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Di Matthew Phipps Shiel abbiamo già scritto, a proposito del suo capolavoro di fantascienza post-apocalittica La nuvola purpurea. Sul Post Libri Ludovica Lugli ha esplorato un’ulteriore ramificazione della sua storia, che parte dall’incoronazione da parte di suo padre Matthew Dowdy Shiell, che volle così celebrare la nascita di un figlio maschio dopo tante femmine, e di scrittore in scrittore, attraverso un labirinto di testi molto postmoderno tenuto attualmente in vita da Javier Marías, arriva fino a noi: la storia del Regno di Redonda.
Sull’ultimo numero di Narrativa, uscito nei giorni scorsi, è presente un dettagliato, puntuale, come al solito documentatissimo e attento intervento di Arielle Saiber sul connettivismo, che comprende anche una lunga intervista al sottoscritto.
Narrativa è una rivista dedicata alla letteratura italiana contemporanea, fondata nel 1992 e pubblicata dalle Presses universitaires de Paris Nanterre. La nuova serie, lanciata nel 2006 e diretta da Silvia Contarini, come si legge dal sito “propone a scadenza annuale saggi e recensioni sulla produzione letteraria più recente, privilegiando una costante riflessione sul rapporto che intercorre tra creazione, immaginario, pensiero, e il tempo presente, l’evento, l’attuale”, “con la convinzione che la letteratura è anche uno stumento di conoscenza e di comprensione delle trasformazioni in corso, sia nel mondo che nell’essere umano”.
Ho avuto modo di dare una sbirciatina al volume in anteprima e sono rimasto impressionato dal saggio di Marco Malvestio, autore anche del recente Raccontare la fine del mondo. Fantascienza e Antropocene per Nottetempo, e che nel suo intervento (Sognando la catastrofe. L’eco-distopia italiana del ventunesimo secolo) conferma un’attenzione per la produzione di genere, anche la meno appariscente e sbandierata dagli editori con etichette improbabili (il classico “non è semplice fantascienza” piuttosto che “trascende la fantascienza”, u.s.w.), che per una volta conforta il senso comune dell’appassionato di fantascienza, e in particolare della fantascienza viva e in continua mutazione degli ultimi vent’anni, non solo quella ormai in gran parte fossile del Novecento. In linea con l’approccio di questo numero, che “nasce dalla definizione della fantascienza italiana come un genere «aperto», all’interno del quale coabitano sottogeneri quali le narrazioni distopiche e eco-distopiche, l’ucronia, i testi post-catastrofisti, e capace di rappresentare le problematiche più attuali della società”.
Purtroppo sia il pezzo di Malvestio che l’intervista che mi ha fatto Arielle risulteranno disponibili on line solo più avanti nel 2022. Ma questo intanto è l’abstract che mi riguarda:
Nel contesto della fantascienza italiana, il connettivismo, in parte seguendo le suggestioni del cyberpunk, ha cercato di mettere in relazioni suggestioni scientifiche e sperimentazioni letterarie. Nell’articolo-intervista, l’autrice ne rintraccia il percorso cronologico e le principali influenze culturali con uno dei più importanti protagonisti.
Mentre questa che segue è la presentazione che ne fanno i curatori Daniele Comberiati e Luca Somigli nella loro introduzione:
Una vocazione transmediale caratterizza anche il progetto del movimento connettivista, di cui dà conto Arielle Saiber in un’ampia intervista a uno dei suoi fondatori, Giovanni De Matteo, preceduta da una nota critica e di poetica. Se il termine “connettivismo” è di derivazione letteraria e rimanda a un autore della fantascienza classica, A. E. van Vogt, la sua ripresa in questo contesto vuole evocare invece quell’incrocio di forme di sapere e di produzione culturale il cui potenziale è stato moltiplicato dalle nuove piattaforme mediatiche, internet prima su tutte. L’intersezionalità è dunque insita nel nome del movimento stesso, teso alla ricerca, come scrive Saiber, di “un tentativo di sintesi e ibridazione: tra linguaggi e forme espressive diverse, tra mondi in opposizione e saperi sbrigativamente considerati inconciliabili, tra generi reputati statici e cristallizzati”. Nel ripercorrere la storia del movimento dal lancio del manifesto fondativo nel 2004, Saiber ne sottolinea la capacità aggregativa intorno a case editrici e progetti online, in un continuo processo di sperimentazione che, pur tenendo la letteratura al suo centro, spazia dalle arti figurative alla musica.
L’antologia è lì fuori da poco più di tre mesi e mi rendo conto di non averne ancora parlato. Quindi direi che è arrivato il momento di rimediare.
La sindrome di Kessler e altri racconti è un campionario della mia scrittura dal 2004 al 2020. Mancano una manciata di titoli che mi sarebbe piaciuto includere, ma o per questione di diritti (è il caso di Al servizio di un oscuro potere, uscito lo scorso anno sul Millemondi dedicato alla distopia), o per la prospettiva di progetti antologici a tema (La vita nel tempo delle ombre, Orizzonte degli eventi e Vanishing Point), o per entrambe le ragioni (Maja, Il lungo ritorno di Grigorij Volkolak, Sulle ali della notte), sono rimaste fuori da questa raccolta. Per il resto, il volume, che include 28 racconti e conta la bellezza di 490 pagine, offre tutto il meglio di quello che mi è riuscito di scrivere in questo intervallo di tempo, dopo i primi timidi tentativi del 2003, e prima dell’ultimo anno che vedrà comunque uscire almeno una novità da qui a fine mese.
Il lettore più attento ci troverà molte storie che probabilmente già conosce, in particolare i racconti vincitori di premi (Viaggio ai confini della notte e Red Dust), i racconti ospitati da Robot (Cloudbuster) o Next/Next-Station (SIN: Stati Indotti di Narcolessia) o i microracconti usciti in precedenza sul blog (Novilunio, Orfani del cielo, Civiltà di prova), ma tutti sono passati sotto le amorevoli cure dell’accetta dell’editor, ed essendo trascorsi in alcuni casi più di quindici anni dalla loro precedente apparizione l’intervento è stato tutt’altro che indolore. Per tutti, ci saranno comunque delle sorprese, a cominciare da un inedito assoluto (Ruggine), sviluppato come tassello di un più ampio progetto steampunk su un’Italia fin de siècle alternativa che purtroppo, per varie vicissitudini editoriali, non ha mai visto la luce.
Organizzate tematicamente in sezioni, queste storie esplorano la frontiera tra connettivismo e cyberpunk (Connessioni) o tra postumanesimo ed esplorazione spaziale (Transizioni), oppure si addentrano in diversi filoni della letteratura di fantascienza, dall’ucronia al viaggio nel tempo al New Weird (Deviazioni), dalla discronia alla letteratura ricorsiva (Mutazioni). Completano il volume cinque racconti-bonsai che si spingono ai limiti del conte philosophique (Iterazioni). Insomma, rappresentano uno spaccato davvero eterogeneo rappresentativo credo non solo della mia scrittura, ma più in generale delle molteplici anime che convivono in questo calderone così difficile da definire che tutti sappiamo essere la fantascienza.
Anche per questo motivo, ogni racconto è preceduto da un’introduzione scritta ad hoc per inquadrarne il background: ho voluto in questo modo omaggiare i miei maestri e le mie fonti di ispirazione, e inoltre fornire ai lettori nuove coordinate per tracciare eventuali nuovi percorsi di lettura, che spesso finiscono per sconfinare fuori dal genere.
Il libro è uscito per Kipple Officina Libraria con una prefazione di Linda De Santi. La copertina è di Franco Brambilla. Se avete altre domande, lo spazio dei commenti è a vostra disposizione.
Sono trascorsi tre anni da quel giorno che nessuno di noi avrebbe mai voluto vedere, ma Alan D. Altieri, Sergio per gli amici, è ancora con noi, come dimostrano due iniziative che hanno visto la luce in questa terza, triste ricorrenza.
La prima, grazie al coordinamento del formidabile trio composto da Cecilia Lavopa, Andrea Novelli e Giampaolo Zarini, è apparsa sulle pagine di Contorni di Noir, con i ricordi di una nutrita schieri di amici e autori che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e lavorare con lui. Potete leggere i nostri contributi nei due post che li raccolgono tutti, da cui credo che emerga bene un affresco a tutto tondo di questo gigante della letteratura italiana contemporanea.
La seconda è un annuncio a cui tengo molto, perché è il frutto di un anno e mezzo di lavoro, un arco di tempo durante il quale con Alessio Lazzati abbiamo visto nascere e crescere un progetto che accarezzavamo praticamente dal giorno dopo quella tragica data di tre anni fa. Fin da subito è stato un nostro comune cruccio trovare un modo per omaggiare degnamente il ricordo di un amico e un maestro troppo importante per poter condensare in una manciata di parole la portata dell’influenza che ha esercitato su di noi. Poi nell’autunno 2018, in occasione di uno StraniMondi, Andrea Vaccaro, curatore per Kipple Officina Libraria della collana K_Noir, ci lanciò il guanto di una sfida che noi accettammo con l’entusiasmo degli incoscienti. Ed ecco il risultato.
Dal sito dell’editore:
Venti contributi tra narrativa e realtà, tra omaggio e memento, esplorano i sentieri tracciati dal bardo dell’Apocalisse; autori, colleghi, amici e familiari ricordano l’esploratore del vuoto, evocando la sua immensa disponibilità, bravura, capacità di sintetizzare intere forme di Letteratura in un’apocalittica visione creativa ogni giorno più attuale.
I racconti di Danilo Arona, Barbara Baraldi, Umberto Bertani, Italo Bonera, Sandro Battisti, Andrea Carlo Cappi, Gianluca D’Aquino, Alessandro Defilippi, Giovanni De Matteo, Alessio Gallerani, Giuseppe Genna, Lukha B. Kremo, Luca Mazza & Jack Sensolini, Valeria Montaldi, Gianfranco Nerozzi, Andrea Novelli & Gianpaolo Zarini, Claudia Salvatori, Dario Tonani, rendono omaggio a Der Wolf, il bardo dell’Apocalisse, l’esploratore del vuoto. Con la prefazione di Franco Forte, un ricordo di Dario C. Altieri e Adrian D. Altieri e la sontuosa copertina di Franco Brambilla.
Emerse dalle tenebre.
Memento e incubo.
Un uomo in un mantello colore delle ombre, su un cavallo da guerra colore dell’acciaio. Un viandante. Nient’altro che un viandante in nero.
Avanzò lungo la strada flagellata dalla pioggia del Giorno dei Morti. Superò i relitti di case sventrate, invase da erbacce sibilanti nel vento. L’aria era opaca, miasmatica. Vapori lividi si levavano dal lastrico di pietre, disperdendosi contro nubi simili ad antracite liquefatta. Nessuna luce arrivava sulla terra. Forse la luce aveva semplicemente cessato di esistere.Alan D. Altieri, Magdeburg. L’Eretico (Corbaccio, 2005)
L’interliminale, quello spazio situato tra due soglie, che non appartiene né allo spazio prima né a quello dopo, è un concetto che somiglia molto alla condizione che stiamo vivendo da alcune settimane. Decretata a inizio maggio la fine del lockdown, siamo entrati in questo «spazio di mezzo», in cui non siamo più ibernati né pienamente tornati alla libertà di prima. Viviamo quindi in una condizione sospesa, in cui non solo quello che continua a succedere intorno a noi, ma anche quello che ci si profila davanti allunga ombre ancora piuttosto fosche sul nostro presente.
Nel mondo si sono superati oggi i 7,5 milioni di casi, le vittime sono oltre 420.000, e il contagio ha non solo raggiunto dimensioni preoccupanti in Brasile e Russia, ma cresce rapidamente in paesi come Perù, Cile, Messico, Pakistan, Bangladesh e Sud Africa, tutti caratterizzati da aree urbane densamente abitate, in cui il distanziamento sociale si sta dimostrando di difficile attuazione in assenza di rigide disposizioni di contenimento. Ormai ci stiamo gradualmente abituando all’idea di dover convivere a lungo con il virus.
In questo scenario, sono venuti meno molti dei miei propositi degli ultimi mesi, inclusa la voglia di aggiornare regolarmente il blog, che invece per alcune settimane ero riuscito a trovare. Ma nell’Interliminale tutto si fa tranne crogiolarsi nell’inattività. E in effetti, dietro le quinte, sono state settimane frenetiche, in cui sono culminati alcuni progetti che da mesi (e in alcuni casi anche anni) erano in gestazione.
Di alcuni di questi vi parlerò nei prossimi giorni (in effetti se ne sta già parlando, nei corridoi della rete). Per altri, l’auspicio è che la gestazione porti prima o poi a dei risultati pubblicamente spendibili.
La redazione di Quaderni d’Altri Tempi ha pensato di dare il suo contributo alla transizione nella Fase 2 e ha confezionato un maxi speciale dedicato al virus nell’immaginario e nella comunicazione, nelle sue varie declinazioni.
Mi è toccato fortuitamente l’onore e l’onere di aprire le danze con questa panoramica delle epidemie immaginate e messe in scena da scrittori, sceneggiatori e registi, attraverso un centinaio di titoli di romanzi, racconti, fumetti, film e serie TV. Come si faceva all’università un tempo (ora non so), ve lo presento a partire dalla bibliografia, in cui proprio l’altra sera notavo l’assenza di due film che ero convinto non mi sarebbero sfuggiti (Cassandra Crossing di George Pan Cosmatos ed Epidemic di Lars von Trier) e di un terzo (in realtà tre, tutti molto belli) di cui in realtà ho parlato altrove (si da il caso proprio qui, a partire dai primi due della trilogia prequel del Pianeta delle Scimmie scaturita da Rise of the Planet of the Apes), ma è anche vero che con la lista di titoli sbrodolata qua sotto fare entrare tutto in trentamila battute è già stato un mezzo miracolo per un grafomane come me.
A voi beccare le eventuali altre omissioni…
- Alan D. Altieri, L’ultimo rogo della Morte Rossa in Underworlds. Echi dal lato oscuro. Tutti i racconti vol. 4, TEA, Milano, 2011.
- Alan D. Altieri, Miss Ecclesiaste in Armageddon. Scorciatoie per l’Apocalisse. Tutti i racconti vol. 1, TEA, Milano, 2008.
- Alan D. Altieri, Un’alba per l’Ecclesiaste in Underworlds. Echi dal lato oscuro. Tutti i racconti vol. 4, TEA, Milano, 2011.
- Margaret Atwood, L’altro inizio, Ponte alle Grazie, Milano, 2014.
- Margaret Atwood, L’anno del diluvio, Ponte alle Grazie, Milano, 2010.
- Margaret Atwood, L’ultimo degli uomini, Ponte alle Grazie, Milano, 2003.
- Greg Bear, La musica del sangue, Editrice Nord, Milano, 1997.
- Greg Bear, La musica del sangue, in Gardner Dozois (a cura di), Il meglio della SF. L’Olimpo dei classici moderni, Mondadori, Milano, 2008.
- David Brin, L’uomo del giorno dopo, Editrice Nord, Milano, 1995.
- Max Brooks, Manuale per sopravvivere agli zombie, Einaudi, Milano, 2006.
- Max Brooks, World War Z, Cooper, Roma, 2013
- Octavia E. Butler, Sopravvissuta, Interno Giallo/Mondadori, Milano, 1994.
- Richard Calder, Dead Boys, HarperCollins, London, 1994.
- Richard Calder, Dead Things, HarperCollins, London, 1996.
- Richard Calder, Virus ginoide, Editrice Nord, Milano, 1996.
- Albert Camus, La peste, Bompiani, Milano, 2017.
- John Christopher, La morte dell’erba, Beat, Milano, 2014.
- James S. A. Corey, Leviathan. Il risveglio, Fanucci, Roma, 2015.
- James S. A. Corey, Caliban. La guerra, Fanucci, Roma, 2015.
- James S. A. Corey, Abaddon’s Gate. La fuga, Fanucci, Roma, 2016.
- James S. A. Corey, Cibola Burn. La cura, Fanucci, Roma, 2016.
- Arthur Conan Doyle, La nube avvelenata, Newton, Roma, 1994.
- Michael Crichton, Andromeda, Garzanti, Milano, 2018.
- Giovanni De Matteo, Language Is a Virus (Again), Prismo, 14 giugno 2016.
- Giovanni De Matteo, L’epidemia: il noir post-apocalittico di Per Wahlöö, Holonomikon, 9 marzo 2020a.
- Giovanni De Matteo, Bios di Robert C. Wilson, ovvero il caso della natura contro l’uomo, Holonomikon, 11 aprile, 2020b.
- Guillermo Del Toro e Chuck Hogan, La caduta, Mondadori, Milano, 2011.
- Guillermo Del Toro e Chuck Hogan, La progenie, Mondadori, Milano, 2009.
- Guillermo Del Toro e Chuck Hogan, Notte eterna, Mondadori, Milano, 2012.
- Greg Egan, Distress, Mondadori, Milano, 2002.
- Greg Egan, La Terra moltiplicata, Editrice Nord, Milano, 1998.
- Nicola Griffith, Ammonite, Elara, Bologna, 2007.
- Frank Herbert, Il morbo bianco, Mondadori, Milano, 2019.D. James, I figli degli uomini, Mondadori, Milano, 2013.
- Stephen King, L’ombra dello scorpione, Bompiani, Milano, 2017.
- Robert Kirkman, The Walking Dead (Volumi 1-32), SaldaPress, Reggio Emilia, 2005-2019.
- Nancy Kress, Brain Rose, William Morrow & Co, New York City, 1989.
- Nancy Kress, Ej-Es, in David G. Harwell (a cura di), Venti galassie, Mondadori, Milano, 2007.
- Nancy Kress, Contagio, Fanucci, Roma, 2001.
- Nancy Kress, Inerzia, in Gardner Dozois (a cura di), Supernovae. II parte, Mondadori, Milano, 1996.
- Nancy Kress, Miracoli e giuramenti, Fanucci, Roma, 2000.
- Jack London, La peste scarlatta, Adelphi, Milano, 2009.
- Charles Eric Maine, Il grande contagio, Mondadori, Milano, 2009.
- Richard Matheson, Io sono leggenda, Mondadori, Milano, 2020.
- Cormac McCarthy, La strada, Einaudi, Milano, 2014.
- China Miéville, Embassytown, Fanucci, Roma, 2016.
- David Moody, Il virus dell’odio, Mondadori, Milano, 2011.
- Edgar Allan Poe, I racconti del mistero, RCS Libri, Milano, 2014.
- Alastair Reynolds, Absolution Gap, Mondadori, Milano, 2015.
- Alastair Reynolds, La città del cratere, Mondadori, Milano, 2017.
- Alastair Reynolds, Redemption Ark, Mondadori, Milano, 2014.
- Alastair Reynolds, Rivelazione /1, Mondadori, Milano, 2009.
- Alastair Reynolds, Rivelazione /2, Mondadori, Milano, 2009.
- Kim Stanley Robinson, Gli anni del riso e del sale, Newton Compton, Roma, 2007.
- Matt Ruff, Acqua, luce e gas, Fanucci, Roma, 2004.
- José Saramago, Cecità, Feltrinelli, Milano, 2013.
- Robert Sheckley, Una chiacchierata con il virus del Nilo Occidentale, in Robot n. 45, Delos Books, Milano, 2004.
- Mary Shelley, L’ultimo uomo, Mondadori, Milano, 1997.
- Matthew Phipps Shiel, La nuvola purpurea, D Editore, Roma, 1918.
- Emily St. John Mandel, Stazione undici, Bompiani, Milano, 2015.
- Neal Stephenson, Snow Crash, BUR, Milano, 2007.
- James Tiptree Jr., La soluzione della mosca, in Ann & Jeff VanderMeer (a cura di), Le visionarie. Fantascienza, fantasy e femminismo: un’antologia, Nero Editions, Roma, 2018.
- Dario Tonani, L’algoritmo bianco, Mondadori, Milano, 2009.
- Brian Vaughan, Pia Guerra, Y. L’ultimo uomo (Volumi 1-7), RW Lion, Novara, 2016-2020.
- David Wellington, Monster Island, Mondadori, Milano, 2008.
- David Wellington, Monster Nation, Mondadori, Milano, 2009.
- David Wellington, Monster Planet, Mondadori, Milano, 2009.
- Herbert G. Wells, La guerra dei mondi, Fanucci, Roma, 2017.
- Walter Jon Williams, L’era del flagello, Delos Books, Milano, 2005.
- Connie Willis, L’anno del contagio, Editrice Nord, Milano, 1994.
- Connie Willis, L’ultimo dei Winnebago, Delos Books, Milano, 2008.
- Robert Charles Wilson, Bios, Fanucci, Roma, 2001.
- Danny Boyle, 28 giorni dopo, Fox, 2004 (home video).
- John Cabrera, Cosimo De Tommaso, H+: The Digital Series, YouTube, 2012-2013.
- Claire Carré, Embers, Papaya, Chaotic Good, Bunker Features, Usa, 2015.
- Kevin Costner, L’uomo del giorno dopo, Warner Bros Entertainment Italia, 1999 (home video).
- Michael Crichton, Il mondo dei robot, Warner Bros., 2013 (home video).
- David Cronenberg, Videodrome, Universal Pictures Italia, 2008 (home video).
- Alfonso Cuarón, I figli degli uomini, Universal Pictures Italia, 2018 (home video).
- Guillermo Del Toro, Chuck Hogan, The Strain (Stagioni 1-3), Fox, 2018 (home video).
- Marc Fergus, Hawk Ostby, The Expanse, Amazon Prime, 2015-in corso.
- Marc Forster, World War Z, Universal Pictures Italia, 2013 (home video).
- Juan Carlos Fresnadillo, 28 settimane dopo, Fox, 2008 (home video).
- Mick Garris, L’ombra dello scorpione, Universal Pictures Italia, 2007 (home video).
- Terry Gilliam, L’esercito delle 12 scimmie, Universal Pictures Italia, 2010 (home video).
- Robert Kirkman, Frank Darabont, The Walking Dead – Stagioni 1-9, Warner Bros, 2019 (home video).
- Francis Lawrence, Io sono leggenda, Warner Bros. Entertainment Italia, 2008(home video).
- Chris Marker, La Jetée/Sans Soleil, Sony Pictures, 2019 (home video).
- Terry Matalas, Travis Fickett, L’esercito delle 12 scimmie, Netflix, 2015-2018 (home video).
- Fernando Meirelles, Blindness, Cg, 2011 (home video).
- Terry Nation, Survivors – I sopravvissuti, Yamato Video / Dolmen Home Video, 2009 (home video).
- Jonathan Nolan, Lisa Joy, Westworld – Stagione 1, Warner Bros, 2017 (home video).
- Jonathan Nolan, Lisa Joy, Westworld – Stagione 2, Warner Bros, 2018 (home video).
- Jonathan Nolan, Lisa Joy, Westworld – Stagione 3, Sky, 2020.
- Ubaldo Ragona, L’ultimo uomo della Terra, Ripley’s Home Video, 2017 (home video).
- George Romero, La notte dei morti viventi, DNA, 2012 (home video).
- Boris Sagal, 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra, Warner Bros. Entertainment Italia, 2008 (home video).
- Steven Soderbergh, Contagion, Warner Home Video, 2012 (home video).
- Shinya Tsukamoto, La mutazione infinita di Tetsuo il fantasma di ferro, Minerva Pictures Group, 2013(home video).
- Robert Wise, Andromeda, Universal, 2015 (home video).
Gli altri articoli che completano lo speciale sono una riflessione di Roberto Paura sulle figure dei virologi, infettivologi ed epidemiologi nella comunicazione della crisi e un’analisi di Valerio Pellegrini di Plague Inc., un gioco per smartphone che simula proprio l’evoluzione di una crisi da un focolaio virale. Il quarto pezzo, a firma di Gennaro Fucile, uscirà questa settimana e sarà incentrato sullo scollamento tra cronaca e fiction, con una riflessione sul gioco di specchi tra la realtà e l’immaginario mandato in pezzi dall’emergenza.
“Se ciò fosse vero, bisognerebbe dedurre che la semplice presenza dell’uomo esercita un certo effetto mesmerizzante sulla turbolenza della Natura e che uno dei risultati della sua assenza sia stato oggi quello di togliere ogni freno. Credo che, entro cinquant’anni, le forze della terra si scateneranno definitivamente, e questo pianeta sarà infine annoverato tra le palestre dell’Inferno. La nostra casa assisterà a sconvolgimenti immensi come quelli osservati su Giove”.
“Un prezioso reperto archeologico del primo Antropocene”. Probabilmente non esistono parole più appropriate ed efficaci di quelle usate da Roberto Paura nella sua densa prefazione per descrivere questo elegante volume di Matthew Phipps Shiel, riproposto da D Editore nella collana Strade Maestre, curata da Valerio Valentini e dedicata alla riscoperta dei classici “che hanno dato forma al nostro tempo”. Scritto all’alba del XX secolo, in piena febbre artica (sei le spedizioni fallite al Polo Nord tra il 1893 e il 1900), La nuvola purpurea (1901) è impregnato del gusto decadente della sua epoca e della lezione di un maestro come Edgar Allan Poe, che già aveva ispirato a Shiel il personaggio del principe Zaleski, protagonista di un ciclo di racconti di successo scritti negli anni immediatamente precedenti all’uscita di questo romanzo, e che su queste pagine incombe con l’ombra lunga della sua Storia di Arthur Gordon Pym (1838). Se in quest’ultimo erano i ghiacci dell’Antartide a fare da sfondo alle peripezie del protagonista, La nuvola purpurea fa delle distese artiche il suo portale di ingresso all’inesorabile e progressivo abbandono di Adam Jeffson alle spire della follia.
[Continua a leggere su Quaderni d’Altri Tempi.]
Esiste una fantascienza degli anni 2000 o non hanno piuttosto ragione i necrofili che piangono la morte del genere ad ogni pie’ sospinto? E se è vero che la SF è tutto fuorché estinta, quali sono i titoli e i nomi da conoscere tra quelli venuti alla ribalta negli ultimi 15 anni?
A lanciarmi l’assist per parlarne è stato Valerio Mattioli, caporedattore di Prismo, e proprio su Prismo potete trovare quello che ho avuto da dire sul tema, in un articolo-moloch che altro non è che la versione condensata e leggibile di un mammut grande quasi il doppio (e che magari prima o poi troveremo il tempo di sistemare e pubblicare da qualche altra parte).
Intanto, buone letture!
Il 30 luglio approderà nelle sale Dawn of the Planet of the Apes (re-intitolato per la distribuzione italiana Apex Revolution – Il pianeta delle scimmie, forse con un maggiore appeal per il pubblico delle sale estive, o almeno immagino che queste fossero le intenzioni), attesissimo seguito di Rise of the Planet of the Apes (che in Italia era stato appunto distribuito come L’alba del pianeta delle scimmie, bruciando la scelta dei produttori per il titolo del sequel…). Costato 93 milioni di dollari, L’alba del pianeta delle scimmie (2011) ne ha portati a casa 481, attestandosi come il nono incasso stagionale sul mercato americano, guadagnando ottime critiche (82% di riscontri positivi secondo Rotten Tomatoes) e meritandosi una nomination agli Oscar nella categoria Migliori Effetti Speciali. Naturalmente la casa di produzione ha dato subito luce verde al progetto di un seguito, arruolando Matt Reeves (Cloverfield) per la regia in sostituzione del dimissionario Rupert Wyatt e mettendo in cantiere con un budget quasi raddoppiato (170 milioni di dollari) il film che arriverà da noi a fine mese. Negli USA Dawn of the Planet of the Apes è già nelle sale dall’11 luglio e ha avuto il tempo di segnare il nuovo primato di apertura per il franchise: 73 milioni di dollari nel primo weekend. Sempre per Rotten Tomatoes al momento il film naviga sopra il 90% di riscontri positivi. E la critica di settore conferma l’ottima accoglienza che la pellicola sta ricevendo. Su Tor.com, in particolare, Ryan Britt ne ha parlato in termini entusiastici e ha già cominciato a prefigurare possibili sviluppi futuri.
Ci sono quindi diversi motivi per cui da queste parti l’attesa sta schizzando alle stelle. Mentre aspettiamo, ho pensato quindi di riproporre la recensione scritta per il vecchio blog nel 2011, in occasione dell’uscita di Rise of the Planet of the Apes. Sperando di invogliare a recuperarlo chi all’epoca se lo fosse perso. E invitando tutti a ritagliarsi due ore al fresco di una sala buia, tagliata solo dal fascio di luce di un proiettore, in questa estate che si avvia verso giorni roventi.
Sfruttato all’inverosimile il giacimento dei sequel e dei remake, sembrerebbe che Hollywood abbia scoperto un nuovo filone aurifero: i reboot di storici franchise. Sulla scia del cinema horror, pare giunta l’ora anche della fantascienza, che dopo la buona prova di Star Trek (capace di costruirsi un credito che J.J. Abrams & Co. hanno fatto del loro meglio per dilapidare nel successivo Star Trek Into Darkness) sta offrendo una seconda giovinezza all’opera di Pierre Boulle, rivitalizzando quel Pianeta delle Scimmie che ha segnato indelebilmente un’intera generazione di appassionati (e forse anche qualcuna in più). E finché il reboot viene interpretato con intelligenza, come hanno saputo mostrare sontuosamente – per esempio – Christopher Nolan con il suo Cavaliere Oscuro e Paul Haggis con l’Agente 007 e come appunto è riuscita a fare con onestà L’alba del pianeta delle scimmie, va riconosciuto un merito alle case di produzione: forse hanno perso quella spinta a esplorare territori immaginifici incontaminati ancora del tutto ignoti agli spettatori, ma almeno riusciamo ancora a cogliere il tentativo (almeno da parte di alcune di esse) di percorrere piste in grado di rendere l’esperienza dello spettatore avvincente e degna d’interesse.
Non fraintendetemi. L’originalità resta un valore da premiare, ma in un periodo in cui le produzioni ad alto budget rappresentano prima di tutto un rischio commerciale, è comprensibile che le major cerchino di ottenere le migliori garanzie in fase di pianificazione delle pellicole. E in questo senso il reboot rappresenta, a quanto pare, il migliore dei compromessi, capace di coniugare la tradizione con l’innovazione, molto meglio di quanto in genere capiti con i sequel e con la marcia in più, rispetto ai remake, che deriva dall’operare in un contesto in larga parte già familiare, con la possibilità di sfruttare al massimo i margini di iniziativa necessari. In una certa misura, il reboot costituisce proprio un antidoto tanto alla stanchezza delle serie trascinate troppo per le lunghe quanto al rischio dell’imitazione pedissequa dei capostipiti, avvantaggiandosi di un’iniezione di freschezza che richiede l’unico requisito dell’elasticità (mentale ed emotiva) verso l’opera originaria da parte degli appassionati, promettendo d’altro canto un allargamento del bacino di fruizione alle nuove generazioni. Una prassi, dopotutto, ben consolidata nel mondo del fumetto, che si sta diffondendo anche al cinema e in TV (si vedano gli eccellenti risultati ottenuti da Battlestar Galactica).
L’alba del pianeta delle scimmie è un altro valido esempio di quanto bene si possa fare con un interessante universo di partenza e una dose appropriata di buone idee. La storia di quello che succederà è ben nota a tutti: al termine di una missione spaziale compromessa da un’avaria, Charlton Heston e i suoi colleghi astronauti precipitano su un pianeta devastato, dominato da una civiltà di primati sorprendentemente evoluti che ha soggiogato gli umani (Il Pianeta delle Scimmie, 1968). L’origine di quella civiltà è raccontata in questa pellicola, con le dovute varianti rispetto alla storia originaria (l’evoluzione delle scimmie è segnata da un farmaco sperimentale messo a punto come cura per l’Alzheimer e non più da un effetto collaterale dell’olocausto nucleare che ha ridotto l’umanità sull’orlo dell’estinzione) e i rimandi altrettanto obbligati (a un certo punto si assiste al lancio di una navetta spaziale, più avanti nel film si intravede una prima pagina con il titolo “Lost in Space” che allude all’incidente spaziale da cui prende le mosse lo storico Pianeta delle Scimmie di Franklin James Shaffner, abile mix di cautionary tale e fantascienza avventurosa). La regia si concentra sullo scimpanzé che aprirà una nuova strada al futuro dei primati, rivalendosi verso l’umanità nel suo complesso, che nel migliore dei casi tratta le altre specie viventi (a partire da quelle a noi più vicine sulla scala evolutiva: le scimmie) con indulgente superiorità e nel peggiore le sfrutta barbaramente nei laboratori o le sevizia per puro e becero ludibrio. Considerata la varietà di angherie che i primati sono costretti a subire da parte di uomini rozzi, ignoranti e primitivi (a prescindere dalle firme sui completi e dal dosaggio dell’acqua di colonia), la pellicola non deve sforzarsi troppo per conquistare l’empatia dello spettatore, che si ritrova a parteggiare per Cesare e i suoi cugini contro l’in–civiltà umana, sfruttatrice e corrotta in quasi tutte le sue espressioni.
La regia funzionale alla storia riesce dove il genio visionario di Tim Burton aveva fallito: l’insistenza sul particolare degli occhi (la cui lucentezza è sintomatica della crescita cognitiva delle scimmie), il motivo della finestra sul mondo che perseguita Cesare (tanto nella sua prima fase, segregato in un ambiente domestico, nella pace ovattata di una famiglia borghese; quanto nella seconda, rinchiuso in una cella striminzita e sporca, vessato dal custode del ricovero per primati), e la sua conquista di una forma possibile di integrazione, nella consapevolezza che è l’unione a fare la forza. L’alba del pianeta delle scimmie è un crescendo costruito con cura, in cui ogni progresso narrativo scaturisce logicamente dai suoi presupposti. E a differenza del diretto rivale al botteghino che è il Super 8 di J.J. Abrams, tanto atteso quanto deludente, non fa del citazionismo la sua intrinseca ragion d’essere, pur omaggiando la nutrita tradizione fantascientifica che ha ordito l’iconografia del primate (dalla tribù primitiva di 2001: Odissea nello Spazio alla propagazione del contagio mutuata dall’inesorabile epilogo de L’esercito delle 12 scimmie, passando per Project X e i vari King Kong), ma presta la necessaria attenzione ai momenti-chiave del climax, tra cui la rivincita di Cesare sulle scimmie, il suo rifiuto delle regole degli uomini e la rivincita finale sulla civiltà umana.
Non sorprende l’efficacia del risultato, a giudicare da queste premesse. Sorprende piuttosto che dietro l’operazione non vi siano firme particolarmente illustri: il regista è il britannico Rupert Wyatt (un prison movie come The Escapist nel suo curriculum), gli sceneggiatori Rick Jaffa e Amanda Silver con all’attivo Relic – L’evoluzione del terrore, titolo tutt’altro che memorabile nella cinematografia di Peter Hyams. Ma a quanto pare il loro era un conto in sospeso con gli ambienti di detenzione e l’evoluzione, e l’unione delle forze ha saldato il conto in questo film. Il film si avvale però di almeno due contributi d’eccellenza: il direttore della fotografia Andrew Lesnie, premio Oscar per il primo capitolo de Il Signore degli Anelli, e poi ancora al servizio di Peter Jackson per il suo King Kong, e l’attore Andy Serkis, che già aveva prestato la sua abilità espressiva a Gollum/Smeagol e proprio a King Kong, qui alle prese con le movenze e gli stati d’animo del capostipite della nuova civiltà delle scimmie. Gli attori umani (James Franco, John Lithgow, Freida Pinto, Brian Cox) fanno tutti un buon lavoro al servizio della storia, in ruoli che per necessità devono cedere spazio alla storia di Cesare e dei suoi compagni. Risaltano per contrapposizione i caratteri negativi (il custode aguzzino interpretato da Tom Felton, l’avido industriale di David Oyelowo).
Ma a uscire maggiormente rafforzata è la visione di una dinamica evolutiva che, in un panorama culturale sempre più minacciato da manie oscurantiste e idiozie creazioniste, riesce a caricare di un secondo livello di lettura lo slogan che ha accompagnato il lancio del film nelle sale: L’evoluzione diverrà rivoluzione.
Davanti alle immagini genuinamente apocalittiche di San Francisco messa a ferro e fuoco dalla guerriglia delle scimmie, viene naturale domandarsi come sia possibile per uno scimpanzé concepire una ribellione tanto credibile da suscitare la partecipazione del pubblico (come hanno dimostrato gli esiti del botteghino). Probabile che una civiltà soggiogata dalle regole delle banche, dallo strapotere delle multinazionali e dall’arroganza dei governanti, minata internamente da tutte quelle prove quotidiane di stupidità a cui non sembriamo proprio disposti a rinunciare, abbia bisogno ancora della funzione catartica di opere come questa.
Ma viene da esprimere comunque un piccolo desiderio, di fronte al messaggio ambientalista tanto radicale e tranciante veicolato da L’alba del pianeta delle scimmie: e cioè che lo vedano quanti più bambini possibile, disposti a lasciarsi sedurre dalla storia di Cesare e dei suoi simili in lotta per diritti che non sono solo i lori, e che anzi è facile estendere ai cugini umani e alla loro ormai prossima discendenza post-umana. E forse il vero segreto del successo di Cesare risiede proprio nella scelta del nemico: non degli esseri umani, ma dei simulacri, dei replicanti, dei burattini – automi privi di coscienza e ripuliti di ogni barlume di umanità, al cospetto dei quali è naturale unire le forze in un fronte comune. In questo senso, le immagini dell’apocalisse che porta al collasso della civiltà in seguito alla ribellione delle scimmie sono solo il preludio a una nuova società: come scopriremo in Apex Revolution – Il pianeta delle scimmie toccherà agli umani decidere se il destino della Terra sarà un’utopia, o una distopia ancora peggiore di quella in cui viviamo.
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