Non le risultava che nei sogni la gente si portasse dietro il cellulare.
La frase è di Cristiana Astori, tratta dal suo bel libro Tutto quel nero, e racchiude un fondo di verità e un dubbio non banale. Come mai i nostri sogni sono generalmente a basso contenuto di tecnologia? Non ricordo un solo sogno in cui la tecnologia giocasse un ruolo sia pure marginale: che mi risulti, non sono mai inciampato non solo in un cellulare, ma neanche in internet o se è per questo un walkman o un lettore mp3.
Vero, mi è capitato di sognare qualcosa di simile a una realtà aumentata, ma forse quella visualizzazione aveva più tratti in comune con le dinamiche irrazionali del sogno, rispetto all’elettronica di consumo di cui non possiamo fare a meno nella nostra vita di tutti i giorni. Sarebbe interessante capire se si tratti di una sorta di censura onirica (in fondo non sarebbe bello poter sostenere coi fatti una formulazione del tipo: “il sonno filtra tecnologie oltre un certo stadio di complessità“?), o se piuttosto non sia una conseguenza della maturazione dei circuiti del sogno, che immagino riflettano l’esperienza acquisita durante la nostra infanzia e consolidata nell’adolescenza.
Nel primo caso, una sorta di firewall psichico precluderebbe l’accesso ai territori del sogno a device troppo sofisticati.
Nel secondo, invece, potremmo forse dedurre che i nostri sogni si svolgono in una sorta di universo parallelo, un ipnoverso istanziato da qualche parte nei primissimi anni di vita (non appena il nostro sistema nervoso diventa capace di elaborare e ritenere informazione ambientale), a cui ogni volta accederemmo sognando. Saremmo incapaci di accorgerci della continuità dell’esperienza in quanto ogni nuovo sogno sarebbe come ogni nuova partita giocata sulla stessa consolle (il nostro cervello) allo stesso gioco (il nostro personale ipnoverso). Ma a volte potrebbe capitare di indovinare la combinazione di tasti necessaria per salvare una partita, e la volta successiva di azzeccare quella necessaria per richiamare quel salvataggio, per cui il sogno #2 potrebbe portare avanti la trama del sogno #1. Una concatenazione di eventi fortunati potrebbe consentire alla trama di evolversi, fino a una soluzione.
Elucubrazioni astruse. Forse occorre esercitarsi un po’ di più con la disciplina del sogno lucido, per poter approfondire il tema. E magari trarne un buon pezzo di narrativa. Se avete suggerimenti, anche di lettura, a riguardo, naturalmente sono benvenuti.
3 commenti
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11 novembre 2013 a 01:56
zoon
sviluppare la tecnica del sogno lucido potrebbe spalancare la sensazione che la tecnologia è solo un layer aggiunto ancora più artificiale della stessa nostra vita “reale”; in altre parole, l’accesso al mondo dei sogni implica lo scardinamento delle nostre biologiche sicurezze, in modo tale da accedere a ordini dimensionali diversi, nettamente più ineffabili del nostro e che, però, in qualche modo si linkano al nostro, lasciandoci la possibilità di navigarci dentro. l’uso della tecnologia, a quel punto, potrebbe essere fuorviante, perché ci ancorerebbe a uno specifico 3D, limitante e irritante quando si è in odor di trascendenza.
IMHO
11 novembre 2013 a 08:54
X
Riflessione interessante. Siamo abituati a pensare che per girare il software abbia bisogno di hardware (o wetware, o bioware), ma se il sogno fosse il modo sottile che ha la nostra mente per sganciarsi dal substrato materiale, regredendo alle sue origini olografiche? Di spunti su cui scrivere ce ne sono parecchi…
22 aprile 2024 a 08:20
Il sogno sommerso: la risonanza oscura dell’Interliminale | Holonomikon
[…] con quello che arrivai a definire – senza molto seguito, lo ammetto – il mio personale principio di esclusione: “il sogno filtra tecnologie oltre un certo stadio di complessità”. C’è sicuramente un […]