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L’articolo che avevo annunciato è online da alcuni giorni su Quaderni d’Altri Tempi. È un pezzo a cui tengo molto e che allo stesso tempo avrei preferito non dover scrivere.
In questi giorni sto scrivendo un articolo su Valerio Evangelisti, che come sapete ci ha lasciati lo scorso 18 aprile. Mi sono così calato nuovamente nelle sue pagine, che in alcuni casi non rileggevo da vent’anni, tornando alle sue atmosfere notturne, fumose, oniriche e malate, e ho ritrovato la grandezza di un autore che, pur nel successo che ha avuto, avrebbe probabilmente meritato una visibilità maggiore in vita, del tipo per esempio giustamente riconosciuto ai giallisti della scuola italiana (Camilleri, Lucarelli, De Cataldo, Carofiglio). Ma Evangelisti non scriveva gialli ma fantascienza, e nonostante i romanzi storici e il resto della sua produzione di genere che mutuava gli schemi dell’avventura e del noir, ne ha portato le stigmate fino alla fine.
Raccogliendo materiale per l’articolo, mi sono imbattuto in questa video-intervista realizzata da Selene Verri e rilanciata pochi giorni dopo la scomparsa di Evangelisti da Silvio Sosio su Fantascienza.com. Nel video, della durata di mezz’ora, Evangelisti dialoga con un altro gigante della fantascienza italiana che ci ha lasciati troppo presto, Giuseppe Lippi, mente enciclopedica, saggista brillante, traduttore e all’occorrenza anche autore (stupendo il suo racconto Il lago d’inferno, incluso nello storico numero 1500 di Urania, Tutta un’altra cosa), e per trent’anni curatore di Urania, la collana di fantascienza più longeva al mondo. In occasione del ventesimo anniversario della sua nomina a curatore avevo avuto il piacere di intervistarlo per il blog della collana, che a quel tempo curavo, e vi rimando al link per recuperare le sue illuminanti parole. Qui sotto invece potete ascoltarlo dialogare con Evangelisti, con uno spunto di riflessione praticamente a ogni frase da loro pronunciata.
Rivedere questa chiacchierata nell’intervista di Selene fa adesso uno strano effetto. Di persona, conoscevo sicuramente meglio Giuseppe, con cui avevamo lavorato a un paio di libri, oltre all’intensa frequentazione ai tempi del blog, e da cui anche nella divergenza delle opinioni c’era sempre da imparare qualcosa: nei contenuti e negli atteggiamenti, aspetti che si potrebbero ricondurre all’essenza della professionalità, merce purtroppo sempre più rara. Conoscevo un po’ meno Valerio, che tuttavia non mi aveva mai negato una risposta a un’e-mail, una prefazione o uno strillo di copertina, esperienza che qualsiasi appassionato, lettore o scrittore abbia provato negli anni a contattarlo o coinvolgerlo in qualche progetto non potrà che confermare. Avevamo anche condiviso alcune antologie, e altre avremmo potuto farne se i suoi impegni e la salute non gli avessero imposto negli ultimi anni di ridurre i fuori programma. Sentirli parlare di fantascienza (e non solo) con la loro verve e competenza, con quella lucidità e profondità che li contraddistingueva, è qualcosa che sarà solo in parte compensato dalle loro opere, benché monumentali.
Con la loro dipartita da questa terra, abbiamo perso altri due giganti sulle cui spalle potevamo arrampicarci per scrutare tra le nebbie del futuro.
Quando parliamo di fantascienza parliamo di qualcosa che:
a. ricade in una o più delle seguenti categorie:
protofantascienza, scientific romance, weird fiction, space opera, planetary romance, viaggio nel tempo, sword and planet, fantascienza sociologica, hard science fiction, soft science fiction, fantascienza antropologica, distopia, ucronia, fantascienza libertaria, military science fiction, new wave, fantascienza femminista, space fantasy, primo contatto, science fantasy, future noir, fantathriller, fantapolitica, fantareligione, fantaspionaggio, fantarcheologia, fantahorror, space western, retrofuturismo, afrofuturismo, techno-thriller, fantascienza umoristica, cyberpunk, ribofunk, biopunk, nowpunk, nanopunk, cyber noir, steampunk, clockpunk, sandalpunk, raypunk, dieselpunk, decopunk, atompunk, steelpunk, mythpunk, postcyberpunk, mundane science fiction, connettivismo, fantascienza post-apocalittica, fantascienza catastrofica, silkpunk, solarpunk, lunarpunk, new weird, postumanesimo, techno-weird, climate fiction, discronia, slipstream, nextstream…
e/o b. richiama o si ispira a uno o più dei seguenti concetti:
robot, androidi, umanoidi, mutanti, macchina del tempo, novum, fine del mondo, crepuscolo della Terra, astrogazione, FTL, iperspazio, multiverso, civiltà interstellari, civiltà extraterrestri, alieni, inner space, outer space, ESP, paranormale, pseudoscienze, supereroi, cyborg, cyberspazio, intelligenze artificiali, nanotecnologie, transumanesimo, realtà virtuali, Singolarità Tecnologica, universo simulato, rischi esistenziali, dilemmi etici, altri mondi, società possibili e impossibili…
Sull’ultimo numero di Narrativa, uscito nei giorni scorsi, è presente un dettagliato, puntuale, come al solito documentatissimo e attento intervento di Arielle Saiber sul connettivismo, che comprende anche una lunga intervista al sottoscritto.
Narrativa è una rivista dedicata alla letteratura italiana contemporanea, fondata nel 1992 e pubblicata dalle Presses universitaires de Paris Nanterre. La nuova serie, lanciata nel 2006 e diretta da Silvia Contarini, come si legge dal sito “propone a scadenza annuale saggi e recensioni sulla produzione letteraria più recente, privilegiando una costante riflessione sul rapporto che intercorre tra creazione, immaginario, pensiero, e il tempo presente, l’evento, l’attuale”, “con la convinzione che la letteratura è anche uno stumento di conoscenza e di comprensione delle trasformazioni in corso, sia nel mondo che nell’essere umano”.
Ho avuto modo di dare una sbirciatina al volume in anteprima e sono rimasto impressionato dal saggio di Marco Malvestio, autore anche del recente Raccontare la fine del mondo. Fantascienza e Antropocene per Nottetempo, e che nel suo intervento (Sognando la catastrofe. L’eco-distopia italiana del ventunesimo secolo) conferma un’attenzione per la produzione di genere, anche la meno appariscente e sbandierata dagli editori con etichette improbabili (il classico “non è semplice fantascienza” piuttosto che “trascende la fantascienza”, u.s.w.), che per una volta conforta il senso comune dell’appassionato di fantascienza, e in particolare della fantascienza viva e in continua mutazione degli ultimi vent’anni, non solo quella ormai in gran parte fossile del Novecento. In linea con l’approccio di questo numero, che “nasce dalla definizione della fantascienza italiana come un genere «aperto», all’interno del quale coabitano sottogeneri quali le narrazioni distopiche e eco-distopiche, l’ucronia, i testi post-catastrofisti, e capace di rappresentare le problematiche più attuali della società”.
Purtroppo sia il pezzo di Malvestio che l’intervista che mi ha fatto Arielle risulteranno disponibili on line solo più avanti nel 2022. Ma questo intanto è l’abstract che mi riguarda:
Nel contesto della fantascienza italiana, il connettivismo, in parte seguendo le suggestioni del cyberpunk, ha cercato di mettere in relazioni suggestioni scientifiche e sperimentazioni letterarie. Nell’articolo-intervista, l’autrice ne rintraccia il percorso cronologico e le principali influenze culturali con uno dei più importanti protagonisti.
Mentre questa che segue è la presentazione che ne fanno i curatori Daniele Comberiati e Luca Somigli nella loro introduzione:
Una vocazione transmediale caratterizza anche il progetto del movimento connettivista, di cui dà conto Arielle Saiber in un’ampia intervista a uno dei suoi fondatori, Giovanni De Matteo, preceduta da una nota critica e di poetica. Se il termine “connettivismo” è di derivazione letteraria e rimanda a un autore della fantascienza classica, A. E. van Vogt, la sua ripresa in questo contesto vuole evocare invece quell’incrocio di forme di sapere e di produzione culturale il cui potenziale è stato moltiplicato dalle nuove piattaforme mediatiche, internet prima su tutte. L’intersezionalità è dunque insita nel nome del movimento stesso, teso alla ricerca, come scrive Saiber, di “un tentativo di sintesi e ibridazione: tra linguaggi e forme espressive diverse, tra mondi in opposizione e saperi sbrigativamente considerati inconciliabili, tra generi reputati statici e cristallizzati”. Nel ripercorrere la storia del movimento dal lancio del manifesto fondativo nel 2004, Saiber ne sottolinea la capacità aggregativa intorno a case editrici e progetti online, in un continuo processo di sperimentazione che, pur tenendo la letteratura al suo centro, spazia dalle arti figurative alla musica.
Parla di ciò che sai, è uno dei consigli che gli aspiranti scrittori si vedono rivolgere da colleghi più esperti o dai lettori che la sanno lunga. Ed è una delle prime cose che di solito mi salta alla mente quando mi capita di leggere, sentire o vedere interventi sulla fantascienza che provengono da non addetti ai lavori, in modo particolare in Italia. Per qualche ragione, di certo non del tutto estranea all’effetto Dunning-Kruger, qui da noi, quelle rare volte in cui la fantascienza emerge dal sommerso, succede di inciampare in articoli ospitati dalle più prestigiose testate, e scritti nel tono più solenne, che contenutisticamente tradiscono una ristrettezza di vedute a malapena conciliabile con un intervento poco più che amatoriale.
Scorrendo il blog, si potrebbe costruire una cronistoria di casi simili, ma mi limito a citare il più eclatante, che non più di sei anni fa coinvolse la rivista Nuovi Argomenti con un numero incentrato su una percezione della fantascienza italiana alquanto distorta e parziale.
L’ultimo caso, dei giorni scorsi, coinvolge nientemeno che il magazine dell’Istituto Treccani, con un articolo molto discusso in rete che propone un viaggio testuale in quello che viene definito Primo Corpus Fantascientifico Italiano e che, al di là della bontà dei titoli scelti (tutti meritevoli della massima attenzione), si ferma a qualcosa come una trentina d’anni fa, approfittando di una recente ristampa di Evangelisti (autore della saga di maggior successo della fantascienza italiana, non di certo per merito degli appassionati italiani del genere, che sono in numero esiguo) per fregiarsi di una conoscenza del panorama contemporaneo che dall’articolo non s’intuisce nemmeno da lontano.
Un atteggiamento di sufficienza che reitera, per l’ennesima volta, la vexata, aeterna quaestio, che non sto qui a riprendere. Quello che riprendo, invece, per confronto, è il lavoro che oltreoceano sta svolgendo Arielle Saiber, docente di lingue e letterature romanze al Bowdoin College di Brunswick (Maine), che da ormai un decennio dedica un’attenzione critica alla fantascienza italiana che negli ambienti accademici nostrani non è ancora stata eguagliata. Mi riferisco alla critica accademica e non a quella militante, anche se pure quest’ultima, a parte rare eccezioni (Salvatore Proietti e pochi altri), non se la passa certa meglio. Non che in questi anni non si siano fatti studi e scritti saggi sul genere, ma i casi in cui i nostri ricercatori si sono addentrati nella produzione di genere degli ultimi trenta o quarant’anni, per non dire del nuovo millennio, si possono forse contare davvero sulle dita di una mano, e non servirebbero nemmeno tutte.
Invece, nel lontanissimo Maine, a un oceano di distanza da noi, almeno dal 2011 la professoressa Saiber dedica un’attenzione costante alla produzione nostrana. Il suo è un lavoro che si nutre di una passione profonda e di una rara curiosità, fin dallo studio che la portò all’attenzione degli appassionati italiani (Flying Saucers Would Never Land in Lucca: The Fiction of Italian Science Fiction) e da un numero speciale di Science Fiction Studies curato con Umberto Rossi e Salvatore Proietti, per arrivare al suo ultimo intervento su Simultanea, rivista di media e cultura popolare in Italia, di solo pochi giorni fa: un’introduzione alle attività del collettivo connettivista.
Ora, sarebbe fin troppo facile rifugiarsi nell’antico adagio del nemo propheta in patria. Ben più amaro e motivo di disappunto, forse, è constatare invece che mentre da noi l’approssimazione è ormai la norma, al punto da ricadere periodicamente negli stessi errori, nelle stesse distorsioni, negli stessi vuoti di memoria, altrove un modo serio per fare critica, per parlare di fantascienza, perfino di fantascienza italiana, non solo è possibile, ma è ormai una consuetudine. Appunto, non è occasionale né estemporaneo, ma è il risultato di una pratica che richiede dedizione, studio, e sicuramente immersione. Che per farlo si debba andare a 6.500 chilometri di distanza, è una cosa che dovrebbe darci da pensare.
Seconda segnalazione robotica in meno di una settimana, per annunciarvi che è uscito il numero 90 della leggendaria rivista di fantascienza fondata da Vittorio Curtoni e attualmente diretta da Silvio Sosio, e che tra le sue pagine ha trovato in extremis confortevole asilo anche il mio articolo-moloch sullo sviluppo semiotico dell’utopia. Perché se è vero che il blog è impermanente per definizione, come tutto quello che è codificato in pacchetti di bit in un server oceanico da qualche parte, le pagine di Robot sono per sempre.
Se proprio vogliamo, quello che manca in un libro come Nato nella paura, la raccolta delle interviste rilasciate da Thomas Ligotti curata da Matt Cardin, è un indice dei titoli e dei nomi che aiuti il lettore a recuperare il bandolo della matassa dei riferimenti disseminati dal bardo oscuro di Detroit nelle sue confidenze. Con il proposito di colmare almeno in parte quella lacuna, riporto qui di seguito una bozza da me predisposta durante la lettura. Non posso escludere dimenticanze o omissioni, ma credo possa ambire a un grado di accuratezza prossimo o superiore al 90%.
Nota: i titoli sono in corsivo, gli autori in tondo; i titoli dei racconti di Ligotti sono riportati come citati nel testo, anche laddove siano già presenti delle traduzioni italiane; tra parentesi i numeri delle pagine contenenti le relative menzioni. Il simbolo ⇒ si riferisce ai richiami tra i diversi testi e autori.
Racconti di Ligotti che richiamano Lovecraft e i Miti
I mistici di Muelenburg (22, 23)
La setta dell’idiota (22, 240, 241, 243)
Vastarien (22, 36)
La voce nelle ossa (36)
Racconti di Ligotti ispirati alle sue letture
L’ultima avventura di Alice (26, 111) ⇒ Lewis Carroll
Sogno di un manichino (35, 39) ⇒ Vladimir Nabokov
Il più grande festival delle maschere (35) ⇒ Samuel Beckett, Ramsey Campbell
Mascherata della spada morta (35, 250) ⇒ Edgar Allan Poe
I patimenti del dottor Thoss (35, 109) ⇒ M. R. James, Harry Morris
Bevi a me solo con occhi labirintini (27, 35, 63) ⇒ Stanley Elkin, Gòngora, Donne, Marvell, Ben Johnson
Clinica del dottor Locrian (72), La straziante resurrezione di Victor Frankenstein (196) ⇒ Mary Shelley
La macchia astronomica (86) ⇒ Bruno Schulz
L’isola del dottor Moreau (197) ⇒ H. G. Wells
Racconti di horror corporativo
I Have a Special Plan For This World (74, 81, 83, 110, 122-123, 187) ⇒ My Work Is Not Yet Done (74, 80, 81, 83, 85, 101, 123, 124, 178-179, 223, 225) ⇒ The Nightmare Network (75, 83, 122) ⇒ Il nostro supervisore temporaneo (84, 123) ⇒ A favore dell’azione punitiva (84, 123) ⇒ Purezza (123) ⇒ Il responsabile cittadino (123, 162-163)
Altri titoli di Ligotti
L’abisso delle forme organiche (87)
L’arte perduta del crepuscolo (33)
I bozzoli (84, 109)
Il chimico (62, 66, 84, 101)
Le consolazioni dell’orrore (38)
Conversazioni in lingua morta (39)
Di notte, al buio. Appunti critici sulla narrativa del mistero (208)
Dr. Voke e Mr. Veech (143, 197)
Les Fleurs (197)
The Frolic (156-157)
Ghost Stories for the Dead (124)
In una città straniera, in una terra straniera (69, 187)
Luna park (86)
La Medusa (37)
Il miraggio eterno (64)
The Night School (110)
Gli occhiali nel cassetto (69, 109)
L’ordine dell’illusione (109)
Il pagliaccio marionetta (164-165, 168)
The Shadow at the Bottom of the World (63, 85, 110, 245)
I sonagli suoneranno per sempre (70)
Teatro grottesco (66, 122)
La torre rossa (171-172)
L’ultimo banchetto di Arlecchino (70, 121-122, 133, 154, 184, 232)
Il villino (64, 109, 243)
La cospirazione contro la razza umana (ampiamente citato)
Crampton (sceneggiatura scritta con Brandon Trenz, 89-91)
Modelli e fonti di ispirazione di Ligotti
Charles Baudelaire (62, 234)
Samuel Beckett (26, 38, 44, 239)
Thomas Bernhard (44, 91, 116-118, 126, 172, 216)
Aloysius Bertrand (44)
Algernon Blackwood (21, 22, 34)
William Peter Blatty (107)
Jorge Luis Borges (35, 44, 69, 126, 212)
Joseph Payne Brennan (34, 68, 92)
William S. Burroughs (69, 75, 118, 126, 216)
Dino Buzzati (44, 68, 73, 229)
James Branch Cabell (107, 110)
Ramsey Campbell (43, 92, 212)
Raymond Chandler (216, 248)
E. M. Cioran (35, 69, 97, 117, 133, 171)
Samuel Taylor Coleridge (220)
Géza Csàth (73)
Rubén Dario (62)
Len Deighton (174)
Philip K. Dick (174)
Arthur Conan Doyle (ampiamente non citato)
Ronald Firbank (107)
Gustave Flaubert (36)
William H. Gass (216)
Nikolaj Vasil’evič Gogol’ (26, 40, 216, 229)
Witold Gombrowicz (229)
Stefan Grabinski (233-235)
John Grisham (174)
Sadeq Hedayat (62)
E.T.A. Hoffmann (38, 229)
Joris-Karl Huysmans (62)
Henry James (113)
M. R. James (22, 33, 34, 41, 92, 227)
Franz Kafka (86, 92, 212, 229)
T.E.D. Klein (43, 92, 212)
John Le Carré (173)
Giacomo Leopardi (69)
H. P. Lovecraft (ampiamente citato)
Arthur Machen (21, 22, 41, 92, 128)
Vladimir Nabokov (26, 35, 126, 210)
Mervyn Peake (110)
Edgar Allan Poe (ampiamente citato)
Hagiwara Sakutaro (62)
Bruno Schulz (35, 44, 73, 86, 92, 118, 126, 211, 235-238, 244)
Arthur Schopenhauer (97, 137, 231-232)
William Shakespeare (131, 170)
Logan Pearsall Smith (44)
Gertrude Stein (216)
Hunter S. Thompson (221)
Roland Topor (40)
Georg Trakl (44)
Lev Nikolàevič Tolstoj (170)
Mark Twain (119)
Paul Valéry (86, 246)
Paul Verlaine (62)
Stanislaw Ignacy Witkiewicz (238)
Peter Wessel Zapffe (ampiamente citato)
Decadentisti francesi (38, 44, 62, 216)
Espressionisti tedeschi (35, 38)
Poeti metafisici inglesi (35)
Scrittori buddhisti (97)
Tragedia giacobita (216)
Opere di altri autori
J. Améry, Levar la mano su di sé (134)
S. Beckett, Aspettando Godot (49)
D. Benatar, Meglio non essere mai nati. Il dolore di venire al mondo (231)
A. Blackwood, I salici (48, 112, 209)
W. P. Blatty, L’esorcista (107-108)
W. S. Burroughs, Le città della morte rossa (219-220)
W. S. Burroughs, Pasto nudo (220)
W. S. Burroughs, Terre occidentali (118)
R. Campbell, Demons by Daylight (43)
J. Conrad, Cuore di tenebra (106)
G. Csàth, Oppio e altre storie (214)
J. Ferry, Le tigre mondain (213)
N. V. Gogol’, Il cappotto (162, 211)
N. V. Gogol’, Il naso (211)
S. Grabinski, L’amante di Szamota (234)
S. Grabinski, L’area (234)
K. Hamsun, Fame (177)
H. Hesse, Il lupo della steppa (177)
G. Heym, L’autopsia (73)
E. T. A. Hoffmann, L’uomo della sabbia (229)
W. S. Home, Hollow Faces, Merciless Moons (213)
A. E. Housman, Un ragazzo dello Shropshire (151)
E. Ionesco, La foto del colonnello (213)
S. Jackson, L’incubo di Hill House (20-21, 29, 127)
F. Kafka, Il processo (154, 162, 245)
P. Kapleau, I tre pilastri dello Zen (169)
D. Kiš, Giardino, cenere (213)
T. E. D. Klein, I fatti di Poroth Farm (151, 212)
Lautréamont, Canti di Maldoror (102)
J. S. Le Fanu, Tè verde (59)
H. P. Lovecraft, Il caso di Charles Dexter Ward (107, 241)
H. P. Lovecraft, Il colore venuto dallo spazio (39, 45, 48, 175)
H. P. Lovecraft, L’estraneo (231)
H. P. Lovecraft, L’immagine della casa (240)
H. P. Lovecraft, Le montagne della follia (45)
H. P. Lovecraft, La musica di Erich Zann (26, 45, 112)
H. P. Lovecraft, Nyarlathotep (244)
H. P. Lovecraft, L’ombra venuta dal tempo (26, 45)
H. P. Lovecraft, Il richiamo di Cthulhu (175)
H. P. Lovecraft, La ricorrenza (26)
H. P. Lovecraft, Vicende riguardanti lo scomparso Arthur Jermyn e la sua famiglia (153)
A. Machen, Arcieri (25)
A. Machen, Il grande dio Pan (207)
A. Machen, Il popolo bianco (207)
A. Machen, I tre impostori (207)
C. Michelstaedter, La persuasione e la rettorica (134)
L. Millman (a cura di), A Kayak Full of Ghosts: Eskimo Tales (213)
V. Nabokov, Lolita (115)
R. Otto, Il sacro (115)
E. A. Poe, Il barile di Amontillado (165, 216)
E. A. Poe, Il crollo della casa Usher (155, 175, 211)
E. A. Poe, Il cuore rivelatore (25, 155, 165, 209, 211)
E. A. Poe, Filosofia della composizione (248)
E. A. Poe, Marginalia (113)
E. A. Poe, La maschera della morte rossa (35, 39)
J. P. Sartre, La nausea (177)
B. Schulz, La via dei coccodrilli (118)
G. Stein, C’era una volta gli americani (247)
D. F. Wallace, La persona depressa (152)
S. I. Witkiewicz, Sonata di Belzebù (214)
P. W. Zapffe, L’ultimo messia (97, 139, 153)
Film
2022: I sopravvissuti (233)
L’alba dei morti viventi (174)
Alien (73, 174)
Apocalypse Now (105)
A prova di errore (174)
A sangue freddo (173)
A Venezia… un dicembre rosso shocking (174)
Bel Air (174)
Il buio oltre la siepe (174)
Cape Fear (174)
Carrie – Lo sguardo di Satana (174)
C’era una volta in America (82)
Chinatown (173)
Codice Trinity: attacco all’alba (174)
Comma 22 (173)
La conversazione (173)
Copycat (174)
La cosa (73, 174)
… e l’uomo creò Satana (174)
Equus (173)
L’esorcista (174)
La formula (136)
Il gabinetto del dottor Caligari (27, 73)
Il giorno dei morti viventi (175)
Impostor (174)
Inception (244)
Gli invasati (20, 29, 127, 174)
L’invasione degli ultracorpi (174)
JFK (174)
Il maratoneta (173)
Minority Report (174)
Misery non deve morire (174)
La mosca (174)
Il mostro (174)
Nosferatu (27)
La notte dei morti viventi (175)
Oltre il giardino (173)
Il padrino (173)
Perché un assassino (174)
Piccoli omicidi (206)
Poltergeist (174)
Psycho (174)
Il presagio (174)
Quel pomeriggio di un giorno da cani (173)
Quinto potere (173)
I ragazzi venuti dal Brasile (173)
Relentless (174)
Il seme della follia (175)
Sette giorni a maggio (174)
Se7en (167, 174)
Shining (174)
Sindrome cinese (174)
Sleuth (173)
La spia che venne dal freddo (173)
La stangata (173)
Sweeney Todd (151)
La talpa (173)
Taxi Driver (173)
Total Recall – Atto di forza (174)
I tre giorni del Condor (136)
Tutti gli uomini del presidente (173)
Tutti gli uomini di Smiley (173)
Gli uccelli (174)
Ultimi bagliori di un crepuscolo (174)
Vampyr (27)
Per me, leggere un racconto dell’orrore dovrebbe somigliare molto a sognare, e più simile a un sogno è un racconto, più mi colpisce. Non sono il primo a dire che l’incubo, non il giornale del mattino, è il modello ideale per la narrativa horror. Persino l’elemento soprannaturale è sacrificabile. Tuttavia, quello che rimane cruciale è la sensazione del soprannaturale, la sensazione di qualcosa di tremendo e meraviglioso che va oltre ogni analisi, una sensazione che potrebbe benissimo essere ispirata da qualcosa che di solito consideriamo «normale», come la pazzia o la morte (Poe lo fa con risultati incredibili, specialmente nel Cuore rivelatore, dove sfrutta una semplice vignetta raccapricciante per evocare tutta la potenziale singolarità, il mistero, l’orrore spirituale della morte e della pazzia). E il senso del soprannaturale è qualcosa che nasce dal confronto tra il lettore e il racconto, non da una divisione tra reale e irreale interna al racconto stesso. Naturalmente, avere livelli diversi di realtà narrativa è utile e va bene, ma non per forza è una fonte di orrore. Una volta che sei intrappolato in un incubo – intendo un incubo come si deve – nessuno deve venire a chiederti di sospendere l’incredulità riguardo all’orrore che sta per travolgerti. Per Lovecraft, la violazione delle leggi di natura era il concetto più terribile della mente umana, ma in un racconto del soprannaturale una violazione di questo tipo potrebbe altrettanto facilmente liberarci dal terrore, a seconda di chi la sta praticando e perché (cito le potenze benevole degli Arcieri di Machen). Persino Lovecraft era irritato dal giogo del tempo e sognava di esserne libero, ma le possibilità che ne derivano non sono una scampagnata, nel suo L’ombra venuta dal tempo. Il significato di un evento dipende dalla coloritura emotiva che gli danno i partecipanti o gli spettatori, o da come l’evento è vissuto o ritratto. La letteratura è piena di esempi in cui un’«intrusione» soprannaturale nella realtà quotidiana non porta scompiglio e non disturba. Tutto dipende da come lo scrittore presenta il materiale e da come il lettore lo percepisce. La sensazione dell’orrore deriva dalla doppia natura di un fenomeno che al tempo stesso è straordinario e minaccioso in una maniera molto particolare. Da qui l’ampia varietà di forme che l’orrore assume nella narrativa, dai nani malefici di Machen agli dèi ciclopici di Lovecraft. È tutto estremamente soggettivo. Il punto di vista, in narrativa o nella vita, è tutto. Messo nella giusta prospettiva, il caos universale potrebbe essere un gran bello spasso. E, dopo tutto, esiste gente che crede sinceramente nel soprannaturale senza perdere le rotelle. Quindi: l’orrore non è questione di metafisica ma di emozione. Per questo l’atmosfera è così importante: è il segnale e il generatore del senso; può riempire di emozione un evento oggettivamente neutrale.
Tratto da Thomas Ligotti. Nato nella paura, a cura di Matt Cardin
(Il Saggiatore, 2019 – traduzione di Luca Fusari, pagg. 25-26)
Si direbbe che ci stiamo prendendo gusto. Dopo aver rielaborato un pezzo già uscito su Robot per il volume Filosofia della fantascienza (a cura di Andrea Tortoreto, Mimesis Edizioni), con Salvatore Proietti ci siamo candidati lo scorso anno rispondendo a questa call for papers della rivista di filosofia contemporanea Philosophy Kitchen, dedicata ancora una volta ai rapporti tra l’immaginario di fantascienza e la filosofia, proponendo un pezzo inedito sui modelli e le declinazioni del concetto di eterotopia (ed eterocronia) nella fantascienza contemporanea.
Il numero della rivista, a cura di Antonio Lucci e Mario Tirino, annunciato lo scorso anno, ha visto la luce l’altro giorno sotto il titolo denso di suggestioni di Filosofia e fantascienza. Spazi, tempi e mondi altri (può essere scaricata anche in un comodo PDF da questo link) e propone un sommario ricchissimo, con contributi – tra gli altri – di Adolfo Fattori (a cui devo un ringraziamento particolare per avermi segnalato l’iniziativa e avere insistito con garbo) e Gianluca Didino (che non vedo l’ora di leggere). Come scrivono i curatori nella loro introduzione:
Nel nostro piccolo, nel presente fascicolo di Philosophy Kitchen abbiamo cercato di portare ad evidenza, facendo “parlare” le narrazioni, alcuni nuclei di questo portato filosofico presente dietro alle narrative sci-fi. Tra i tanti tagli e approcci possibili, e tra le moltissime direttive presenti nelle suddette narrative fantascientifiche, ne abbiamo privilegiate due: una tematica e una mediologica. A livello mediologico abbiamo cercato di rendere il più possibile amplio lo spettro degli “strumenti del comunicare” analizzati, nella convinzione che i media digitali (in particolare cinema, videoclip, videogioco e serialità televisiva) offrano nuove, ed estremamente importanti, possibilità di sviluppo del conglomerato narrazione-medium-teoria che è al centro degli interessi di noi curatori. […] A livello tematico, appunto, abbiamo privilegiato la lente offerta della triade utopia/distopia/eterotopia, su cui abbiamo invitato a contribuire gli autori che compongono il presente numero. La dimensione spazio-temporale “altra” delle utopie e delle distopie, infatti, ci ha permesso di aprire il ventaglio di opzioni discorsive a nostra disposizione al fine di offrire visioni dell’umano e dell’umanità, dello spazio, del tempo e dell’interazione uomo-macchina, che sfuggissero (senza per questo mancare di rigore) alle griglie della forma-trattato e che aprissero scorci, e visioni, utili – di ritorno – a un sapere filosofico che non sia pregiudizialmente chiuso alle provocazioni della multimedialità e della narratività.
In particolare il nostro pezzo, che abbiamo voluto intitolare Altri spazi, in controtempo: letture e visioni dalle nuove frontiere della fantascienza (e che può essere scaricato anch’esso in PDF cliccando sul link), viene presentato dai curatori come “una lunga ricostruzione tanto teorica quanto attenta alla storia sia romanzesca quanto cinematografica della sci-fi“, volta a offrire “un panorama dei punti di forza teorici (il postumano, le utopie e le eterotopie) che nelle narrative di fantascienza saldano immaginario utopico e tensioni sovraumaniste, mirate alla ricerca di mondi altri e potenziamenti dell’umano”.
Sono poco meno di 9.000 parole e 60.000 battute, in cui a partire da Michel Foucault e Rosi Braidotti parliamo di Ursula K. Le Guin e Samuel R. Delany, di William Gibson e del cyberspazio (ma anche della Trilogia del Ponte), di Pat Cadigan e di Kim Stanley Robinson, di Blade Runner 2049 e di Westworld, di The Man in the High Castle e di tutto quello che siamo riusciti a infilare in queste 30 pagine corredate da una settantina di titoli in bibliografia. Per stuzzicarvi ulteriormente l’appetito, eccovi un abstract in italiano:
La dicotomia tra utopie e distopie in tempi recenti è stata sempre più spesso riveduta in forma di continuum, composto di visioni che vanno dal positivismo acritico al pessimismo apocalittico, e che affrontano il rapporto con la modernità e la postmodernità, e superata nella fantascienza degli ultimi decenni in costruzioni narrative definite di volta in volta come utopie o distopie critiche – affini alle eterotopie di Foucault.
A partire dal cyberspazio di William Gibson (Neuromancer, 1984), lo «spazio altro» per eccellenza in cui le coscienze disincarnate dei cowboy dell’interfaccia compiono le loro scorribande nei territori virtuali della nuova frontiera elettronica, le eterotopie di Michel Foucault ricevono un’attenzione crescente in letteratura come anche nel cinema e nella serialità televisiva.
Per una nuova generazione di autori e autrici, con il cyberspazio Gibson fornisce nuove formulazioni (già esplorate in Philip K. Dick) del confine tra natura e simulazione e sulla convergenza tra umano e artificiale, e in tempi recenti abbiamo visto l’eterotopia rinnovarsi continuamente e assumere forme sempre nuove. Gli ambienti urbani vanno dalla trilogia del Ponte di Gibson al collasso ecologico di Blade Runner 2049; i contesti spaziali rielaborano un topos classico come l’astronave generazionale in Paradises Lost di Ursula K. Le Guin, mentre in serie TV come Battlestar Galactica e Farscape l’astronave funge al contempo da microcosmo e da laboratorio politico e sociale; gli scenari planetari diventano un’epica futura nell’acclamata trilogia di Marte di Kim Stanley Robinson.
Insieme alla letteratura, nei media visivi è la serialità televisiva, piuttosto che il cinema, a riservare l’offerta più ricca e interessante, spaziando dal parco giochi tematico sul cui sfondo vediamo consumarsi gli effetti della Singolarità Tecnologica (Westworld) all’ucronia distopica in grado di sovvertire la rassicurante familiarità della storia (The Man in the High Castle).
In ambito letterario, negli ultimissimi anni autrici come Ann Leckie e Aliette De Bodard stanno contribuendo a ridefinire le coordinate dell’immaginario di genere, operando un’inattesa fusione degli scenari di più ampio respiro della space opera con una riflessione sui temi dell’identità e della persona, come anche della memoria storica e della tradizione.
L’intenzione di questo saggio è approfondire, anche alla luce delle più recenti elaborazioni teoriche e femministe sul postumano, le connessioni interne all’immaginario di genere e le risonanze che queste instaurano con i temi di più stringente attualità affrontati nel dibattito scientifico e filosofico di inizio secolo, dai cambiamenti climatici agli interrogativi etici sollevati dallo sviluppo delle intelligenze artificiali. Il nostro approccio rifiuta le macronarrazioni top-down prevalenti nella critica italiana e ci proponiamo, attraverso il loro superamento, di sviluppare un’analisi letteraria e culturale più rispettosa dell’autonomia del genere.
E a beneficio dei naviganti anglofoni che capitano da queste parti (e che negli ultimi tempi rappresentano misteriosamente il grosso del traffico del blog) ne riporto anche la traduzione in inglese:
The utopia-dystopia dichotomy, a continuum which may summarize the range of visions (from uncritical positivism to apocalyptic pessimism) vis-à-vis modernity and postmodernity, has been more and more challenged and superseded in the science fiction of the latest decades through narrative constructions variously described as critical utopias and dystopias – akin to Michel Foucault’s notion of heterotopia.
Starting with William Gibson’s 1984 Neuromancer, the «other space» par excellence in which the disembodied consciousness of interface cowboys perform their raids in the virtual territories of the new electronic frontier, heterotopias receive growing attention, in manifold variants across literature, film, and television.
For a new generation of authors, Gibson’s cyberspace has reformulated interrogations (already explored in Philip K. Dick) on the boundaries between nature and simulation, as well as on the convergence between the human and the artificial, and in recent times readers/viewers have witnessed heterotopias assuming new shapes, across all media. Urban environments range from Gibson’s Bridge trilogy to the eco-collapse of Blade Runner 2049; space-travel settings rework the classic motif of the generation starship in Ursula K. Le Guin’s Paradises Lost while in TV series such as Battlestar Galactica and Farscape, the spaceship is a microcosm and a socio-political testing ground; planetary scenarios become an epic of the future in Robinson’s own Mars trilogy.
Along with print fiction, among visual media television, rather than film, seems to provide the deepest sources of interest, from the theme park affected by the Technological Singularity in Westworld to the subversion of history’s reassuring familiarity in the dystopian alternate history of The Man in the High Castle.
In the very latest years, the original voices of women writers such as Ann Leckie and Aliette de Bodard are redefining the genre’s imaginary, with their fusion between far-future space opera and a meditation on identity, personhood, gender, memory, and tradition
In this essay, in the light as well of the recent theoretical and feminist work on the notion of the posthuman, we intend to explore the inner connections of the genre’s iconography as it resonated with some of the most urgent topics in contemporary scientific and theoretical debates, from climate change to the ethical debates raised by the emergence of artificial intelligences. Our approach, beyond all-too-frequent top-down macronarratives, is meant as a contribution to cultural-literary analysis that does not do away with respect for the genre’s own autonomy.
Sul numero 3 di Anarres, la rivista di studi sulla science fiction curata da Salvatore Proietti, che come i precedenti si presenta dall’indice ricca di contributi di estremo interesse tanto per lo studioso quanto per l’appassionato, è inclusa una riscrittura di una mia vecchia recensione del volume di Renato Giovannoli La scienza della fantascienza.
Approfitto del discorso di qualche giorno fa per ripescare dal limbo delle bozze questo articolo che a suo tempo avevo preferito tenere in sospeso e che poi, per un motivo o per l’altro, non avevo più avuto modo, voglia o interesse di riprendere. Vista la convergenza di argomenti, direi che se esiste un momento adatto per riportarlo alla luce, non può essere che questo.
Charlie Jane Anders − sì, ancora lei − pubblicava ormai un anno e mezzo fa un articolo su io9 per raccogliere le segnalazioni di altri illustri colleghi su quali espressioni ciascuno di loro avrebbe voluto veder sparire dal vocabolario. Tra gli interpellati ritroviamo Kim Stanley Robinson, Ken Liu, Madeline Ashby, Ted Chiang, Nalo Hopkinson.
Ultimamente si è molto parlato del valore della critica (costruttiva, distruttiva e quel particolare tipo noto solo in Italia: la “costrittiva“). Nessuno qui si sognerebbe di liquidare ogni critica ricevuta sul proprio lavoro come pretestuosa, inutile, frutto di invidia o di malignità. Ma come scrittori e addetti ai lavori credo che sia tempo che tutti noi ci mettiamo una mano sulla coscienza e capiamo cosa vogliamo fare del genere in cui ci muoviamo. Nel mondo anglosassone è una faccenda ormai acquisita, e infatti viene data per scontata: guardate gli articoli pubblicati sui principali portali dedicati alla fantascienza (lo stesso io9 o tor.com, per esempio) e ditemi quanti interventi fuori tema, o strumentali, polemici o maleducati sono tollerati nello spazio dei commenti. Prendetevi pure qualche giorno per rispondermi, o qualche anno. Oppure fate un sondaggio a campione su due articoli e tornate qui in meno di 2 minuti. Non credo che il risultato cambierebbe: sarà sempre, inesorabilmente, zero. (Quando qualcosa di brutto succede – dopotutto, il rischio è sempre in agguato – fuori dall’Italia vige un sano principio di responsabilità: chi ha sbagliato paga. E infatti è quello che è successo non molto tempo fa fa nel famigerato caso del SFWA bulletin.) Poi diamo un’occhiata a quello che succede sul web italiano, con spazi che andrebbero tutelati e invece sono usati come sfogatoi (mi permetto di prendere la parola in prestito da un romanzo di Francesco Verso) dai soliti ignoti nascosti dietro la confortevole spavalderia di un nickname o da autoproclamati protettori della purezza del genere. Facciamoci un esame di coscienza e ragioniamo insieme su quale metodologia sia più funzionale ed efficace allo sviluppo del genere: il rigore anglosassone o la caciara italiana.
Il discorso può essere allargato ad abbracciare forum, blog e chi più ne ha più ne metta. Leggi il seguito di questo post »
Con colpevolissimo e ingiustificato ritardo, vi segnalo l’uscita, ormai da un paio di settimane, del nuovo numero di Quaderni d’Altri Tempi, con l’intervento che vi avevo annunciato su Samuel R. Delany e La Ballata di Beta-2: s’intitola in maniera un po’ altisonante, ma consistente con l’argomento di fondo del romanzo, che può essere letto come una trasposizione della narrazione cristiana della Passione. Il libro contiene, come sempre accade con Delany, anche molto di più.
Anche questo numero di QdAT contiene molto di più. Non ho ancora finito di leggerlo, ma spulciando nel sommario ne troverete sicuramente a sufficienza da soddisfare i vostri gusti. Personalmente, ho davvero molto apprezzato le riflessioni di Roberto Paura e Valerio Pellegrini innescate da due dei migliori film dell’ultima stagione, rispettivamente Ex Machina (di cui mi riprometto di parlarvi a mia volta) e Mad Max: Fury Road.
Concludo invitando chi si fosse lasciato sfuggire il romanzo di Delany in edicola a recuperarlo in formato elettronico (per esempio qui). Gli e-book sono la salvezza dell’appassionato e questa ne è la prova.
Lo scorso febbraio, a grande richiesta, è arrivata nelle librerie la terza edizione di questo celebrato volume di Renato Giovannoli, dedicato alla disamina dei temi scientifici esplorati nella letteratura di fantascienza e dei rapporti tra i due mondi, quello della finzione letteraria e quello della ricerca teorica e sperimentale. Su invito di Roberto Paura e Gennaro Fucile ne ho scritto sull’ultimo numero di Quaderni d’Altri Tempi, on-line da qualche giorno.
Vale la pena comprarlo e leggerlo? Sì e no, a seconda del vostro grado di conoscenza del genere e del vostro interesse per la sua storia, perché di sviluppi recenti non ne troverete nemmeno l’ombra. Per capire meglio il mio punto di vista, vi rimando comunque alle pagine della rivista.
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