You are currently browsing the tag archive for the ‘Urania’ tag.
L’articolo che avevo annunciato è online da alcuni giorni su Quaderni d’Altri Tempi. È un pezzo a cui tengo molto e che allo stesso tempo avrei preferito non dover scrivere.
In questi giorni sto scrivendo un articolo su Valerio Evangelisti, che come sapete ci ha lasciati lo scorso 18 aprile. Mi sono così calato nuovamente nelle sue pagine, che in alcuni casi non rileggevo da vent’anni, tornando alle sue atmosfere notturne, fumose, oniriche e malate, e ho ritrovato la grandezza di un autore che, pur nel successo che ha avuto, avrebbe probabilmente meritato una visibilità maggiore in vita, del tipo per esempio giustamente riconosciuto ai giallisti della scuola italiana (Camilleri, Lucarelli, De Cataldo, Carofiglio). Ma Evangelisti non scriveva gialli ma fantascienza, e nonostante i romanzi storici e il resto della sua produzione di genere che mutuava gli schemi dell’avventura e del noir, ne ha portato le stigmate fino alla fine.
Raccogliendo materiale per l’articolo, mi sono imbattuto in questa video-intervista realizzata da Selene Verri e rilanciata pochi giorni dopo la scomparsa di Evangelisti da Silvio Sosio su Fantascienza.com. Nel video, della durata di mezz’ora, Evangelisti dialoga con un altro gigante della fantascienza italiana che ci ha lasciati troppo presto, Giuseppe Lippi, mente enciclopedica, saggista brillante, traduttore e all’occorrenza anche autore (stupendo il suo racconto Il lago d’inferno, incluso nello storico numero 1500 di Urania, Tutta un’altra cosa), e per trent’anni curatore di Urania, la collana di fantascienza più longeva al mondo. In occasione del ventesimo anniversario della sua nomina a curatore avevo avuto il piacere di intervistarlo per il blog della collana, che a quel tempo curavo, e vi rimando al link per recuperare le sue illuminanti parole. Qui sotto invece potete ascoltarlo dialogare con Evangelisti, con uno spunto di riflessione praticamente a ogni frase da loro pronunciata.
Rivedere questa chiacchierata nell’intervista di Selene fa adesso uno strano effetto. Di persona, conoscevo sicuramente meglio Giuseppe, con cui avevamo lavorato a un paio di libri, oltre all’intensa frequentazione ai tempi del blog, e da cui anche nella divergenza delle opinioni c’era sempre da imparare qualcosa: nei contenuti e negli atteggiamenti, aspetti che si potrebbero ricondurre all’essenza della professionalità, merce purtroppo sempre più rara. Conoscevo un po’ meno Valerio, che tuttavia non mi aveva mai negato una risposta a un’e-mail, una prefazione o uno strillo di copertina, esperienza che qualsiasi appassionato, lettore o scrittore abbia provato negli anni a contattarlo o coinvolgerlo in qualche progetto non potrà che confermare. Avevamo anche condiviso alcune antologie, e altre avremmo potuto farne se i suoi impegni e la salute non gli avessero imposto negli ultimi anni di ridurre i fuori programma. Sentirli parlare di fantascienza (e non solo) con la loro verve e competenza, con quella lucidità e profondità che li contraddistingueva, è qualcosa che sarà solo in parte compensato dalle loro opere, benché monumentali.
Con la loro dipartita da questa terra, abbiamo perso altri due giganti sulle cui spalle potevamo arrampicarci per scrutare tra le nebbie del futuro.
Un sole di gomma fu squassato, e tramontò; e un nulla nero-sangue si mise a far girare un sistema di cellule intrecciate con cellule intrecciate con cellule intrecciate dentro un unico stelo. E spaventosamente nitida, sullo sfondo di tenebra, una candida fonte zampillò.
Vladimir Nabokov, Fuoco pallido, traduzione di Franca Pece e Anna Raffetto per l’edizione italiana Adelphi (2002)
Finalmente la mia copia del balenottero è venuta a spiaggiarsi qui di fianco e quindi quale occasione migliore per parlarvi un po’ del mio racconto? Il senso del post, come avrete capito, è quanto di più autoreferenziale si possa immaginare. Se decidete di andare avanti, sapete cosa aspettarvi.
1. Riferimenti letterari
Come fa giustamente notare il curatore del volume Franco Forte (che ringrazio oltre che per aver messo in luce il modello, anche per avermi dato la possibilità di comparire ancora una volta in un libro con diverse autrici e autori per cui non ho mai fatto mistero di nutrire da lettore – e a volte anche, nel mio piccolo, da curatore – un apprezzamento incondizionato), sul mio racconto aleggia l’ombra di Sergio “Alan D.” Altieri. Alla fine i conti tornano, no?
Anche lui forse avrebbe usato per questo racconto l’etichetta sci-fi action, che non so se merito, però mi avrebbe fatto senz’altro piacere.
Accanto a lui, altri riferimenti al mio personale pantheon letterario che fanno capolino tra le pagine sono meno scontati per un racconto di fantascienza quale Al servizio di un oscuro potere è, e in particolare penso a H. P. Lovecraft, Thomas Ligotti e Breece D’J Pancake.
2. Suggestioni e ispirazioni
Lo spunto di partenza, la scintilla che ha innescato la suggestione da cui è scaturito il racconto, è una sequenza di fotogrammi di Bologna, una mattina presto d’inverno di due o tre anni fa. In superficie la città deserta, spazzata da un vento gelido che strappava pioggia ghiacciata a un cielo di marmo. Nel sottosuolo, il labirinto multi-livello della stazione dell’alta velocità, con le sue lunghe passerelle di vetro sospese sui binari e immerse in un’atmosfera ovattata, altrettanto rarefatta, e le voci dei passeggeri in attesa che si perdono in lontananza, soffocate dai volumi delle navate sotterranee.
La cordiale voce registrata del sistema di annunci sonori diffusi dagli altoparlanti è stata da ispirazione per Mezereth. Con la complicità di un umore appena più torvo del solito, non è stato difficile delineare invece il personaggio di Maksim Bogdanov. Il nome è un omaggio ad Aleksandr Bogdanov, sulla cui figura è incentrato Proletkult dei Wu Ming, ma anche ad Arkady Bogdanov, uno dei personaggi più intriganti della Trilogia Marziana di Kim Stanley Robinson.
3. Storie dentro storie dentro altre storie
Keira è antecedente a entrambi, essendo ormai anni che medito di raccontarne la storia. Una storia che inizia in una città devastata dalla guerra, subito dopo il crollo della civiltà, e si conclude a bordo di un’astronave interstellare che si lascia alle spalle un sistema solare irreversibilmente sconvolto. In mezzo ci sono un annuncio del SETI a lungo atteso, ma che forse mai avremmo voluto sentirci dare sul serio, e il Programma Majestic. Di tutto questo si fa menzione in Al servizio di un oscuro potere, che va così a coprire con una prima tessera il mosaico di una storia più ampia e più antica. Il resto, prima o poi, lo scriverò.
Dimenticavo. Il personaggio che fa da contraltare a Maksim nella ricerca di Keira per conto di Mezereth si chiama… Irene Adler. Ovviamente, non quella Irene Adler.
4. World-building
Nel mondo post-apocalittico in cui vivono Maksim e Irene Adler, la società e le sue strutture di potere sono state commissariate dalle intelligenze artificiali. Amorevoli, altruistiche IA come Mezereth hanno preso in custodia il genere umano per il bene della civiltà. E gli umani, per lo meno quelli sopravvissuti all’ultima guerra totale, sono stati incasellati, per il loro bene, in ruoli predefiniti in virtù della loro classificazione in sedici tipi psicologici, che riprende lo schema messo a punto dalle psicologhe Myers e Briggs, per altro madre (la seconda) e figlia (la prima), nel secondo dopoguerra (per scoprire il vostro tipo MBTI, potete sottoporvi a test più o meno accurati, anche on line se ne trovano di diversi, tra cui questo in italiano).
Nel racconto mi diverto a giocare, come si sarà capito poco sopra, con i rischi esistenziali di Nick Bostrom, provando ad azzardare una risoluzione “artificiale” del dilemma del prigioniero, che porta a pagare un prezzo alto ma accettabile per evitare la distruzione assicurata. Questo dilemma, nel racconto, è legato al paradosso di Fermi, e a una possibile spiegazione che è stata già affrontata con eccellenti risultati da autori come Stephen Baxter, Alastair Reynolds e Liu Cixin.
5. Altri mondi, altre storie
Il nome della città in cui si apre e finisce il racconto, al-Hastur, è una citazione abbastanza trasparente di Robert W. Chambers, i cui racconti del ciclo del Re in Giallo sono andati a costituire il nucleo di un universo letterario di rimandi e citazioni che si è avvalso nel corso del tempo dei contributi, tra gli altri, di H. P. Lovecraft, sublimando nell’immaginario popolare anche grazie al lavoro di Nic Pizzolatto sulla prima stagione di True Detective.
In effetti, con tutti questi link, sembra che non abbia dovuto fare altro che mettere un po’ di ordine nella cronologia del blog. Ma è stato un po’ più complessa di così.
Nella descrizione di al-Hastur come di una città mausoleo, uno spettrale sepolcro imbiancato, riverberano le sensazioni di Cuore di tenebra di Joseph Conrad, in cui si ritrova una descrizione di Bruxelles che gli permette di materializzare una critica all’imperialismo colonialista europeo (“Mi ritrovai nella città sepolcrale risentito alla vista di individui che si affrettavano nelle strade per sgraffignare un po’ di denaro l’uno all’altro, […] per sognare i loro sogni sciocchi e insignificanti. Calpestavano i miei pensieri. Erano intrusi e la conoscenza che avevano della vita mi appariva un’irritante finzione, perché mi sentivo così sicuro che non potessero certo sapere le cose che sapevo io“).
Ho aggiunto il prefisso al un po’ per un tocco di esotismo, un po’ per caricarlo di un vezzo demoniaco, e poi perché mi sono detto: con tutti questi riferimenti, perché non citare anche Jack Vance?
6. E il titolo?
Ok, adesso l’ultima e poi evito di importunarvi oltre. Il titolo, vi starete chiedendo, o forse no, ma ormai avrete capito che ho comunque intenzione di dirvelo.
Al servizio di uno strano potere è il titolo, preso in prestito da uno dei suoi racconti, di un’antologia di Samuel R. Delany pubblicata in Italia in un numero monografico di Robot (il 35, per l’esattezza, nel febbraio del 1979). Robot è la mia rivista preferita, Delany è uno degli autori di cui non potrei fare a meno (e tra i primi che citerei se mi venisse chiesto il nome di uno scrittore che tutti dovrebbero conoscere) e questa antologia è uno scrigno di pietre preziose (così parafrasiamo pure il suo titolo più bello).
Al servizio di un oscuro potere esiste anche grazie a Robot e a Delany. Ed è un’influenza che va al di là del titolo, ma che il titolo mette da subito in chiaro.
Buona lettura!
E così ci siamo. L’attesa è finita. Preceduto dal libro evento del 2019 (asso pigliatutto all’ultima edizione del Premio Italia), annunciato in pompa magna, accompagnato da una campagna promozionale come raramente se ne vedono in Italia quando si parla di fantascienza (e chissà perché ancor più quando si tratta di fantascienza italiana… se non quando la fantascienza è il pretesto per allenare la consolidata virtù italica del velleitarismo coloniale), è il momento del Millemondi dell’estate 2020: Distòpia.
Curata ancora una volta da Franco Forte, impreziosita come sempre da una cover memorabile di Franco Brambilla e completata da una postfazione di Carmine Treanni sulla strana attrazione che esercita “il peggiore dei mondi possibili”, l’antologia dedicata alla fantascienza scritta da autori italiani si è concentrata questa volta su un tema che, all’origine, nessuno si sarebbe di certo aspettato sarebbe stato così d’attualità al momento dell’uscita in edicola: fin dal titolo, che rifugge qualsiasi tentazione di camuffamento, a fare la parte del leone saranno i futuri avversi, i mondi allo sfascio, le società totalitarie, le piccole e grandi distorsioni – o, se preferite, perversioni – di cui l’umanità sa rendersi capace.
Dalla presentazione del volume:
Tenetevi pronti a sognare agli scenari immaginati da alcuni dei migliori scrittori della fantascienza italiana, riuniti da Franco Forte, curatore dell’antologia.
Le loro visioni vi porteranno a incontrare un androide nelle gelide miniere di Plutone, a indagare insieme a una Nativa Mentale i segreti di un’Italia virtuale (o meglio “n’Italia”) post pandemia, ad aggirarvi sotto i tramonti oscuri della città di Morjegrad, preda di strani blackout.
Preparatevi a danzare con un’umanità mutilata dall’editing genetico, a inseguire ali di farfalla in un mondo prosciugato dalla vita, a far crepitare di raggi laser la neve grigia dell’inverno nucleare.
Tra le pagine di “Distòpia” scalerete i durissimi canoni estetici del riallineamento, sarete assordati dal frastuono del crollo dei grandi monumenti della Terra, andrete a caccia di emozioni forti in un mondo che ha sacrificato la privacy e il contatto umano a favore di un’inquieta sicurezza, andrete a caccia all’ispirazione insieme a uno scrittore disperato.
Potrete farvi inebriare dal fascino digitare di un/a Perfect Companion, colonizzare un pianeta meticcio e multispecie e persino perdervi in un futuro psichedelico governato da hashtag e captcha.
Per quanto mi riguarda, Distòpia giunge dopo Cronache dell’Armageddon e Lo Zar non è morto e completa un trittico che per puro caso, dopo una lavorazione di diversi mesi, è arrivato a convergere su questo scorcio di estate post-pandemica, suggellando un mese di giugno di rara produttività.
Magari del mio racconto parleremo nei prossimi giorni. Intanto, ci vediamo in edicola!
Dalla quarta di copertina:
La baia di San Francisco affollata di cadaveri abbracciati, ali d’angelo tatuate sulla pelle. Uomini alle prese con l’inaudito: Tanner, Carlucci e gli altri sanno che l’equazione in grado di risolvere l’incognita contiene troppe varianti… Nel mondo di tecnologie corrotte e macchine proteiformi dove vivono, qualcuno cerca di giocare una carta estrema per riscrivere col sangue la storia della città. “La San Francisco di Richard Paul Russo, a metà del XXI secolo, è popolata di angeli assassini, cyborg, e poliziotti dal karma molto negativo. Una città disperatamente romantica” (Ursula K. Le Guin).
Riprendendo così lo strillo della Le Guin che accompagnava la prima edizione italiana del 1998, nell’ottobre 2014 tornava nelle edicole Angelo meccanico di Richard Paul Russo. L’autore californiano, classe 1954, residente a Seattle dal 2010, aveva esordito nel 1988 con Inner Eclipse e già l’anno successivo si era aggiudicato il prestigioso Philip K. Dick Award con la sua seconda fatica, Subterranean Gallery (entrambi rimasti inediti nel nostro paese). Con L’astronave dei dannati (Ship of Fools, 2001, tradotto anch’esso da Urania nel 2002) Russo avrebbe poi bissato il successo, diventando uno dei tre soli autori, in compagnia di Tim Powers e Stephen Baxter, ad aver doppiato l’affermazione al Dick Award, riconoscimento riservato al miglior paperback di fantascienza pubblicato l’anno precedente nel mercato USA. Ad oggi il suo ultimo lavoro risulta The Rosetta Codex, del 2005.
Tra i due premi Dick, negli anni ’90 escono negli Stati Uniti (e a stretto giro in Italia) tre romanzi che potremmo classificare come future noir, dalle forti ascendenze cyberpunk sebbene Russo, proprio come altri autori della sua generazione (pensiamo a Kim Stanley Robinson, forse il più grande di tutti, ma anche a John Kessel, di certo il più agguerrito), finì presto associato al cosiddetto movimento umanista (literary humanist, o anche new humanist) che, forse un po’ pretestuosamente, indubbiamente in maniera arbitraria, sorse intorno alla metà degli anni ’80 in contrapposizione al gruppo di Mirrorshades. En passant, il primo ad azzardare la distinzione fu Michael Swanwick in un articolo molto citato e altrettanto controverso, A User’s Guide to Postmoderns, ritrovandosi poi lui stesso associato, in una sorta di contrappasso, sia agli uni che agli altri (la più completa panoramica del cyberpunk apparsa in Italia, curata da Piergiorgio Nicolazzini per l’Editrice Nord, include non a caso un suo romanzo breve dal titolo L’uovo di grifone).
Tornando a Richard Paul Russo e ai suoi lavori degli anni ’90, questi tre romanzi vanno a comporre in senso abbastanza lato una trilogia e sono di fatto conosciuti come la serie del tenente Carlucci:
- 1992: Destroying Angel (Angelo meccanico, Urania, prima edizione n. 1351 nel 1998, ristampa n. 1511 nel 2014)
- 1995: Carlucci’s Edge (Cyberblues – La missione di Carlucci, Urania n. 1374, 1999)
- 1997: Carlucci’s Heart (Frank Carlucci Investigatore, Urania Speciale n. 11, 2000)
Frank Carlucci è un poliziotto della Omicidi che lavora a San Francisco in un prossimo ma imprecisato futuro. La città della Baia è molto cambiata da come la conosciamo noi: è un agglomerato urbano cresciuto a dismisura con le proprie contraddizioni, in cui non esistono quasi più zone sicure a parte l’enclave sorvegliata del Distretto finanziario, e in cui si può finire ammazzati solo per essere usciti all’ora sbagliata o senza l’adeguata protezione. Bande di varia natura imperversano per le strade: fanatici religiosi come i Veri Millenaristi, piccoli delinquenti come i massacratori che scorazzano sulle loro tavole a sospensione, e tribù esotiche ma non meno inquietanti come gli Screamers, che in un atto estremo di protesta contro la società hanno rinunciato alla parola saldandosi chirurgicamente le labbra. Cuore di questo inferno urbano è il Tenderloin, il vecchio quartiere del vizio e della corruzione, che è diventato una sorta di “zona proibita”, da cui le forze di polizia e le autorità sono esiliate. Il Tenderloin ha trovato l’equilibrio in una forma estrema di autogestione: è di fatto una zona franca, la cui economia si regge su attività che fuori dai suoi confini sarebbero ritenute illecite, dal commercio di stupefacenti al traffico di organi.
Ancora più in profondità si apre la voragine di caos del Centro, le porte dell’inferno da cui chiunque abbia ancora un minimo senso di autoconservazione cerca di tenersi alla larga. È quaggiù che sembra essersi rintanato il Killer delle catene, che per una stagione di terrore durata anni aveva seminato vittime nella Bay Area, legando i cadaveri con catene di argento saldate ai corpi e tatuando piccole ali di angelo nelle loro narici, giocando con la polizia come un gatto col topo.
Quando l’ondata di omicidi si era arrestata, tutti avevano pensato che il serial killer fosse morto, ma adesso la polizia ha ricominciato a recuperare altri cadaveri incatenati dalla Baia e così Carlucci, che non può scoprirsi più di tanto, ingaggia un suo vecchio collega come galoppino. Louis Tanner, che tre anni prima era andato vicino a rimetterci la pelle durante una perquisizione in cui aveva perso la vita il compagno di pattuglia, ha lasciato la polizia e da allora sopravvive barcamenandosi sulla sottile linea di confine tra la legge e l’illegalità, contrabbandando forniture mediche con la stazione spaziale di New Hong Kong.
È questo lo spunto da cui parte Angelo meccanico, che in effetti vede Carlucci come semplice comprimario di Tanner, vero protagonista della storia, ossessionato dagli incubi del proprio passato da sbirro e ancora perseguitato da alcuni drammi personali irrisolti, inclusa la morte della sua ragazza. Per uno scherzo del destino Tanner s’imbatte in Sookie, una bambina di strada che vive di stratagemmi e che somiglia incredibilmente proprio a Carla, al punto da poterne essere la figlia, se Carla non fosse morta prima che Sookie nascesse. Le loro storie s’intrecciano in un meticoloso montaggio parallelo, condotto da Richard Paul Russo con precisione cronometrica e rigore assoluto, fino a uno scioglimento tutt’altro che scontato.
Ho potuto recuperare il libro grazie alla provvidenziale ristampa nei Capolavori di Urania, e dopo averlo letto mi permetto di dire che la decisione di ripubblicarlo è stata quanto mai opportuna: Angelo meccanico non sarà forse un capolavoro del genere, ma è senz’altro uno di quei lavori in grado di alzarne la qualità percepita, sia dai fan che dai lettori occasionali. Per di più, mentre si accinge a sbarcare su Netflix la serie evento tratta dai romanzi di Richard K. Morgan incentrati sul personaggio di Takeshi Kovacs, vale la pena rilevare come Altered Carbon (in italiano tradotto da Vittorio Curtoni e uscito per la Nord con il titolo Bay City) condivida con la serie di Carlucci alcuni spunti di comune interesse, come l’ambientazione nella Bay Area, la violenza estrema del contesto urbano e dei personaggi fortemente caratterizzati attraverso un passato che non riescono in nessun modo a lasciarsi alle spalle. Per quanto abbia un buon ricordo di Cyberblues – La missione di Carlucci, letto alla sua uscita nel lontano 1999, non ho mai avuto l’occasione di imbattermi nel terzo romanzo per completare la serie, quel Frank Carlucci Investigatore uscito in una collana speciale e per questo forse meno facile da trovare nel mercato dell’usato. Non posso quindi fare altro che augurarmi che Urania prosegua su questa linea e decida di riproporre presto ai suoi lettori anche gli altri due volumi, strettamente incentrati sulle vicende private e professionali del tenente Carlucci.
Sarebbe una splendida notizia per i suoi aficionados e, credo, anche per stuzzicare i lettori più intrepidi delle collane sorelle.
Carlucci fece una breve, aspra risata. – Sai che sorpresa, Tanner. Senti, non lo metto in discussione, ma c’è una cosa che dovresti ricorda.
– Sì? Cosa?
– Che è il solo mondo che abbiamo.
Se come me avete apprezzato (o apprezzerete) Angelo meccanico, potrebbero piacervi anche i seguenti titoli.
Letture consigliate
- Richard Paul Russo, Cyberblues – La missione di Carlucci, Mondadori, Urania n. 1374, 1999
- Richard Paul Russo, Frank Carlucci Investigatore, Mondadori, Urania Speciale n. 11, 2000
- Alan Dean Foster, Il meridiano della paura, Mondadori, Urania n. 1518, 2007
- James E. Gunn, Gli immortali, Mondadori, Urania n. 1506, 2006
- K. W. Jeter, Noir, Fanucci, Solaria n. 1, 2000
- Marco Minicangeli, Uomo n, Mondadori, Segretissimo n. 1566, 2010
- Maico Morellini, Il re nero, Mondadori, Urania n. 1676, 2011
- Richard K. Morgan, Bay City, Tea Due, 2006
- Richard K. Morgan, Angeli spezzati, Editrice Nord, 2005
- Richard K. Morgan, Il ritorno delle furie, Editrice Nord, 2008
- Alan E. Nourse, Medicorriere, Mondadori, Urania n. 876, 1981
- Jack O’Connell, Il verbo si è fatto carne, Garzanti Libri, 2000
- Masamune Shirow, The Ghost in the Shell, Star Comics, Perugia, 2017
- Masamune Shirow, Ghost in the Shell 2: Man Machine Interface, Star Comics, Perugia, 2004
- Michael Marshall Smith, Ricambi, Garzanti Libri, 1999
- Dario Tonani, Infect@, Mondadori, Urania n. 1521, 2007
- Dario Tonani, Toxic@, Mondadori, Urania n. 1574, 2011
- Dario Tonani, L’algoritmo bianco, Mondadori, Urania n. 1544, 2009
- Nicoletta Vallorani, Il cuore finto di DR, Mondadori, Urania n. 1215, 1993
- Nicoletta Vallorani, DReam Box, Mondadori, Urania n. 1308, 1997
- Nicoletta Vallorani, Eva, Einaudi, 2002
- Francesco Verso, E-Doll, Mondadori, Urania n. 1552, 2009
Visioni consigliate
- Laeta Kalogridis, Altered Carbon, Netflix, 2018 (streaming)
- Ridley Scott, Blade Runner, Warner Bros, 2011 (home video)
- Denis Villeneuve, Blade Runner 2049, Universal, 2018 (home video)
- Tony Maylam e Ian Sharp, Detective Stone, Mondo Home Entertainment, 2005 (home video)
- Mamoru Oshii, Ghost in the Shell, Dynit, 2017 (home video)
- Mamoru Oshii, Ghost in the Shell – Innocence, Terminal Video Italia, 2012 (home video)
- Josef Rusnak, Il tredicesimo piano, Universal, 2010 (home video)
- Kathryn Bigelow, Strange Days, Twentieth Century Fox, 2010 (home video)
Con colpevolissimo e ingiustificato ritardo, vi segnalo l’uscita, ormai da un paio di settimane, del nuovo numero di Quaderni d’Altri Tempi, con l’intervento che vi avevo annunciato su Samuel R. Delany e La Ballata di Beta-2: s’intitola in maniera un po’ altisonante, ma consistente con l’argomento di fondo del romanzo, che può essere letto come una trasposizione della narrazione cristiana della Passione. Il libro contiene, come sempre accade con Delany, anche molto di più.
Anche questo numero di QdAT contiene molto di più. Non ho ancora finito di leggerlo, ma spulciando nel sommario ne troverete sicuramente a sufficienza da soddisfare i vostri gusti. Personalmente, ho davvero molto apprezzato le riflessioni di Roberto Paura e Valerio Pellegrini innescate da due dei migliori film dell’ultima stagione, rispettivamente Ex Machina (di cui mi riprometto di parlarvi a mia volta) e Mad Max: Fury Road.
Concludo invitando chi si fosse lasciato sfuggire il romanzo di Delany in edicola a recuperarlo in formato elettronico (per esempio qui). Gli e-book sono la salvezza dell’appassionato e questa ne è la prova.
Artwork by Leo and Diane Dillon, via io9.
Ogni volta che prendo — o riprendo — tra le mani un’opera di Samuel R. Delany, sia un racconto, una novella o un romanzo, mi scopro a sorprendermi di quanto il caro vecchio “Chip” abbia ancora da insegnarci.
Nel 2006, dopo una lunga campagna di caccia per bancarelle e librerie dell’usato, per la prima volta riuscivo a mettere le mani su una copia logora e polverosa de La Ballata di Beta-2: si trattava del BiGalassia curato da Vittorio Curtoni e Gianni Montanari (artefici anche della traduzione) che lo riuniva con Babel 17. Quella primavera erano trascorsi più di trent’anni dalla sua stampa (nonché ultima manifestazione editoriale della Ballata), e circa quaranta dalla pubblicazione dei testi originali, ed entrambi non erano invecchiati di un solo giorno.
Negli anni mi è poi capitato di rileggerli entrambi diverse altre volte, in preda a un’assuefazione crescente. A quel punto, come insegna William Gibson (nel racconto Il mercato d’inverno, da La notte che bruciammo Chrome), avrei dovuto vedere attenuarsi progressivamente l’effetto che quelle pagine avevano su di me:
— Effetto truffa — dissi, arrotolando un pezzo di cavo.
— Come?
— È il sistema che usa la natura per dirti di piantarla. È una specie di legge matematica: puoi avere vera soddisfazione da uno stimolante solo un tot di volte, anche se aumenti la dose. Ma non riuscirai mai a ricavarne l’effetto che hai provato le prime volte. O comunque non ne saresti capace. Questo è il guaio con le droghe sintetiche: sono troppo furbe.
Invece la dipendenza non ha comportato un aumento della soglia di tolleranza: anzi, ogni rilettura portava con sé un piacere nuovo, inatteso.
L’ultima volta è capitato con La Ballata di Beta-2 alcune settimane fa, in occasione dell’attesa ristampa di Urania nella sua collana dei classici. Rileggerlo mi ha pervaso di un senso di soddisfazione e appagamento, come da sempre mi capita con i lavori di Delany. Non riesco a pensare a nessun altro autore provvisto della stessa abilità del caro vecchio Chip di incantarmi e tenermi incollato alle sue storie. Il giro delle frasi reso magistralmente dai suoi eccellenti traduttori italiani, la carica visionaria delle immagini, la forza dirompente dei concetti sottesi alla sua letteratura. Spesso le storie di Delany ci parlano di futuri lontanissimi, in cui l’umanità si è diffusa per tutta la galassia — se non ha già addirittura tentato qualche salto al di là dei suoi bordi — eppure il legame con l’epoca dell’autore si avverte in maniera indubitabile e riverbera nei nostri tempi, un segno inequivocabile delle opere destinate a restare.
Lette durante i giorni più caldi e bui della crisi dei migranti, diverse pagine de La Ballata di Beta-2 si caricano di una luce nuova, che le rende se possibile ancora più vivide. Più o meno in quei giorni mi capitava anche di leggere questa disamina a firma di Gioacchino Toni, apparsa su Carmilla on line, del volume La costruzione dell’immaginario seriale contemporaneo. Eterotopie, personaggi, mondi, una raccolta di articoli curata da Sara Martin sviluppati “dall’idea che la serialità si trovi ad essere al centro di una tensione trasformatrice della società contemporanea”. In quell’articolo trovavo anche un particolare passaggio, riferito a un’analisi di The Walking Dead, che accendeva una serie di risonanze con l’attualità e, di riflesso, con La Ballata di Beta-2:
Lo scritto di Gabriele de Luca si occupa della rappresentazione dello straniero attraverso la figura del morto vivente in The Walking Dead (AMC, dal 2010). Prima di affrontare direttamente la serie, l’autore ricostruisce brevemente come la figura del morto vivente si presti a divenire nelle produzioni audiovisive contemporanee metafora “dello straniero, e più precisamente del migrante, quello irregolare, che si sposta clandestinamente, che viaggia senza i documenti necessari”. Analizzando le caratteristiche dello zombie, suggerisce de Luca, diviene possibile “riflettere sullo statuto attuale di questa figura” e sulla “rappresentazione dell’altro nei media contemporanei”.
Il classico dilemma circa la vera natura dei morti viventi torna anche in The Walking Dead: queste figure appartengono o meno al genere umano? I morti viventi della serie si presentano trasandati, pallidi, affamati e muti. “Gli zombie, come i migranti ridotti al silenzio dalle culture dominanti, sono muti, incapaci di articolare le proprie rivendicazioni, in grado a malapena di dialogare tra loro”. L’elemento che però sembra accomunare maggiormente zombie e migranti irregolari è la deindividualizzazione. I media rappresentano quasi sempre i migranti, esattamente come gli zombie, come folla, come orda che avanza col fine ultimo di sconvolgere la vita delle comunità civili. Tra le peculiarità della serie esaminata, de Luca individua il fatto che “la presenza dei walkers da stato d’eccezione diventa caratteristica costante di un mondo nuovo, rispetto al quale quello vecchio non è che un ricordo”.
Non so se posso concordare precisamente con il parallelo di De Luca, ma non faccio fatica a trovare corrispondenza tra la percezione dei migranti manifestata da un numero preoccupante di persone e la rappresentazione dei media, spesso congegnata ad hoc (vedi in particolare il discorso della deindividualizzazione) per sottrarre complessità al problema e far leva sulle paure più istintive.
E proprio alla luce di questo mi sono accorto di quanto ha ancora da insegnarci un libro come La Ballata di Beta-2, che ci parla di scontro di civiltà ma inserendo il discorso sui binari dell’incontro, di aspirazioni ottuse all’autarchia e all’isolazionismo che vengono decriptate solo attraverso la ricerca, il confronto e la comprensione, di progresso come un’attitudine da condividere, non come una risorsa da cui escludere l’altro da sé. È un libro denso di insegnamenti, La Ballata di Beta-2. Ecco perché andrebbe letto ancora oggi, e magari fatto leggere soprattutto ai lettori più giovani.
E già che ci sono vi segnalo questa lunga intervista rilasciata da Delany a Rachel Kaadzi Ghansah della Paris Review, in cui vengono affrontati in maniera approfondita numerosi aspetti della condizione umana personale di Delany e della sua scrittura, nonché diversi temi più generali di critica letteraria.
In maniera del tutto inattesa ci ritroviamo a menzionare Alberto Moravia per la seconda settimana di fila. Che il rapporto dell’intellettuale romano con la fantascienza non sia mai stato improntato – non dico alla stima – alla curiosità, all’interesse minimo per ciò che magari non comprendiamo ma in cui possiamo riconoscere se non altro il pregio della dignità, sia pure con riserva, è storia arcinota. La chiusura al nostro genere da parte di Moravia fu totale e senza ripensamenti. E sulla stessa linea sembra muoversi ancora oggi Nuovi Argomenti, la rivista di critica letteraria che Moravia contribuì a fondare nel 1953 e che oggi rivive in una quinta incarnazione, sotto la cura di un direttorio ben partecipato e sotto l’egida del Gruppo Mondadori.
Nuovi Argomenti ha dedicato l’ultima uscita dell’anno, il numero 68 di ottobre-dicembre 2014, alla fantascienza in Italia. O almeno questo deve essere stato il proposito, denunciato fin dal titolo, che accosta quello della più longeva collana italiana di genere al capolavoro di Ray Bradbury (immortalato per il cinema da François Truffaut), sincera e appassionata dichiarazione d’amore per i libri, le storie e la lettura: Urania 451 s’intitola questo numero monografico, ed è un titolo che alle mie orecchie fin da subito è suonato un po’ troppo lugubre e sinistro per alimentare buoni auspici.
Fahrenheit 451, infatti, alludeva alla temperatura di combustione della carta. E tutta la storia concepita da Bradbury è incentrata sulla salvaguardia e la preservazione della conoscenza umana da parte di Guy Montag, un ex-membro pentito del corpo dei pompieri deputato alla distruzione dei libri in un regime distopico fondato sul controllo dei mass media e il potere egemonico della televisione. La stessa causa che sembra essere stata sposata dalla rivista letteraria di casa Mondadori. Quella del corpo dei pompieri, non quella del redento Guy Montag. Leggi il seguito di questo post »
La fantascienza italiana si regge su una piccola ma matematica certezza: che il prossimo titolo che uscirà a firma di un autore italiano sarà il bersaglio facile e sicuro di polemiche infinite. Le contestazioni potranno essere più o meno accese, ma accompagneranno di certo ogni nuova uscita. Chiunque ne sia l’autore, ma meglio se giovane ed esordiente. E in genere il picco annuale si verifica a novembre, quando tipicamente Urania dà alle stampe il vincitore del premio annuale della collana.
“Gli italiani non sono all’altezza degli autori d’oltreoceano” (come se la metà degli autori anglofoni non fossero invece d’oltremanica)… “Che noia vince sempre un fantapoliziesco” (o un poliziesco futuristico… e in ogni caso, “basta con questi fantapolizieschi italiani!”)… Sono le obiezioni più frequenti. E via di questo passo. Maico Morellini, vincitore del Premio Urania 2010 e attualmente in tutti gli store digitali con il suo serial I Necronauti, ha pubblicato a riguardo un puntuale e condivisibile intervento sul suo blog.
Il problema, io credo, è tutto nelle dimensioni della comunità. Lo zoccolo duro dei lettori di fantascienza è davvero ridotto e in esso non c’è stato praticamente nessun ricambio generazionale. Manca la massa critica per poter stimolare una rete virtuosa di relazioni, anche a livello di feedback davvero costruttivi e utili per costruire un trend futuro. Per di più chi legge oggi fantascienza è molto probabilmente un lettore che ha formato il suo gusto negli anni ’70 o ’80, al più tardi. Prima che in Italia arrivasse il cyberpunk, per farsi un’idea. E proprio il cyberpunk, quando alla fine è arrivato all’attenzione del pubblico italiano, infastidì molti per la sua astrusità e per il ribaltamento delle convenzioni del genere, meritandosi una condanna – diffusa e generalizzata – per lesa maestà. Forse lo slancio ribelle di una fantascienza strettamente vincolata all’underground e alle sottoculture era già un affronto troppo insopportabile al loro gusto. Ma forse, se in Italia il cyberpunk non ha avuto il successo che ha conosciuto altrove anche fuori dal mondo anglosassone (penso al Giappone o alla Russia), è anche perché già in quegli anni, a cavallo tra gli ’80 e i ’90, si poneva il problema del ricambio generazionale. I giovani non leggevano più fantascienza. O forse, semplicemente, i giovani non leggevano più e basta.
Ma torniamo ai giorni nostri. Una comunità di appassionati di fantascienza incapaci di riconoscere l’importanza del cyberpunk è grosso modo altrettanto autorevole di una comunità di appassionati di aeronautica incapaci di guardare oltre le turboeliche. O una comunità di appassionati di fumetti arroccati sulla Silver Age. Vi pare possibile? Le nicchie sono sempre esistite, e ovunque vi sia una cultura sufficientemente florida e ampia fioriscono le sottoculture. Il nostro problema, in ambito fantascientifico, è che un numero troppo ridotto di appassionati ha avuto modo di scoprire e affezionarsi a ciò che è accaduto da un certo punto in avanti. Semplicemente. In questo modo è venuta a mancare una condizione necessaria a garantire l’equilibrio tra i diversi filoni. Che non è necessariamente vincolato al dato anagrafico, ma di certo in un campo come questo l’età gioca un ruolo non trascurabile. Si è avuto così un consolidamento di posizioni di retroguardia. Con il risultato di un impoverimento generale del gusto.
Bisognerebbe chiedersi quanti dei lettori che criticano così aspramente l’ultimo Premio Urania abbiano letto qualcosa di inglese o americano uscito negli ultimi dieci o quindici anni. E tra questi, che frazione della loro dieta fantascientifica è rappresentata da romanzi di autori contemporanei di fantascienza. Ho il forte sospetto che il Premio Urania sia semplicemente un parafulmine, e che serva a scaricare un bacino di elettricità ben più ampio della nuvoletta italiana sospesa sulla sua verticale. Tutto l’orizzonte è coperto di nuvoloni grigi, dal Regno Unito all’America, per non parlare del resto del mondo.
Oggi il lettore medio di fantascienza attivo sui social network o sui blog, fateci caso, è quasi sempre qualcuno con una sua ricetta. Esce un nuovo libro? E lui è pronto a fornire all’editore la ricetta di quello che avrebbe invece dovuto pubblicare in alternativa. E se il libro è italiano via con la girandola delle obiezioni di cui sopra. Sarà che gli appassionati di fantascienza non scrittori (o aspiranti tali) sono davvero pochi per poter scongiurare il sospetto del commento interessato. Sarà che gli scrittori di fantascienza italiani sono davvero così impreparati…
Come ho avuto modo di dire, altrove la situazione è ben diversa: si vive di curiosità per il nuovo e per ciò che è diverso. E per fortuna gli orizzonti si vanno facendo sempre più ampi. Onestamente, preoccuparci oggi di ciò che può piacere a una comunità di pochi lettori, capace di esprimere un volume davvero risicatissimo di opinioni credibili e/o autorevoli, dovrebbe essere chiaro a tutti, non è un gioco che ripagherà né sul breve né sul medio né sul lungo periodo. Quindi a che pro giocarlo?
È tutto tempo sprecato quello investito nella fatica di far cambiare idea a un lettore riluttante, quali che siano le sue ragioni.
Il lettore medio di fantascienza ha la sua ricetta? Si scriva pure il suo libro, provi un po’ a farselo pubblicare e stia pur sereno che nel caso c’è pur sempre Amazon, lì pronta a lanciare nel circuito l’ennesimo titolo. Noi che della nostra scrittura stiamo provando onestamente a fare un mestiere dovremmo continuare a occuparci della fantascienza vera, quella che guarda al futuro. Non alle macerie del passato, e ai relitti che riflettono lo stato di psicopatologia di massa di questo paese allo sbando.
Nuova rassegna dedicata a Corpi spenti e a ciò che si dice in giro sul romanzo.
Ancora una volta grazie a Thriller Magazine, che dedica nuove attenzioni al romanzo con un intervento mirato del compagno Fazarov, alias Fernando Fazzari, dal titolo Corpi spenti, l’equilibrio dell’inquietudine. Non una recensione vera e propria, in quanto oltre che sodale di penna da lungo tempo Fernando è stato anche uno dei motori primi dietro la nascita di questo libro. L’idea di base è nata proprio nel corso di una chiacchierata con lui. Nel tempo poi Fernando non ha mai mancato di somministrarmi input utili, anche attraverso il semplice confronto sulla scrittura nei progetti a cui abbiamo collaborato e che continuiamo a sviluppare insieme. Inoltre è uno dei miei beta reader e come tale è stato direttamente coinvolto nella prima fase di revisione del romanzo. Però trovo estremamente utile la sua testimonianza, soprattutto sul metodo. E a proposito dell’interazione tra fantascienza e romanzo nero, il compagno Fazarov scrive:
Ma come fanno i due generi a mischiarsi con efficacia? Esiste un rischio: che i due generi sorgente, se non correttamente dosati, si rubino spazio rallentando la narrazione, che poi era quello che accadeva in alcuni passaggi di Sezione π² — il romanzo precedente con protagonista Vincenzo Briganti — mostrando il fianco alternativamente ai detrattori di un genere o dell’altro. Ma se in quell’occasione Giovanni se l’è cavata con la forza dell’ambientazione e dello sviluppo dell’idea di base — una Napoli futura dove si muovono agenti capaci di indagare i ricordi dei morti — con questa prova ha raggiunto un equilibrio efficace tra i generi.
La chiave di volta è stata l’inquietudine, vero punto di contatto tra mondi narrativi che l’editoria e il senso comune vorrebbe vincenti in coppia a prescindere. L’anima nera di Corpi spenti è nell’entropia emotiva che divora i personaggi, nelle atmosfere che fanno del sogno mediterraneo di Jean-Claude Izzo un incubo, nella paranoia che si lega chimicamente all’aria e brucia le sinapsi dell’immenso organo neurale che si compone di individui, ambiente e Stato.
Per leggere l’intervento nella sua interezza, vi rimando alla sua rubrica: Sotto la superficie. Leggi il seguito di questo post »
Il giorno è arrivato! Da oggi potete trovare in edicola Corpi spenti: un distillato purissimo di angoscia urbana post-cyberpunk da centellinare con cura. Il volume cartaceo targato “Urania” sarà disponibile per tutto il mese di giugno, a richiesta dal vostro edicolante di fiducia. L’edizione digitale del romanzo resterà inoltre disponibile al download sui principali store on-line: Amazon, BookRepublic, IBS, inMondadori, LaFeltrinelli, a seconda dei vostri gusti e delle vostre adesioni ideologiche. In attesa della copertina del volume, eccovi intanto la copertina proprio dell’e-book, a firma di Franco Brambilla:
La quarta:
Nel 2049 sono cominciate le operazioni della Sezione Investigativa Speciale di Polizia Psicografica, un gruppo di agenti che possono estrarre informazioni dai morti, recuperandone la memoria. Sono i necromanti e il loro uomo di punta, Vincenzo Briganti, ha risolto nel 2059 il caso battezzato ufficiosamente Post Mortem (ma pubblicato su “Urania” come Sezione π²). Ora siamo nel 2061, anno del bicentenario dell’Unità italiana, e la Bassitalia sta per secedere dal resto del paese “come una coda di lucertola”. Sulla manovra gravano pesanti ipoteche, perché qualcuno pensa di trasformare il Territorio Autonomo del Mezzogiorno in una vera e propria riserva di caccia per i signori della nuova società feudale. Briganti e i suoi colleghi avranno poco meno di un mese per scoprire tutti gli intrighi ed evitare che il Territorio si trasformi in un ghetto tecnologico per schiavi del lavoro… o molto peggio.
Corpi spenti è un libro che si chiude sulla prospettiva di un abisso cosmico. Oltre al noir, alla spy-story, alla fantascienza di derivazione cyberpunk, alle suggestioni post-human, abbiamo anche un richiamo alla più classica fantascienza spaziale. Poche pagine, che però dovrebbero bastare per dare un’idea della complessità dello scenario di questo mondo, dietro le quinte di ciò che vediamo in scena. E che forse potrebbero tornare a essere esplorate, con maggiore accuratezza, nel futuro.
A questo proposito trovo paradigmatica la seguente battuta estratta da Angeli spezzati di Richard K. Morgan:
«Ci pensi, Kovacs. Stiamo bevendo caffè così lontano dalla Terra che le sarebbe difficile distinguere il Sole nel cielo notturno. Siamo stati portati qui da un vento che soffia in una dimensione che non possiamo né vedere né toccare. Immagazzinati come sogni nella mente di una macchina che pensa in modo tanto più evoluto dei nostri cervelli che potrebbe persino portare il nome di dio. Siamo risorti in corpi che non sono i nostri, cresciuti in un giardino segreto lontano dal corpo di ogni donna mortale. Sono questi i fatti della nostra esistenza, Kovacs. Mi dica, in cosa sono diversi, o meno mistici, della fede che esista un regno dove i morti vivono in compagnia di esseri talmente al di là di noi da essere costretti a chiamarli dei?»
Oggi si chiude questo ciclo di articoli che ci ha tenuto compagnia nelle ultime due settimane. Corpi spenti si appresta ad atterrare in edicola e in versione e-book su Amazon e sugli altri store on-line, dove potrete facilmente recuperare la vostra copia (il volume cartaceo di Urania, vi ricordo, resterà disponibile fino a fine mese). Se ne avrete voglia potrete passare da queste parti per farmi avere la vostra opinione sul libro.
Ci leggiamo nel futuro.
Tra circa due settimane Corpi spenti arriverà finalmente in edicola, pubblicato come numero 1607 di Urania, la collana che da oltre 60 anni è sinonimo di fantascienza in Italia. Sul volume in edicola questo mese trovate già una presentazione del romanzo, che vado a riprodurre fedelmente:
Nel 2049 cominciano le operazioni della Sezione Investigativa Speciale di Polizia Psicografica, un gruppo di agenti che possono estrarre informazioni dai morti, recuperandone la memoria. Sono i Necromanti e il loro uomo di punta, Vincenzo Briganti, risolverà nel 2059 il caso battezzato ufficiosamente Post Mortem (ma pubblicato su “Urania” come Sezione π²). Ora siamo nel 2061, anno del bicentenario dell’unità italiana, quando la Bassitalia sta per secedere dal resto del paese “come una coda di lucertola”. Sulla manovra gravano pesanti ipoteche, perché qualcuno pensa di trasformare il Territorio Autonomo del Mezzogiorno in una vera e propria riserva di caccia per i signori della nuova società feudale. Briganti e i suoi colleghi avranno poco meno di un mese per scoprire tutti gli intrighi ed evitare che il Territorio si trasformi in un ghetto tecnologico per schiavi del lavoro… o molto peggio.
Un lancio niente male. Nei prossimi giorni vorrei accompagnarvi in un percorso di avvicinamento all’opera che ne sveli progressivamente le caratteristiche, attingendo direttamente agli archivi dello Strano Attrattore, sul quale tra il 2010 e il 2011 tenevo traccia degli sviluppi in fase di stesura e revisione.
Intanto, prima di cominciare con le portate, come si conviene ecco un aperitivo. Vi ho già parlato di Sulle ali della notte (anche su Amazon). Ne approfitto per linkare questa molto più che lusinghiera recensione di Oedipa Drake. Il racconto può essere letto come un antefatto a quanto accade in Corpi spenti e svela altri retroscena della storia segreta della psicografia, continuando a scavare negli angoli bui che avevamo iniziato a conoscere in Sezione π².
Da Napoli, 2061, per il momento è tutto. Restate in ascolto.
Interazioni recenti