L’interliminale, quello spazio situato tra due soglie, che non appartiene né allo spazio prima né a quello dopo, è un concetto che somiglia molto alla condizione che stiamo vivendo da alcune settimane. Decretata a inizio maggio la fine del lockdown, siamo entrati in questo «spazio di mezzo», in cui non siamo più ibernati né pienamente tornati alla libertà di prima. Viviamo quindi in una condizione sospesa, in cui non solo quello che continua a succedere intorno a noi, ma anche quello che ci si profila davanti allunga ombre ancora piuttosto fosche sul nostro presente.

Nel mondo si sono superati oggi i 7,5 milioni di casi, le vittime sono oltre 420.000, e il contagio ha non solo raggiunto dimensioni preoccupanti in Brasile e Russia, ma cresce rapidamente in paesi come Perù, Cile, Messico, Pakistan, Bangladesh e Sud Africa, tutti caratterizzati da aree urbane densamente abitate, in cui il distanziamento sociale si sta dimostrando di difficile attuazione in assenza di rigide disposizioni di contenimento. Ormai ci stiamo gradualmente abituando all’idea di dover convivere a lungo con il virus.

In questo scenario, sono venuti meno molti dei miei propositi degli ultimi mesi, inclusa la voglia di aggiornare regolarmente il blog, che invece per alcune settimane ero riuscito a trovare. Ma nell’Interliminale tutto si fa tranne crogiolarsi nell’inattività. E in effetti, dietro le quinte, sono state settimane frenetiche, in cui sono culminati alcuni progetti che da mesi (e in alcuni casi anche anni) erano in gestazione.

Di alcuni di questi vi parlerò nei prossimi giorni (in effetti se ne sta già parlando, nei corridoi della rete). Per altri, l’auspicio è che la gestazione porti prima o poi a dei risultati pubblicamente spendibili.

Paul Delvaux, Paesaggio con lanterne (1958).