.
Il romanzo si apre con un doppio inizio. Nel primo ritroviamo l’ispettore capo Corrado Virgili, detto Guzza, al porto: sulla Milenaki, una nave mercantile russa, viene ritrovato morto un marinaio. L’uomo è stato assassinato prima che la nave attraccasse al porto di Napoli. La cosa più inquietante, però, è che il corpo mostra i segni di una lettura della mente operata da un necromante. Qui, De Matteo ci introduce nel romanzo in medias res, nel vivo di una indagine che mostra da subito un volto inquietante.
Nel secondo inizio, invece, ritroviamo Vincenzo Briganti, protagonista del precedente romanzo della saga della Pi-Quadro e ora a capo della Sezione Investigativa Speciale di Polizia Psicografica. Il poliziotto è tormentato perché Tornatore il suo più giovane collaboratore, si appresta a diventare un necromante, un passaggio che segnerà per sempre la sua vita, così come ha segnato quella di Briganti, allorquando il fondatore della Pi-Quadro Di Cesare lo iniziò alla necromanzia.
All’omicidio del marinaio russo si aggiunge il ritrovamento in fin di vita di due “spaziali”, adolescenti il cui sviluppo è stato bloccato geneticamente per lavorare nello spazio, finite però poi per diventare prostitute: “Le spaziali crescevano, invecchiavano, ma il loro corpo non maturava al punto di esprimere appieno i caratteri sessuali.
Briganti e i suoi uomini si ritrovano ad investigare, ma – pur potendo contare sull’appoggio di Grazia Conti, pubblico ministero della procura di Napoli – devono scontrarsi con il resto del corpo di polizia che mal sopporta i metodi e gli uomini della Pi-Quadro.
Sullo sfondo c’è Napoli, capitale morale del Sud che nel 2061, anno del bicentenario dell’Unità italiana, sta per staccarsi dal resto del paese trasformandosi nel Territorio Autonomo del Mezzogiorno. Una manovra politica che nasconde in realtà un ambizioso obiettivo: trasformare il meridione d’Italia in una zona franca dove la criminalità, con cui la politica è collusa, possa gestire tranquillamente i suoi affari. La città è anche un territorio devastato.
Il protagonista di Corpi spenti è Vincenzo Briganti, ora a capo della Sezione Investigativa Speciale di Polizia Psicografica. Per certi versi è un poliziotto come molti altri: è un leader; sa cercare nelle pieghe dei fatti criminali le informazioni necessarie per arrivare alla verità, giuridica o meno che sia; è amato dai suoi collaboratori e sa come gestire una squadra di poliziotti. Ma l’esercizio della necromanzia, ossia il recuperare informazioni da un cadavere, attraverso un’apposita tecnologia, è anche un fattore di profonda destabilizzazione. Una discesa all’inferno che non è immune da conseguenze devastanti per chi si addentra nella mente di un morto: rivivere la morte o un aggressione vissuta dalla vittima significa addossarsi un dolore insopportabile, difficile da gestire e da digerire.
Il peso di questo dolore sceglie di portarlo il giovane Tornatore che farà proprio da contraltare al personaggio di Briganti. E qui veniamo a uno dei motivi per cui ho segnalato all’inizio di questa recensione la riuscita del progetto narrativo di Corpi spenti: i personaggi. Briganti, Guzza e la PM Conti sono i tre personaggi che emergono con forza nelle pieghe della storia, con una personalità forte e decisa, anche quando le avversità sono estreme. Anche gli altri comprimari – gli altri membri della squadra Pi-Quadro e il direttore di Nova X-Press, Chianese, giornale libero e indipendente – hanno un ruolo preciso e sono funzionali ad una storia che pagina dopo pagina si carica di adrenalina pura, temperata però proprio dal nichilismo dei personaggi. Briganti, Conti, Chianese e tutti quelli della Pi-Quadro si rendono conto che si trovano al centro non semplicemente di un’indagine di polizia, ma alle soglie di una trasformazione epocale del loro vivere civile. Sono loro – poliziotti, giornalisti, magistrati – l’ultimo baluardo di un cambio di rotta che il Paese e il Sud dell’Italia si apprestano a compiere, in nome di una politica sempre più corrotta e collusa con la criminalità.
De Matteo racconta le macerie morali di una città che sta per – o potrebbe – subire una rivoluzione politica e sociale senza precedenti, ma Napoli è la metafora dell’Italia di oggi, non quella del 2061. Un paese che vacilla tra una politica che non riesce a offrire risposte concrete e una voglia di anti-politica come una mezzo per esprimere il proprio dissenso politico. Il nichilismo dei personaggi del romanzo sembra essere quello degli italiani, poco importa se sono quelli di oggi o del futuro ipotizzato dall’autore di Sezione π². In questo, Corpi spenti è un romanzo “politico”, nel senso di una denuncia sociale che anche nel passato ha trovato nella fantascienza un alleato ideale.
Come per Sezione π², più che uno scenario, la Napoli del futuro descritta da De Matteo è essa stessa un personaggio, un territorio devastato parzialmente da un’eruzione del Vesuvio e sommersa da una sostanza fangosa denominata Kipple. Ma Napoli è anche una città che vive in piena post-singolarità, ossia quell’accelerazione tecnologica e sociale in cui l’informatica si è sviluppata a livelli incredibili, portando l’umanità a convivere con tecnologie inimmaginabili, di cui un esempio è proprio quella che permette ai necromanti di leggere la mente dei defunti.
Un ulteriore punto di forza del romanzo è lo stile con cui De Matteo ha narrato le vicende di Briganti e dei suoi uomini. Mai banale, capace di osare con un ricchezza di vocabolario che ha pochi eguali nella fantascienza italiana. Una ricercatezza lessicale – declinata al “verbo” fantascienza – che però si alterna ad uno stile semplice che ha l’obiettivo di accompagnare il lettore in quelle parti in cui la trama ha bisogno di scivolare nelle lettura senza affanni.
È questa la fantascienza che ci piace leggere, quella in cui alle spalle di frasi come “Nel melange cleptoarchitettonico che sovrastava le acque torbide, ruderi d’epoca e falansteri si accalcavano intorno al Golfo come un esercito di sbandati in rotta” c’è l’assist dello scrittore che invita noi lettori ad immaginare, evocare sogni e visioni. E non questo uno dei motivi fondanti per cui la fantascienza si distingue dalla letteratura mimetica?
Non ci resta che sottolineare, per quel che vale, la collocazione del romanzo a livello di genere letterario: Corpi spenti è un future-noir, si inserisce cioè in quel filone che ha come precedenti L’uomo disintegrato (1952) di Alfred Bester, Dr. Adder (1984) e Noir (1998) di Kevin W. Jeter. Ancora il cyberpunk, a partire dalla “Trilogia dello Sprawl” di William Gibson, formata da Neuromante (1984), Giù nel cyberspazio (1986) e Monnalisa Cyberpunk (1988). Più recentemente è stato lo scrittore inglese Richard K. Morgan a forgiare opere che esplicitamente propongono un’interessante mistura di noir e science fiction, come nel suo primo e più noto romanzo Bay City (2002).
Non possiamo tralasciare il fatto, poi, che Corpi spenti è un romanzo che si colloca a pieno diritto nel connettivismo, il movimento letterario che Giovanni De Matteo ha co-fondato. Per averne una prova basta leggere l’ultimo punto del Manifesto del Connettivismo, dove si legge: “Noi vogliamo cantare le strade deserte della notte, i monumenti congelati nel silenzio, le luci al neon della metropolitana, le periferie spettrali, i cimiteri di campagna, i reperti dell’archeologia postindustriale, le autostrade abbandonate, le città rase al suolo dai bombardamenti, le strade dei briganti, la morbida geometria dei corpi, il silenzio attinico di stanze d’albergo abbandonate, la carica sensuale della promiscuità tecnologica, il caos, le stelle, i pianeti deserti, le sonde lanciate verso la notte, la musica radiante di quasarmorte, la tenebra metafisica di un orizzonte degli eventi, la connessione neurale.
In definitiva, Corpi spenti è uno dei migliori romanzi degli ultimi tempi e segna la piena maturità di Giovanni De Matteo. Un componimento narrativo visuale e seminale che (ri)usa i generi della narrativa popolare per tracciare nuove direzioni, non quella della contaminazione, categoria ormai superata, ma in quella di un’etica civile, di un ardore per la parola che ascrivono l’opera di De Matteo a ciò che Wu Ming 1 ha ben descritto nel suo Memorandum sul New Italian Epic.

E di fronte a due giudizi così, non posso che inchinarmi e ringraziarne gli autori.

Qualche giorno fa è stato pubblicato il dossier del comitato promotore per Matera Capitale Europea della Cultura 2019 e l’offerta preparata dagli organizzatori si è rivelata ricca di sorprese. Fin dall’annuncio della sua candidatura nutro – per ragioni affettive – forti speranze sulla capacità di Matera di rivestire questo ruolo, ma è stato comunque fonte di stupore ritrovare nel progetto così tanti punti di affinità con la mia visione della cultura e dello sviluppo territoriale. Qualche esempio? Eccovi alcuni passaggi, organizzati per aree tematiche:

1. Futuro Remoto: […] una riflessione sul nostro rapporto millenario con lo spazio e le stelle che, ripercorrendo i passi di uno dei residenti più illustri della regione, Pitagora, esplora l’antica bellezza universale della matematica; al tempo stesso, analizzeremo le infinite possibilità dei futuri remoti, contemplando città volanti e ambientando in luoghi di suggestione spirituale (come le chiese rupestri) o cosmologica (come il Centro di Geodesia Spaziale) concerti sperimentali.

2. Continuità e Rotture: […] la città sta ancora cercando di venire a patti con la sua identità fisica, e come in molte altre città europee il suo rapporto con la modernità può dirsi conflittuale. […] Matera 2019 è un’occasione per considerare il tema dell’estrazione del petrolio in Basilicata come un’opportunità per interrogarci sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente.

3. Utopie e Distopie: […] il tema “Utopie e Distopie” trasformerà Matera in un terreno su cui immaginare alternative possibili a realtà che diamo per scontate.

4. Radici e Percorsi: […] la Basilicata ha sempre rappresentato uno spazio di incontro e convergenza.

5. Riflessioni e Connessioni: Il programma intende provare che l’arte, la scienza e la pratica diffusa della cittadinanza culturale possono rappresentare in tutta Europa gli elementi catalizzatori di un nuovo, rivoluzionario modello di comunità, radicato nella “pratica della vita quotidiana”.

Questa tensione verso il futuro è sintetizzata anche nello slogan “Open Future“. Se non è fantascienza questa… Per me il 2019 è sempre stato l’anno di Blade Runner. Il 18 ottobre scopriremo se invece non possa diventare anche l’anno di Matera, capitale europea della cultura.

Matera

Intanto è bene che sappiate che sabato mattina 27 settembre, a partire dalle 11.15, sarò ospite proprio nella città dei Sassi con Donato Altomare (presidente della World Science Fiction Italia) dell’incontro Sud e Fantascienza, un futuro post cyberpunk, organizzato presso l’Istituto Tecnico Economico e Tecnologico Loperfido – Olivetti nell’ambito dell’XI edizione del Women’s Fiction Festival. Presenteremo Corpi spenti e parleremo di fantascienza, futuro, vita, universo e tutto il resto. A fare da ospite e moderare l’incontro con le classi dell’Istituto Tecnico e del Liceo Scientifico sarà con noi Filippo Radogna. Mi piace pensare che questo sia il nostro piccolo contributo fantascientifico alla road map tracciata verso il 2019, e tutti insieme ci auguriamo che possa non essere l’ultimo.

Prima di partire per le agognate vacanze e tirare un po’ il respiro (ad attenderci all’orizzonte c’è un caldo autunno sul fronte fantascientifico di Bassitalia… ve ne darò notizia al rientro!), ecco altre quattro recensioni fresche di pubblicazione.

Partiamo da Marco Milani, co-iniziatore del movimento connettivista, che sul suo blog dedica al mio libro le parole più lusinghiere che un autore (specie uno come me, che su quel film ha costruito la sua passione per la fantascienza) possa mai sperare di vedersi rivolgere sulla propria opera:

Lo so, è più forte di me e non sarò certo il primo a dirlo: penso a De Matteo e mi si smuove l’associazione con Blade Runner; se vado a Pi-Quadro (e adesso anche Corpi spenti) non riesco a non visualizzare Harrison Ford, impermeabile e cappello, camminare su un marciapiede sotto un centellinare costante di piogge acide. È già nel 2005 mi si era stagliata l’accoppiata De Matteo/Blade Runner come una coppia di fatto, quando approntammo a quattro mani il racconto “E se i replicanti sognano angeli elettrici…” finito poi l’anno successivo su Next n. 5.
Non intendo dire che De Matteo sia la versione ‘mediterranea’ di Philip K. Dick, anzi, potrei dirlo per sottintendere che è un bravo scrittore, ma non lo dico, perché nella variegata produzione del connettivista Giovanni “X” De Matteo vi è originalità, caparbietà scientifica, sci-fi personalizzata e ormai riconoscibile come un’impronta retinea via bioscanner.
[…]
La partenza è scioccante, poi l’indagine parte lenta con cambi di ritmo improvvisi. Gli sviluppi globali che seguono sono complessi, difficili a volte da seguire ma ‘doverosi’ e onesti nella loro configurazione, precisi poiché così deve essere. I personaggi sono diversamente, ognuno a sé, reali nella loro ‘vitalità’ letteraria da arrivare ad immaginarne le espressioni, condividerne pensieri e parole fino ad immedesimarsi, a volte addirittura a comprenderli, esagero, a livello di coscienza. Spunti e impennate narrative alla De Matteo, connettono ottimamente le varie anime della storia a forgiare, alla fine, un Unico oggetto perfetto denominato Corpi spenti.

Marco Milani, autoscatto con 'Corpi spenti'.

Marco Milani, autoscatto con ‘Corpi spenti’.

Un bilancio sostanzialmente positivo, con alcune riserve sullo stile e la fruibilità dell’intreccio, è anche quello stilato da Glauco Silvestri:

Pregi e difetti in questo Urania che vede per la seconda volta un’opera di De Matteo. L’ambientazione è sicuramente un pregio. Napoli, il Kipple, e il degrado di una società che ormai non ha più principi, sono il perfetto fondamento per la creazione di una vicenda. La costruzione dell’ambiente, della situazione socio-politica, e persino dello sviluppo tecnologico (che nel romanzo è mostrato come un mix tra tecnologie oggi conosciute e altre futuristiche) sono sicuramente un must del romanzo.
La storia, il plot della vicenda, ha poco a che fare con la fantascienza. E’ un romanzo noir di discreto spessore in cui compaiono poliziotti corrotti, poliziotti borderline con principi morali, gruppi rivoluzionari, una spia, complotti tra agenzie governative e multinazionali, prostituzione… la vicenda poteva essere tranquillamente ambientata negli anni di piombo e avrebbe retto senza problemi.
Si intravede un progetto più ampio… del resto già nel primo libro molti temi erano stati lasciati aperti. Non ho compreso però quello strano intermezzo alla Stargate ove alcuni astronauti ricostruiscono una sorta di portale trovato su un asteroide, per poi spedire chissà dove una bomba atomica.

Quanto sia legato all’Almanacco della Fantascienza lo sapete. Nell’edizione 2014, in edicola proprio in questi giorni, Ettore Mancino scrive:

AlmanaccoFantascienzaBonelli2014[…] è fresco di stampa il nuovo romanzo fanta-noir di Giovanni De Matteo, Corpi spenti, uscito su Urania. Il libro racconta nuove avventure della squadra Pi Greco, un corpo investigativo speciale che può interrogare i morti e risolvere così i casi più intricati. Ma, sullo sfondo delle operazioni di polizia, si delinea un disegno più grande, con il tentativo di destabilizzare definitivamente il nostro Paese. Una fetta del quale, del resto, sta per proclamare una specie di secessione guidata (e nossignore, non si tratta dell’Angry Nord, ma del disilluso, impoverito e infuocatissimo Sud). Grande affresco, ambizioso “novel” del futuro, intricato romanzo italiano: parafrasando un grande della sf come Thomas M. Disch, lo si sarebbe potuto ribattezzare Gomorra e dintorni e non è detto che Urania non lo faccia in una prossima edizione.

E per finire una ciliegina sulla torta. Dalle pagine di Fantascienza.com Giampaolo Rai dedica al romanzo parole di grande apprezzamento:

Corpi_spenti_Fcom

I sette anni intercorsi tra il primo e il secondo romanzo dedicato ai Necromanti non sono passati invano, Giovanni De Matteo ha compiuto un netto salto di qualità senza peraltro rinunciare ad alcune sue peculiarità, in primis il gioco delle citazioni. Citazioni che spuntano improvvise, in una testata giornalistica o in un modo di dire, scoprirle diventa un gioco intrigante quanto avanzare nell’intreccio della storia.
[…]
La sensazione è che De Matteo abbia solide radici nella fantascienza (e non solo) del passato e le usi per proietttarsi verso il futuro. L’interesse del romanzo non sta però nelle citazioni: ambientazione, personaggi e intreccio sono i veri punti di forza. La Napoli futura è una città violenta ma viva, al centro di trame oscure, tra residui di guerre fredde ma anche bollenti e forze misteriose che usano indifferentemente manovre sotterranee e terrore per raggiungere i propri scopi. A contrastare questi progetti criminosi gli agenti della π², stavolta tutti al centro della scena, ben caratterizzati e credibili; il mio preferito è Guzza, un detective cinico e duro, le sue indagini tra le spaziali sono le scene migliori del romanzo.
Lo stile è quello caratteristico di De Matteo, ricco e denso di informazioni su tecnologie e armi, con una vera e propria colonna sonora e un coinvolgimento intenso, richiede un certo grado di attenzione per seguire la vicenda ma ripaga con una sensazione di immersione notevole.
Un secondo capitolo superiore al primo, a Corpi spenti non è stato necessario vincere il Premio Urania (cosa peraltro impossibile per i vincitori del passato) per essere pubblicato, la sua miscela di diversi generi che formano un amalgama perfetto convince sin dalle prime pagine.

Meglio di così, insomma… E per il momento non potevo davvero immaginare un congedo migliore. Ne approfitto per ringraziare ancora una volta tutti i lettori, i colleghi, gli appassionati, gli amici, che hanno apprezzato il romanzo e hanno voluto farmi avere le loro impressioni di lettura. Per me sono tutti feedback preziosi, quindi grazie per il tempo e l’attenzione che avete voluto dedicarmi. Intanto buone ferie a tutti, torneremo a leggerci presto su queste stesse frequenze…

Stay tuned, cyberspace cowboys!

PS: Una segnalazione in extremis! Da oggi anche Lanfranco Fabriani, plurilaureato Premio Urania con cui ho avuto il piacere di collaborare, ha aperto un blog. Lo trovate, come c’era da aspettarsi, lungo i vicoli del tempo!

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Neppure di fronte all'Apocalisse. Nessun compromesso. -- Rorschach (Alan Moore, Watchmen)

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Mi chiamo Giovanni De Matteo, per gli amici X. Nel 2004 sono stato tra gli iniziatori del connettivismo. Leggo e guardo quel che posso, e se riesco poi ne scrivo. Mi occupo soprattutto di fantascienza e generi contigui. Mi piace sondare il futuro attraverso le lenti della scienza e della tecnologia.
Il mio ultimo romanzo è Karma City Blues.

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