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Sono trascorsi quasi due mesi dall’ultimo post, un lasso di tempo che ha inghiottito tutti i buoni propositi con cui ogni volta mi avvicinavo al blog, le rare volte in cui riuscivo a superare una sorta di blocco psicologico che quasi sempre mi impediva addirittura di aprire il link. Stati d’animo contrari, abbinati alla cronica assenza di tempo, sono state le cause principali della latitanza, mentre la mia testa era presa a rimuginare per tutta la durata di ottobre, masticando sensazioni stratificate nel tempo e indugiando in ricordi autunnali.

Non hanno certo contribuito a migliorare l’umore le statistiche che hanno ripreso a delineare un nuovo stato emergenziale che sembravamo tutti aspettare, come sempre senza darci la pena di prepararci. Perché senza avanzare soluzioni da bacchetta magica, è dalla scorsa primavera che gli esperti prospettavano scenari e opportunità, ma ovviamente predicavano nel deserto perché intanto i politici, come sempre, erano troppo impegnati a rimirare il dito per concentrarsi anche sulla luna. E così già da maggio sapevamo che non sarebbe cambiato granché, e ovviamente che ci saremmo fatti trovare impreparati come la prima volta (ma senza le stesse puerili giustificazioni).
E lungi da me il voler giustificare l’ostinazione di un numero crescente di nostri concittadini a far finta di nulla, a resistere alle misure pensate dal governo per contenere il contagio, limitare i danni sociali e preservare il servizio di salute pubblica. Se la novità della prima volta aveva stimolato un senso di coesione, che aveva portato alle consuete celebrazioni patriottiche dell’italiano restio alla disciplina ma sempre pronto al sacrificio e alla solidarietà se le condizioni lo impongono, non è che le condizioni attuali richiedano meno sacrificio della prima volta, è solo che le crepe della narrazione già falsata della prima ondata si sono spalancate, aprendo voragini che stanno vomitando tutto il peggio che eravamo riusciti a nascondere sotto il tappeto o nell’armadio.
Ovviamente, le responsabilità sono equamente distribuite. 1. C’è l’incompetenza di una classe dirigente inadeguata, come dimostrano tuttora scandali che – specialmente dopo le sciaguratezze compiute in Lombardia – sarebbe bastata un minimo di attenzione per evitare. 2. C’è la vanità di una schiera crescente di scienziati che hanno pensato di poter approfittare della visibilità acquisita per imporre un nuovo culto dell’immagine, peccato che abbiano voluto far passare le proprie opinioni personali per verità incontrovertibili, come ben sottolineato da Carlo Rovelli nel corso della sua intervista andata in onda durante l’ultima puntata di Propaganda Live.
3. C’è l’opportunismo ipocrita e sempre più miope di un giornalismo che sempre più ama rimestare nella confusione, più incline a massaggiare la pancia dell’opinione pubblica piuttosto che nutrire e confrontarsi con il suo cervello. 4. E ovviamente c’è la responsabilità dei cittadini, sempre meno responsabilizzati e a corto di senso civico, su cui tutte le altre cause già enumerate finiscono per prosperare.
Sul terzo punto, ha scritto parole largamente condivisibili Luca Sofri sul suo blog, che ci ricorda, adesso che i conteggi sono ultimati, quanto poco ci sia mancato perché il mondo imboccasse ancora una volta il peggiore dei sentieri possibili. Malgrado i proclami, il trumpismo si avvia a essere una parentesi di follia cripto-dittatoriale nella tradizione retorica della democrazia americana, benché il monocrate non si stia negando tutte le armi ormai spuntate del suo repertorio populista: la parata tra due ali di sostenitori inneggianti scesi per strada per rivendicare una vittoria immaginaria, mentre si dirige scortato dal sevizio d’ordine presidenziale verso i suoi campi da golf in Virginia, è la fotografia emblematica della sua uscita di scena, il congedo perfetto di questo quadriennio deleterio.

Se non rimpiangeremo Trump tra le cose che ci lasceremo dietro in questo anno nefasto, sono tante le perdite che conteremo una volta portata a termine la traversata. E non potrebbe essere diversamente: mentre scrivo, il conto dei casi di COVID-19 accertati nel mondo si appresta a superare i 55 milioni e le vittime sono ben 1.320.286. Paesi come USA, India e Brasile stanno pagando un prezzo altissimo, ma anche nella civilissima Europa, Francia, Spagna, UK e Italia (con un minimo di un milione e un massimo di due, e un numero di vittime compreso tra le quaranta e le cinquantamila) sono state messe in ginocchio dalla pandemia.
Ci sarà inevitabilmente un prima e un dopo questa crisi sanitaria globale. E se al momento ci sembra di essere tutti impegnati in un’impresa titanica che somiglia ogni giorno di più a una scalata lungo un percorso impervio, con la parete rocciosa del domani che ci impedisce di lanciare anche solo un fugace sguardo oltre l’ostacolo, a un certo punto ci sembrerà chiaro che questi mesi, più che uno spartiacque, sono stati in realtà un abisso, un baratro che ha inghiottito tutte le nostre certezze, dalla scala più larga alla dimensione più intima del nostro privato. Ma non illudiamoci con il mantra che niente sarà più come prima: non abbiamo imparato dai nostri errori finora, dubito che lo faremo anche stavolta. L’unica cosa che potremo dire, forse, sarà di aver imparato nuove scuse e nuovi alibi. Tutto il resto, lo troveremo ancora lì, la prossima volta che ci sarà bisogno di prendere decisioni vitali sul medio e lungo periodo.
Tutto, tranne molte delle cose che abbiamo amato pensare che sarebbero state per sempre.
La redazione di Quaderni d’Altri Tempi ha pensato di dare il suo contributo alla transizione nella Fase 2 e ha confezionato un maxi speciale dedicato al virus nell’immaginario e nella comunicazione, nelle sue varie declinazioni.
Mi è toccato fortuitamente l’onore e l’onere di aprire le danze con questa panoramica delle epidemie immaginate e messe in scena da scrittori, sceneggiatori e registi, attraverso un centinaio di titoli di romanzi, racconti, fumetti, film e serie TV. Come si faceva all’università un tempo (ora non so), ve lo presento a partire dalla bibliografia, in cui proprio l’altra sera notavo l’assenza di due film che ero convinto non mi sarebbero sfuggiti (Cassandra Crossing di George Pan Cosmatos ed Epidemic di Lars von Trier) e di un terzo (in realtà tre, tutti molto belli) di cui in realtà ho parlato altrove (si da il caso proprio qui, a partire dai primi due della trilogia prequel del Pianeta delle Scimmie scaturita da Rise of the Planet of the Apes), ma è anche vero che con la lista di titoli sbrodolata qua sotto fare entrare tutto in trentamila battute è già stato un mezzo miracolo per un grafomane come me.
A voi beccare le eventuali altre omissioni…
- Alan D. Altieri, L’ultimo rogo della Morte Rossa in Underworlds. Echi dal lato oscuro. Tutti i racconti vol. 4, TEA, Milano, 2011.
- Alan D. Altieri, Miss Ecclesiaste in Armageddon. Scorciatoie per l’Apocalisse. Tutti i racconti vol. 1, TEA, Milano, 2008.
- Alan D. Altieri, Un’alba per l’Ecclesiaste in Underworlds. Echi dal lato oscuro. Tutti i racconti vol. 4, TEA, Milano, 2011.
- Margaret Atwood, L’altro inizio, Ponte alle Grazie, Milano, 2014.
- Margaret Atwood, L’anno del diluvio, Ponte alle Grazie, Milano, 2010.
- Margaret Atwood, L’ultimo degli uomini, Ponte alle Grazie, Milano, 2003.
- Greg Bear, La musica del sangue, Editrice Nord, Milano, 1997.
- Greg Bear, La musica del sangue, in Gardner Dozois (a cura di), Il meglio della SF. L’Olimpo dei classici moderni, Mondadori, Milano, 2008.
- David Brin, L’uomo del giorno dopo, Editrice Nord, Milano, 1995.
- Max Brooks, Manuale per sopravvivere agli zombie, Einaudi, Milano, 2006.
- Max Brooks, World War Z, Cooper, Roma, 2013
- Octavia E. Butler, Sopravvissuta, Interno Giallo/Mondadori, Milano, 1994.
- Richard Calder, Dead Boys, HarperCollins, London, 1994.
- Richard Calder, Dead Things, HarperCollins, London, 1996.
- Richard Calder, Virus ginoide, Editrice Nord, Milano, 1996.
- Albert Camus, La peste, Bompiani, Milano, 2017.
- John Christopher, La morte dell’erba, Beat, Milano, 2014.
- James S. A. Corey, Leviathan. Il risveglio, Fanucci, Roma, 2015.
- James S. A. Corey, Caliban. La guerra, Fanucci, Roma, 2015.
- James S. A. Corey, Abaddon’s Gate. La fuga, Fanucci, Roma, 2016.
- James S. A. Corey, Cibola Burn. La cura, Fanucci, Roma, 2016.
- Arthur Conan Doyle, La nube avvelenata, Newton, Roma, 1994.
- Michael Crichton, Andromeda, Garzanti, Milano, 2018.
- Giovanni De Matteo, Language Is a Virus (Again), Prismo, 14 giugno 2016.
- Giovanni De Matteo, L’epidemia: il noir post-apocalittico di Per Wahlöö, Holonomikon, 9 marzo 2020a.
- Giovanni De Matteo, Bios di Robert C. Wilson, ovvero il caso della natura contro l’uomo, Holonomikon, 11 aprile, 2020b.
- Guillermo Del Toro e Chuck Hogan, La caduta, Mondadori, Milano, 2011.
- Guillermo Del Toro e Chuck Hogan, La progenie, Mondadori, Milano, 2009.
- Guillermo Del Toro e Chuck Hogan, Notte eterna, Mondadori, Milano, 2012.
- Greg Egan, Distress, Mondadori, Milano, 2002.
- Greg Egan, La Terra moltiplicata, Editrice Nord, Milano, 1998.
- Nicola Griffith, Ammonite, Elara, Bologna, 2007.
- Frank Herbert, Il morbo bianco, Mondadori, Milano, 2019.D. James, I figli degli uomini, Mondadori, Milano, 2013.
- Stephen King, L’ombra dello scorpione, Bompiani, Milano, 2017.
- Robert Kirkman, The Walking Dead (Volumi 1-32), SaldaPress, Reggio Emilia, 2005-2019.
- Nancy Kress, Brain Rose, William Morrow & Co, New York City, 1989.
- Nancy Kress, Ej-Es, in David G. Harwell (a cura di), Venti galassie, Mondadori, Milano, 2007.
- Nancy Kress, Contagio, Fanucci, Roma, 2001.
- Nancy Kress, Inerzia, in Gardner Dozois (a cura di), Supernovae. II parte, Mondadori, Milano, 1996.
- Nancy Kress, Miracoli e giuramenti, Fanucci, Roma, 2000.
- Jack London, La peste scarlatta, Adelphi, Milano, 2009.
- Charles Eric Maine, Il grande contagio, Mondadori, Milano, 2009.
- Richard Matheson, Io sono leggenda, Mondadori, Milano, 2020.
- Cormac McCarthy, La strada, Einaudi, Milano, 2014.
- China Miéville, Embassytown, Fanucci, Roma, 2016.
- David Moody, Il virus dell’odio, Mondadori, Milano, 2011.
- Edgar Allan Poe, I racconti del mistero, RCS Libri, Milano, 2014.
- Alastair Reynolds, Absolution Gap, Mondadori, Milano, 2015.
- Alastair Reynolds, La città del cratere, Mondadori, Milano, 2017.
- Alastair Reynolds, Redemption Ark, Mondadori, Milano, 2014.
- Alastair Reynolds, Rivelazione /1, Mondadori, Milano, 2009.
- Alastair Reynolds, Rivelazione /2, Mondadori, Milano, 2009.
- Kim Stanley Robinson, Gli anni del riso e del sale, Newton Compton, Roma, 2007.
- Matt Ruff, Acqua, luce e gas, Fanucci, Roma, 2004.
- José Saramago, Cecità, Feltrinelli, Milano, 2013.
- Robert Sheckley, Una chiacchierata con il virus del Nilo Occidentale, in Robot n. 45, Delos Books, Milano, 2004.
- Mary Shelley, L’ultimo uomo, Mondadori, Milano, 1997.
- Matthew Phipps Shiel, La nuvola purpurea, D Editore, Roma, 1918.
- Emily St. John Mandel, Stazione undici, Bompiani, Milano, 2015.
- Neal Stephenson, Snow Crash, BUR, Milano, 2007.
- James Tiptree Jr., La soluzione della mosca, in Ann & Jeff VanderMeer (a cura di), Le visionarie. Fantascienza, fantasy e femminismo: un’antologia, Nero Editions, Roma, 2018.
- Dario Tonani, L’algoritmo bianco, Mondadori, Milano, 2009.
- Brian Vaughan, Pia Guerra, Y. L’ultimo uomo (Volumi 1-7), RW Lion, Novara, 2016-2020.
- David Wellington, Monster Island, Mondadori, Milano, 2008.
- David Wellington, Monster Nation, Mondadori, Milano, 2009.
- David Wellington, Monster Planet, Mondadori, Milano, 2009.
- Herbert G. Wells, La guerra dei mondi, Fanucci, Roma, 2017.
- Walter Jon Williams, L’era del flagello, Delos Books, Milano, 2005.
- Connie Willis, L’anno del contagio, Editrice Nord, Milano, 1994.
- Connie Willis, L’ultimo dei Winnebago, Delos Books, Milano, 2008.
- Robert Charles Wilson, Bios, Fanucci, Roma, 2001.
- Danny Boyle, 28 giorni dopo, Fox, 2004 (home video).
- John Cabrera, Cosimo De Tommaso, H+: The Digital Series, YouTube, 2012-2013.
- Claire Carré, Embers, Papaya, Chaotic Good, Bunker Features, Usa, 2015.
- Kevin Costner, L’uomo del giorno dopo, Warner Bros Entertainment Italia, 1999 (home video).
- Michael Crichton, Il mondo dei robot, Warner Bros., 2013 (home video).
- David Cronenberg, Videodrome, Universal Pictures Italia, 2008 (home video).
- Alfonso Cuarón, I figli degli uomini, Universal Pictures Italia, 2018 (home video).
- Guillermo Del Toro, Chuck Hogan, The Strain (Stagioni 1-3), Fox, 2018 (home video).
- Marc Fergus, Hawk Ostby, The Expanse, Amazon Prime, 2015-in corso.
- Marc Forster, World War Z, Universal Pictures Italia, 2013 (home video).
- Juan Carlos Fresnadillo, 28 settimane dopo, Fox, 2008 (home video).
- Mick Garris, L’ombra dello scorpione, Universal Pictures Italia, 2007 (home video).
- Terry Gilliam, L’esercito delle 12 scimmie, Universal Pictures Italia, 2010 (home video).
- Robert Kirkman, Frank Darabont, The Walking Dead – Stagioni 1-9, Warner Bros, 2019 (home video).
- Francis Lawrence, Io sono leggenda, Warner Bros. Entertainment Italia, 2008(home video).
- Chris Marker, La Jetée/Sans Soleil, Sony Pictures, 2019 (home video).
- Terry Matalas, Travis Fickett, L’esercito delle 12 scimmie, Netflix, 2015-2018 (home video).
- Fernando Meirelles, Blindness, Cg, 2011 (home video).
- Terry Nation, Survivors – I sopravvissuti, Yamato Video / Dolmen Home Video, 2009 (home video).
- Jonathan Nolan, Lisa Joy, Westworld – Stagione 1, Warner Bros, 2017 (home video).
- Jonathan Nolan, Lisa Joy, Westworld – Stagione 2, Warner Bros, 2018 (home video).
- Jonathan Nolan, Lisa Joy, Westworld – Stagione 3, Sky, 2020.
- Ubaldo Ragona, L’ultimo uomo della Terra, Ripley’s Home Video, 2017 (home video).
- George Romero, La notte dei morti viventi, DNA, 2012 (home video).
- Boris Sagal, 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra, Warner Bros. Entertainment Italia, 2008 (home video).
- Steven Soderbergh, Contagion, Warner Home Video, 2012 (home video).
- Shinya Tsukamoto, La mutazione infinita di Tetsuo il fantasma di ferro, Minerva Pictures Group, 2013(home video).
- Robert Wise, Andromeda, Universal, 2015 (home video).
Gli altri articoli che completano lo speciale sono una riflessione di Roberto Paura sulle figure dei virologi, infettivologi ed epidemiologi nella comunicazione della crisi e un’analisi di Valerio Pellegrini di Plague Inc., un gioco per smartphone che simula proprio l’evoluzione di una crisi da un focolaio virale. Il quarto pezzo, a firma di Gennaro Fucile, uscirà questa settimana e sarà incentrato sullo scollamento tra cronaca e fiction, con una riflessione sul gioco di specchi tra la realtà e l’immaginario mandato in pezzi dall’emergenza.
Giorno 54 della pandemia e ultimo dello stato di quarantena decretato ormai quasi due mesi fa. Domani inizierà la Fase 2, da tutti tanto attesa da aver lasciato molti delusi nell’annuncio fatto dal governo, che in effetti sembra ancora alquanto lontano dal riuscire a definire un qualcosa che somigli vagamente a una road map o a una strategia per traghettare con sicurezza il paese fuori dall’emergenza (delusione ben sintetizzata da questo editoriale di Luca Sofri).
Guardandoci indietro, ma senza andare a ritroso più di tanto, fermandoci appena a ieri, la fotografia dell’Italia è quella di un paese che ha registrato finora 209.328 casi di contagio e 28.710 decessi, che ne fanno il terzo (dietro USA e Spagna) e secondo (dietro ai soli USA, ma prossimi a essere sopravanzati dalla conta delle vittime in UK) paese più colpito al mondo. Anche se la curva dei nuovi contagi è in evoluzione calante, abbiamo comunque ancora poco meno di duemila nuovi casi registrati al giorno. La curva dei casi attivi, anch’essa in calo, faceva registrare ieri 100.704 casi ancora positivi, ma dobbiamo ancora una volta sottolineare due aspetti di queste statistiche: sono i dati ufficiali raccolti dalle regioni per la Protezione Civile, e scontano sia la strategia dei test (non tutti i sospetti sono testati) sia la definizione di guariti (che comprende anche i dimessi non ancora risultati negativi al test).
Quindi, anche nell’evidente sottostima dei dati ufficiali, continuiamo ad avere almeno centomila casi attivi, prevalentemente concentrati nelle regioni del nord (Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto concentrano circa il 75% dei casi fatti registrare in Italia dall’inizio dell’emergenza). Per intenderci, l’8 marzo i casi positivi erano poco più di 6mila. Inoltre, ieri solo 26 province non facevano registrare nuovi casi (in maggior parte, e per fortuna, al Centro-Sud e nelle isole), ma è bene comunque ricordare che per dichiarare superato lo stato emergenziale dell’epidemia occorre che trascorrano due periodi pieni di incubazione del virus (che nel caso del SARS-CoV-2 corrisponderebbe a un tempo di 30-40 giorni).
🔴 #Coronavirus, ecco le 26 province senza nuovi casi confermati oggi (esclusi i casi “in fase di definizione/aggiornamento”): pic.twitter.com/jeGFL9EU53
— YouTrend (@you_trend) May 2, 2020
Guardandoci attorno, possiamo vedere come i paesi più lenti a reagire siano quelli che stanno pagando lo scotto maggiore: negli USA si registra da più di un mese una media di circa 30mila nuovi casi al giorno, nel Regno Unito un trend analogo assestato poco al di sotto dei 5mila nuovi casi giornalieri. I casi nel mondo hanno superato i tre milioni e mezzo di contagi, le vittime sono state finora 245.243.
E provando a guardare avanti? Siamo in molti a chiederci se siamo davvero pronti per la Fase 2.
L’ipotesi di una riapertura scaglionata e graduale su base regionale, su cui pure si era congetturato (e che in molti ritenevamo oltre che plausibile, anche inevitabile), è stata smentita dall’annuncio del Presidente del Consiglio del 26 aprile scorso e dalla pubblicazione dell’ultimo DPCM. In altre parole, l’Italia che stasera va a dormire come Zona Rossa, domani si risveglia tutta intera, se non Zona Verde, almeno Zona Gialla. Continueranno a valere diverse delle restrizioni fin qui messe in atto, ma le misure che verranno allentate verranno allentate senza distinzioni su tutto il territorio nazionale. E questo malgrado ci siano delle province in evidente peggioramento rispetto ad altre. Secondo il modello elaborato dalla Fondazione Gimbe, basato sulla prevalenza (ovvero la densità stimata sul numero di casi totali ogni 100.000 abitanti) e sulla velocità del contagio (misurata sulla base della variazione percentuale dei casi), è evidentemente ingiustificato trattare il Piemonte come l’Umbria.
Ma la cosa che induce qualche preoccupazione in più, è che domani si entrerà nella Fase 2 senza che nemmeno una delle raccomandazioni degli epidemiologi circolate nelle ultime settimane sia stata presa in considerazione.
Per l’ex presidente della International Epidemiological Association Rodolfo Saracci, prima di partire con la Fase 2 il governo avrebbe dovuto innanzitutto domandarsi “se la fase 1 abbia raggiunto l’obbiettivo di ridurre a zero, o quasi, i nuovi casi”, prefissandosi degli obiettivi (nazionali o regionali) per conciliare le riaperture con la propria capacità di gestire l’emergenza (da Scienza in rete). Evidentemente, per quanto scrivevamo sopra, non è stato così.
Per Pierluigi Lopalco, docente di igiene all’università di Pisa e coordinatore della task force per l’emergenza epidemiologica della Regione Puglia, prima di allentare le misure sarebbe stato necessario fissare alcuni standard:
“Quanti tamponi per mille abitanti si riescono a fare in una settimana? Quanti tamponi sul totale risultano positivi? Qual è la quota di casi di covid-19 registrati dal sistema di sorveglianza di cui non si conosce l’origine? Quanti focolai di trasmissione sono ancora aperti? Qual è la quota di casi covid-19 che vengono segnalati per la prima volta quando sono già gravi? Esiste un sistema di sorveglianza di ‘tosse e febbre’ diffuso sul territorio attraverso pediatri di famiglia e medici di medicina generale che segnali precocemente eventuali focolai epidemici? Esiste un sistema di allerta che in tutti gli ospedali del territorio sia in grado si segnalare un eccesso di ricoveri di malattia respiratoria acuta grave?”
Evidentemente, non è stato così, e in seguito all’allentamento delle misure sono già due gli effetti che possiamo aspettarci. Innanzitutto, una possibile risalita del numero dei nuovi contagi: se non una vera e propria seconda ondata, come quella attesa per l’autunno, almeno un secondo picco in grado di mettere nuovamente sotto pressione il Sistema Sanitario Nazionale.
In questo caso non è da escludere che i governi decidano di adottare una strategia che era già stata delineata a metà marzo dai ricercatori dell’Imperial College di Londra: il metodo, denominato colloquialmente stop and go o quarantena di massa yo-yo o anche la danza, consiste nel possibile inasprimento delle misure di distanziamento sociale ogni volta che una certa soglia prefissata di posti occupati in terapia intensiva (stabilita per esempio come percentuale di posti totali o come numero medio di ricoveri settimanali) viene superata, e sta conoscendo una crescente popolarità nelle ultime settimane. Non sarebbe come tornare alla Fase 1, ma piuttosto per diversi mesi potremmo avere un’alternanza di periodi più o meno lunghi di Fase 1 intervallati da parentesi di misure più blande.
Isolamento localizzato, misure di contenimento mirate (per tutelare le fasce più a rischio della popolazione), screening su vasta scala e tracciamento dei contatti sarebbero le altre misure da mettere in campo, anche se per il momento dal governo abbiamo sentito parlare solo dell’app Immuni, annunciandola prima come pilastro portante della ripresa, per poi avviare la Fase 2 senza nemmeno averla ancora licenziata per l’uso.
L’altro effetto sarà il prolungamento dell’emergenza. Considerando la curva dei contagi attivi riportata nel primo grafico di questo articolo, vediamo che ci sono voluti 60 giorni per raggiungere il picco (fatto registrare il 19 aprile con 108.257 casi positivi). Possiamo pronosticare tranquillamente che ce ne vorranno di più per azzerarla: se questo era vero già con l’applicazione delle misure restrittive della Fase 1, lo diventerà ancora di più nella Fase 2, da cui è lecito aspettarsi come minimo una frenata nel calo dei nuovi casi, se non proprio (come dicevamo sopra) una risalita.
Questo è ciò che ci aspetta.
Ma stando così le cose, sconcerta ancora di più non vedere uno sforzo a più lungo termine che si sforzi di guardare al di là dell’orizzonte delle prossime settimane. Qualcosa che non riprenda necessariamente i punti programmatici che, con un minimo sforzo di ascolto e compilazione, elencavamo nel precedente post di questo diario della pandemia, ma che mostri una visione. Di qualche tipo.
E invece che tutto ciò che ci viene proposto dalla nostra classe dirigente è banalmente navigare a vista. Aspettiamo quindi il prossimo scoglio e restiamo pronti a virare, pregando di riuscirci per tempo.
Mi riprometto sempre di non commentare le uscite dei politici italiani, consapevole che discutere dichiarazioni palesemente imbecilli o proposte intrinsecamente irricevibili significa comunque farle girare, contribuire a diffonderle, e così si rischia di legittimarle e conferirgli una dignità che non hanno e che non meritano. Però non sempre ci riesco, e questo è il post in cui appunto non ci riesco.
Leggo in giro di proposte da parte del partito più insignificante dell’arco parlamentare di riaprire tutto con gradualità. L’intervista rilasciata dal suo leader ad Avvenire risponde in tutta evidenza a un esigenza di visibilità, la stessa esposizione che con boutade di tenore analogo ricercano anche i leader dell’opposizione (e uno in particolare) in calo di consensi da mesi. E fa il paio con almeno altre due imbarazzanti campagne portate avanti dallo stesso partitino che naviga poco al di sopra del livello del 2% nei mari in burrasca della politica italiana: riempire i supermercati di colombe e uova di pasqua e abbellire i balconi degli italiani di fiori (non sto scherzando, non riporto i link per pietà, ma potete recuperare i riferimenti googlando senza troppa difficoltà).
Adesso bisognerebbe riaprire le fabbriche prima di Pasqua e poi il resto: negozi, scuole, librerie e chiese, «perché non possiamo aspettare che tutto passi. Perché se restiamo chiusi la gente morirà di fame. Perché la strada sarà una sola: convivere due anni con il virus». E se gli appelli alla tradizione delle colombe e alle decorazioni floreali si sottraevano a qualsiasi commento per la loro insulsaggine, parole come queste suonano di una gravità inaudita in un simile momento, a poche ore di distanza dagli inviti alla prudenza del presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro e del presidente del Consiglio Superiore di Sanità Franco Locatelli. Mentre gli esperti invitano a non abbassare la guardia, preparando anche psicologicamente la strada per il prolungamento delle misure restrittive in vigore fino al 3 aprile, qualche politico in cerca di esposizione mediatica non sta mettendo al primo posto la salute dei cittadini.
Ed è se possibile ancora meno ricevibile una proposta del genere se si prova a confezionarla con il richiamo a ineludibili necessità economiche, per tutelare i patrimoni delle imprese e il potere di acquisto dei cittadini. Il Corriere della Sera si è accodato a questa linea di pensiero l’altro giorno, ospitando un intervento sottoscritto da diversi economisti italiani in cui, nel nome di una ectoplasmica ripresa economica, si delineano con entusiasmo scenari distopici se possibile ancora peggiori di quelli dell’immediato futuro, con derive che definire orwelliane è pure riduttivo.
In Europa l’Italia è da anni il fanalino di coda per investimenti nella ricerca e per sostegno all’innovazione delle aziende. Quindi tutto quello che riusciamo a fare in questo momento per uscire dallo stallo, è ragionare su proposte che prevedono il ritorno allo status quo precedente: riaprire le fabbriche, tenere in funzione la filiera agroalimentare come la conosciamo, tornare alle classi sovraffollate delle materne e delle elementari. Proposte non solo irricevibili (come il reinserimento “coatto” dei dipendenti nei vecchi processi di produzione), ma perfino irrealistiche.
Gli economisti che firmano manifesti come quello sopra linkato e i politici che giocano al rialzo a un tavolo in cui è in ballo il futuro di intere generazioni, dimostrano non tanto la spregiudicatezza di cui forse vorrebbero pavoneggiarsi, ma piuttosto una innata mancanza di concretezza e una totale incapacità di misurarsi con la realtà. E la realtà è quella che s’intravede, a fatica, tra i numeri della Protezione Civile: numeri che tutti sappiamo essere sottostimati, in alcuni casi fino forse a un ordine di grandezza (e la Lombardia non fa eccezione: in Emilia-Romagna le modalità di accesso ai test sono pressoché le stesse, e stiamo parlando delle due regioni con il maggior numero di casi documentati), ma che dipingono un fenomeno che già oggi sappiamo finirà per coinvolgere centinaia di migliaia di persone.
In uno scenario conservativo come quello su cui stiamo ragionando dalla settimana scorsa, a Pasqua ci troveremo ad avere un numero di positivi attivi superiore a quelli che abbiamo oggi e a piangere non meno di 12.000 vittime: non si capisce bene che cosa dovremmo festeggiare, a cosa dovrebbero servire colombe e uova di pasqua, o perché in una situazione più grave di oggi si debbano riaprire fabbriche, uffici ed esercizi commerciali oggi chiusi per tornare gradualmente a una normalità perduta. Dobbiamo guardare negli occhi la realtà, che nel migliore dei casi avrà l’aspetto qui sotto rappresentato, ma che non è affatto detto sia così clemente.
Questo malgrado le disposizioni del governo. Immaginarsi cosa succederebbe allentando proprio adesso quelle misure non è difficile: a Codogno, in seguito alla riapertura dell’ex area protetta, i casi di COVID-19 sono tornati ad aumentare.
Ieri è stato registrato il maggior numero di decessi dall’inizio dell’emergenza: 919, che portano il conteggio totale oltre le 9mila vittime. I numeri rendono solo in parte fede a una situazione reale che ha già fatto centinaia, forse migliaia di vittime in più rispetto alle cifre ufficiali. I nuovi casi registrati ieri sono stati 5.959, che portano il totale a 86.498 contagi: il giorno in cui l’Italia si è lasciata alle spalle la Cina per dimensioni dell’epidemia, gli USA hanno superato i centomila contagi, con il 50% di casi attivi in più rispetto all’Italia, che al momento ne ha 66.464. Tra i 14.543 casi del Regno Unito, dall’altro giorno è conteggiato anche il primo ministro Boris Johnson, insieme al suo ministro della Salute (la fortuna è cieca, ma il karma ci vede benissimo a quanto pare).
Nel mondo i casi sono più di 600.000, le vittime 27.468.
Ieri il Papa si è rivolto a una piazza vuota per una preghiera speciale. Tanti non credenti (come chi scrive) hanno sottolineato la forza delle immagini e delle parole dell’omelia del 27 marzo. Trovo anch’io importante registrarle a futura memoria: hanno molto più senso di quelle dei nostri politucoli da quattro soldi.
Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.
Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”. «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12)
415.146 casi registrati. 18.562 vittime. 108.296 guariti. Ecco la situazione nel mondo nel momento in cui scrivo (dati forniti da Worldometers).
La metà dei casi riguardano l’Europa, che ha ormai staccato la Cina come focolaio più attivo a livello globale: dell’Italia parleremo dopo, ma la Spagna ha raggiunto quasi i 40mila casi, con 2.800 vittime e 5.400 contagiati tra gli operatori sanitari, di cui 2.000 solo negli ultimi 2 giorni a causa della carenza di dispositivi di protezione; la Germania è a 32mila casi e il basso numero di vittime (156) per il momento sembra dovuto alla maggiore diffusione dei contagi tra le fasce più giovani della popolazione e con il diffondersi dell’epidemia sempre più anziani potrebbero essere colpiti, ma sembra difficile che l’emergenza possa assumere le proporzioni raggiunte in Italia, grazie ai 28mila posti in terapia intensiva di cui dispone la Bundesrepublik; la Francia, con oltre 22mila casi, ha superato oggi le mille vittime e i consulenti scientifici del presidente Emmanuel Macron hanno suggerito di proseguire il blocco del paese almeno per altre sei settimane fino alla fine di aprile.
Secondo un portavoce dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’85% dei nuovi casi registrati nelle ultime 24 ore sono stati in Europa e in USA. Malgrado gli States abbiano più di 50mila casi e 667 decessi, e nonostante la richiesta d’aiuto del governatore dello stato di New York Andrew Cuomo perché il governo federale sostenga lo stato con 30.000 nuovi respiratori prima che si trasformi nel prossimo epicentro globale del coronavirus, il presidente Donald Trump in controtendenza ostenta ottimismo e rimanda qualsiasi decisione sulla riapertura degli esercizi commerciali alla prossima settimana.
Intanto gli stati che hanno annunciato il lockdown sono 15, con misure che riguardano la metà circa dei 330 milioni di cittadini americani. A questi si aggiungono India, Sud Africa e Nuova Zelanda, che entreranno in lockdown tra poche ore per almeno tre settimane: 2,6 miliardi di persone sono costrette a casa come misura per contenere il dilagare della pandemia.
Anche il Giappone si è arreso e ha accettato di rimandare le Olimpiadi al 2021: non era mai capitato prima che le Olimpiadi venissero spostate e l’ultima volta che erano state annullate era il 1944.
In Italia il Consiglio dei Ministri ha approvato nel pomeriggio un nuovo decreto per porre ordine nelle misure di contenimento fin qui disposte, precisando che i provvedimenti adottati possano essere rinnovati per ulteriori 30 giorni alla scadenza e successivamente estesi fino al 31 luglio, data di scadenza dei sei mesi dallo stato di emergenza dichiarato il 31 gennaio scorso. Il testo inasprisce le sanzioni per i trasgressori (che sono comunque molti meno di quanto si pensa e di quanto si sarebbe potuto credere) e introduce per i prefetti la possibilità di avvalersi delle forze armate per far rispettare le misure previste. Agli amministratori regionali e comunali viene riconosciuta la facoltà di disporre in autonomia provvedimenti più restrittivi, che non potranno però avere durata superiore ai sette giorni se non confermati attraverso un decreto ministeriale. Il presidente del consiglio Giuseppe Conte domani riferirà in Parlamento.
Ma come sta andando il contagio in Italia?
Oggi si sono registrati 5.249 nuovi casi, che portano il totale a 69.176 contagi. I decessi salgono a 6.820 (+743), i guariti a 8.326 (+894). I casi positivi attualmente in corso sono 54.030, con un incremento di 3.612 rispetto a ieri (trend in diminuzione per il terzo giorno di fila): di questi 21.937 sono ricoverati e 3.396 sono i ricoverati in terapia intensiva, con un tasso di saturazione salito al 54%.
Il rallentamento degli ultimi giorni è facilmente percepibile nell’andamento della variazione percentuale giornaliera dei casi.
Potremmo effettivamente essere al picco dei contagi, la concordanza con lo scenario E2, che altro non è che lo scenario E corretto per tener conto dell’andamento degli ultimi giorni, incoraggia a pensarlo.
Questo scenario è sostanzialmente in accordo con le estrapolazioni su cui riflettevamo il 21 marzo. Lo scenario di crescita dei casi totali mostra una leggera sovrastima rispetto ai casi totali effettivamente registrati ad oggi: continuando di questo passo, anziché sfondare quota 120.000 casi registrati a fine epidemia (con l’inevitabile disclaimer che questi sono solo i casi visibili, mentre i casi reali – necessari anche a riportare il tasso di letalità nelle medie registrate in altri paesi – potrebbero già essere molti di più), potremmo fermarci tra i 100 e i 120.000.
Uno scenario di sviluppo dei casi attivi compatibile con queste premesse è quello del grafico seguente, in cui il picco dei casi attivi si assesta verso gli 80.000 casi intorno al 4 aprile.
Questo significa che, malgrado l’ottimismo che inevitabilmente filtrerà dalla lettura dei numeri snocciolati nei bollettini giornalieri, nel giro di poco più di una settimana ci troveremo a fronteggiare un numero di casi che potrebbe essere tra il 30 e il 50% più alto di quelli che abbiamo oggi, con la necessità di soddisfare più di 7.000 ricoveri in terapia intensiva (per essere più precisi siamo in una forbice tra 5 e 8.000).
Come si vede dall’andamento dei ricoveri, già nei prossimi giorni il trend di crescita potrebbe entrare in collisione con la capacità di tenuta del sistema sanitario nazionale, ammesso e non concesso che questo non sia già successo, almeno a livello locale e in alcune regioni, con conseguenze già visibili nello scarto consistente tra l’andamento del modello e quello dei ricoveri effettivi in ICU.
Quindi, se anche la situazione dei contagi potrebbe essere finalmente sotto controllo, grazie alle misure restrittive adottate a partire dall’inizio di marzo, il rallentamento del tasso di crescita dei nuovi contagi registrato negli ultimi giorni non è un invito alla pazza gioia: mentre i cittadini dovranno proseguire nella ferrea disciplina di distanziamento sociale che si sono imposti con questi incoraggianti risultati, le autorità dovranno continuare ad adattare la capacità di ricovero in terapia intensiva per i casi più critici per poterci traghettare felicemente fuori dall’emergenza, configurando i primi segnali di un ritorno alla normalità non prima del mese di maggio.
Qui sopra vedete la sigmoide rossa del numero dei decessi che si stabilizza tra le 12 e le 13.000 vittime. Ma basterà sottovalutare i dieci giorni che ci aspettano o commettere un solo passo falso perché questi valori si alzino come una marea rossa, configurando scenari ben peggiori.
Il feeling positivo ispirato dalle notizie di ieri è ripreso in serata, dopo che l’alba ci aveva consegnato un altro triste risveglio. Il tempo di confrontarsi con le notizie provenienti dal resto del mondo: oltre un miliardo di persone costrette nelle loro case in tutto il mondo, la curva dei contagi negli USA che schizza vertiginosamente verso l’alto (i casi sono cresciuti di dieci volte in meno di una settimana, e dopo essere arrivati ieri oltre i 30mila, oggi sono saliti ulteriormente a quasi 42mila con 500 vittime: al 21esimo giorno dell’emergenza, in Italia eravamo a metà dei casi…), le scene dagli ospedali spagnoli assiepati di malati in attesa di un posto letto e la vicepremier Carmen Calvo ricoverata per un’infezione respiratoria. Il sindaco di New York Bill de Blasio ha dichiarato di aspettarsi «un mese di aprile peggiore di quello di marzo, e un mese di maggio ancora peggiore» e ha avviato i lavori per trasformare un centro congressi in un ospedale da mille posti letto.
In Italia il mezzo pasticcio sulle chiusure delle attività produttive non essenziali propiziato dal caos istituzionale tra governo centrale e regioni, in cui s’inserisce un nuovo scontro tra Confindustria e sindacati, che annunciano scioperi nelle regioni del Nord.
La situazione al Sud è altrettanto tesa: Basilicata e Calabria hanno annunciato la chiusura dei loro confini regionali. I sindaci dei comuni dell’alta Calabria hanno chiesto al prefetto di Cosenza l’autorizzazione a istituire check point con l’aiuto di agenzie private sulle strade di accesso alla ragione. Mentre il governatore della Sicilia e il sindaco di Messina denunciano sbarchi non autorizzati dalla Calabria.
Il numero degli operatori sanitari contagiati è salito a 4.824, il doppio rispetto alla Cina.
I contagi nel mondo sono saliti a 375.000 casi, con 16.000 vittime (10.000 solo in Europa) e più di 12.000 ricoverati in condizioni critiche. In Italia la curva dei nuovi contagi segna un valore in riduzione per il secondo giorno di fila, con 50.418 casi attivi e 63.927 totali, ma rimandiamo ai prossimi giorni ulteriori considerazioni sulla curva. Intanto la provincia di Milano sembra aver frenato, ma le regioni del Sud stanno per diventare le osservate speciali per capire come evolverà la crisi.
In serata il premier britannico Johnson ha completato la svolta a U cominciata lunedì scorso e ha annunciato severe misure di contenimento, confrontabili con quelle adottate in Italia: chiusura degli esercizi commerciali non essenziali, forti restrizioni negli spostamenti, chiusura di biblioteche, parchi giochi e luoghi di culto, sospensione di battesimi e matrimoni. Prove tecniche di lockdown. La polizia avrà il potere di disperdere assembramenti e comminare multe anche molto salate. E il tutto durerà non meno di tre settimane. Ci sono volute più di trecento vittime per far cambiare idea a Johnson e ai suoi. È un duro bagno di realtà per chi aveva vaneggiato sul lasciar fare all’epidemia il suo corso.
Ha senso continuare a registrare i numeri, inserirli nei nostri modelli statistici per calcolare regressioni ed estrapolare tendenze future? Oggi in Italia abbiamo superato i 50mila casi (53.578 per l’esattezza, 6.557 più di ieri), con 42.681 casi attivi documentati (+4.821), tra isolamento domiciliare (22.116) e più di 20mila ricoverati in ospedale, di cui 2.857 in terapia intensiva.
La provincia più colpita continua a essere Bergamo, ormai quasi a 6mila casi, ma la crescita di Milano città (a 1.829 casi) e provincia (a 4.672) comincia a destare preoccupazione. Se non dovessero esserci segnali di miglioramento entro i prossimi giorni, qualcuno – su entrambi i versanti dello schieramento politico – dovrebbe avere la decenza di scusarsi con i cittadini lombardi e italiani per il messaggio deleterio inviato con le varie iniziative collegate all’hashtag #milanononsiferma.
I test effettuati sono stati 233.222, con un tasso di positivi pari al 23%, a riprova del fatto che l’adozione delle linee guida ministeriali ha portato a test estremamente mirati: per confronto, consideriamo che in Corea del Sud sono stati effettuati oltre 300.000 test con un tasso di positività inferiore al 3%. E le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità vanno proprio in quella direzione. L’Italia, in altre parole, avrebbe dovuto testare a questo punto più di un milione e mezzo di persone.
Nel mondo i casi hanno superato quota 300.000: un contagio documentato su sei è stato contratto in Italia, ma il tasso di crescita negli Stati Uniti è se possibile ancor più preoccupante che da noi, continuando a raddoppiare ogni due giorni.
Al momento attuale, non possiamo dire molto di vagamente sensato né su quando avremo il picco in Italia né su quando potremo ritenere di essere pronti a tornare alla vita di prima, in Italia e nel mondo. Viviamo a tutti gli effetti in una zona morta: non più una dimensione simbolica e filosofico-morale, ma una condizione umana in cui qualsiasi tentativo di estrapolazione e proiezione verso l’orizzonte del futuro è letteralmente azzerata.
Tuttavia la tendenza che registravamo ieri è proseguita anche oggi: la percentuale di ricoverati ICU rispetto al totale dei casi positivi in corso è scesa sotto il 7%. Appare un po’ meno sicuro il dato sulla percentuale di saturazione, ma secondo il consueto situation report di Intelworks dovremmo essere al 46,5% dei 6.141 posti totali a cui si è giunti nel frattempo. Come potete vedere dallo spaccato regionale, la situazione è già al limite della sostenibilità oltre che in Lombardia in almeno altre quattro regioni, tutte già potenziate o in corso di potenziamento.
Probabilmente la prima cosa che ci converrà guardare d’ora in avanti saranno proprio questi indicatori: i posti ICU disponibili, il numero di ricoverati ICU e il relativo tasso di saturazione per regione. Se lo scenario più conservativo tra quelli oggi plausibili prevede un picco di massima diffusione di più di 80mila casi contemporaneamente attivi (circa il doppio di quelli che abbiamo oggi), significa anche che l’originario piano di potenziamento delle terapie intensive disposto dal Ministero della Salute dovrà essere adeguato, aggiungendo almeno 3-4mila posti ai 7.635 finali che ancora si prevedono: questo implica non solo un numero maggiore di macchinari per la ventilazione assistita, ma anche più personale medico e infermieristico, anche per compensare il personale che inevitabilmente finisce per contrarre il virus (ad oggi, più di duemila).
Senza questi 10-12mila posti ICU (il doppio di quelli fin qui disponibili), le vittime potrebbero diventare migliaia al giorno per molti giorni, qualcosa che nessuno si augura di dover mai commentare.
20 marzo 2020, equinozio di primavera. Un’altra giornata nera per l’Italia.
Il totale dei casi registrati sale a 47.021 (5.986 più di ieri). Deceduti: 4.032 (+627), tasso grezzo di letalità: 8,6%. Guariti: 5.138 (+698).
Totale casi attivi: 37.851 (+4.670). Ricoverati in terapia intensiva: 2.655 (+157), corrispondenti al 7% sul totale dei casi attuali. Tasso di saturazione stimato dei posti letto in terapia intensiva: 45%.
Guardando i dati diffusi dalla Protezione Civile ci accorgiamo che il numero dei ricoverati in terapia intensiva non sta crescendo con la stessa rapidità dei casi positivi in corso: lo scollamento non è fluttuante ma mostra un progressivo aumento da una decina di giorni a questa parte.
Nell’immagine seguente lo scostamento è più evidente, ed è rappresentato da quello scalino tra l’andamento attuale dei ricoveri in ICU (intensive care unit) e quello stimato al tasso delle prime due settimane della crisi (mediamente intorno al 10% del numero dei casi attivi): rispettivamente la linea rosso/arancio e quella blu elettrico con gli indicatori.
Naturalmente il numero dei ricoveri in terapia intensiva non può superare la capienza dei reparti (linea rossa spezzata, già comprensiva del piano di rafforzamento disposto dal Ministero della Salute), anzi non vi si può nemmeno avvicinare: si stima che a regime un terzo circa dei posti totali non siano destinabili a trattamenti per il COVID-19, e quindi l’andamento attuale sembra piuttosto un effetto del progressivo assorbimento della richiesta crescente di ICU nelle regioni più colpite (in particolare la Lombardia, dove da diversi giorni decine di contagiati bisognosi di cure vengono trasferiti in strutture in altre regioni).
Essendo giunti a questo punto e con un tasso di contagi accertati compatibile con un livello di massima diffusione del COVID-19 (picco dei casi attivi) di più di 80mila casi, più del doppio delle cifre su cui ragionavamo solo all’inizio di questa settimana (non ero il solo), gli scenari si fanno decisamente cupi. Per di più stiamo cercando di fare previsioni ragionando su cifre fortemente condizionate dal bias delle procedure ministeriali (secondo cui andavano testati solo soggetti con sintomi che avessero avuto un link epidemiologico chiaro con i focolai o con altri contagiati): quello che sta succedendo oggi è l’effetto di una situazione solo in parte sotto controllo due-tre settimane fa e che nel frattempo ha avuto modo di evolvere secondo dinamiche caotiche. E nel frattempo continuiamo a fare molti meno tamponi di quanto l’Organizzazione Mondiale della Sanità suggerisce di fare.
Così più passano i giorni più aumenta la distanza tra lo stato dei fatti e la rappresentazione che ne possiamo dare. Come dicevamo anche ieri, ormai i dati della Lombardia sono legati solo in parte alla reale entità del contagio. Un ottimo articolo in merito è apparso proprio oggi, nemmeno a dirlo, sul Post.
E sempre dal Post apprendiamo che i 466 casi attualmente positivi in Puglia avrebbero avuto tutti contatti nelle settimane scorse con persone arrivate dalle regioni del Nord Italia. Un’altra cittadina è stata chiusa dopo i casi in Campania: questa volta è toccata a Fondi, in provincia di Latina, mentre un uomo risultato positivo al tampone dopo il decesso del padre è fuggito da un ospedale della Val Brembana e ha fatto perdere le sue tracce: carabinieri, vigili del fuoco e soccorso alpino sono impegnati nelle ricerche.
Tornando all’epicentro della crisi epidemica in Lombardia, alle ipotesi iniziali della scorsa settimana sul trigger che avrebbe accelerato la diffusione del coronavirus si sono continuati ad aggiungere ulteriori dettagli. Una combinazione letale di negligenza e superficialità ha piazzato una bomba a orologeria sotto i piedi di un’intera comunità. Anteporre il fatturato delle aziende alla salute dei lavoratori e delle loro famiglie ha fatto il resto.
A futura memoria: quando lo avremo superato, ricordatevi di quanto faceva schifo il capitalismo https://t.co/5GSglhol64
— Marina Calculli (@marinacalculli) March 20, 2020
19 marzo 2020. La sinistra contabilità del contagio è sempre più impietosa.
Totale dei casi registrati: 41.035 (con 5.322 nuovi casi). Deceduti: 3.405 (+427), tasso grezzo di letalità: 8,3%. Guariti: 4.440 (+415).
Totale casi attivi: 33.190 (+4.480). Ricoverati in terapia intensiva: 2.498 (+241), corrispondenti all’8% sul totale dei casi attuali. Tasso di saturazione stimato dei posti letto in terapia intensiva: 42%, grazie all’incremento dei posti disponibili da 5.293 a 5.951.
Ogni giorno va peggio.
Ancora una volta la Lombardia ha fatto segnare un salto in avanti nel conteggio dei casi e delle vittime: sono quasi 20mila i contagi accertati e più di duemila i decessi. Ma gli esperti suggeriscono di non guardare più i numeri della regione, che avrebbero perso significato per via sia della sottovalutazione iniziale dei casi (si parla di ben un ordine di grandezza) che dell’attuale stato di stress del sistema sanitario lombardo (il numero dei decessi sarebbe più alto di quanto fornito dalle stime ufficiali).
La foto che forse immortala questa fase della pandemia ha fatto nelle ultime ore il giro del mondo: rappresenta una colonna di mezzi militari che attraversa le strade di Bergamo per trasportare i feretri dei defunti che non possono più essere cremati nel cimitero cittadino: verranno cremati in altre città della regione e delle province limitrofe e faranno poi ritorno nel capoluogo orobico.
Cosa abbia trasformato Bergamo nella capitale italiana dell’epidemia è ancora ignoto, ma iniziano a circolare alcune ipotesi e testimonianze. L’auspicio è che davvero nelle province più colpite di Bergamo, Brescia e Cremona il picco sia vicino, e che Milano non raggiunga i loro livelli di diffusione. A questo proposito ha fatto molto discutere nei giorni scorsi la notizia del tracciamento degli spostamenti operati sui residenti lombardi, che rivelerebbe un calo di circa il 60%, ritenuto insufficiente a rendere efficaci le misure restrittive disposte dal governo. Si parla già di un’estensione delle disposizioni straordinarie oltre i termini iniziali (25 marzo per le attività commerciali, 3 aprile per scuole, università e spostamenti) e di un giro di vite contro i trasgressori.
Ma nel disagio non dobbiamo dimenticare l’impatto che le misure di distanziamento sociale dello stato di emergenza in corso stanno avendo, come sempre, inevitabilmente, sulla vita (e sulla qualità della vita) di malati e disabili, senzatetto, migranti. La prossima volta che ci verrà voglia di lamentarci, facciamo lo sforzo di pensare all’effetto che le misure di contenimento del coronavirus stanno avendo sulla loro condizione. E proviamo a non dimenticarci di loro.
When is enough enough?
Over the last week the corona virus has almost completely taken over the news cycle. And the measures that are being taken against it especially. Self isolation, “social distancing”, curfews, bans on public gatherings, fines…..— black racoon (@blackracoon16) March 19, 2020
Italia, 17 marzo 2020. 27simo giorno dal primo contagio registrato di coronavirus all’interno del territorio nazionale. Ottavo giorno dalla trasformazione del paese in un’unica, grande Zona Rossa.
Totale dei casi registrati: 31.506 (+3.526). Deceduti: 2.503 (+345), tasso grezzo di letalità: 7,9%. Guariti: 2.941 (+192).
Totale casi attivi: 26.062 (+2.989). Ricoverati in terapia intensiva: 2.060 (+209), corrispondenti al 7,9% sul totale dei casi attuali.
Ieri un uomo fuori forma è stato sorpreso a passeggio in una strada del centro di Roma. Malgrado le restrizioni, lo stato di emergenza, le disposizioni di distanziamento sociale e le sanzioni previste per chiunque le violi. Un uomo con la sua fidanzata. Scortati.
L’uomo fuori forma è lo stesso che sette mesi fa si aggirava in tournée per le spiagge italiane, invocando i pieni poteri. I cittadini italiani glieli avrebbero concessi, a suo dire. Il popolo italiano era con lui, contro l’invasione dei migranti, contro l’Europa matrigna, contro i burocrati. Con lui, l’uomo comune, l’uomo comune che ama la bella vita, come ogni italiano che si rispetti, la Nutella, il buon cibo quando se lo può permettere altrimenti va bene anche il cibo di merda, il vino, il calcio (e il tifo ultrà e gli spacciatori delle curve). Un uomo come tanti, che come ogni italiano che si rispetti ama le soluzioni semplici, perché questo vogliono le menti semplici. E pazienza che il mondo sia invece complesso, richieda letture complesse e troppo spesso fallibili… i professoroni si mettano l’anima in pace, hanno studiato tanto ma per niente, questo mondo non appartiene a loro ma alla gente comune, che lo sottomette e piega alla propria volontà e al proprio gusto, perché è questo che evidentemente gli hanno insegnato decenni di dieta a base di ottima melassa televisiva.
L’uomo passeggiava per le strade di una Roma in stato di quarantena, con la sua scorta e la sua fidanzata, mano nella mano (con la fidanzata, non con la scorta, per quanto… ma non divaghiamo). E un pensiero mi ha attraversato la testa. per l’ennesima volta negli ultimi otto giorni, da quando questo stato di emergenza è cominciato, da quando sessanta milioni di italiani sono in stato di isolamento forzato, costretti nei loro domicili, al più con il permesso di spostarsi per comprovate esigenze lavorative o per situazioni di necessità o per motivi di salute. Tutte valide ragioni, come andare a prendere una boccata d’aria con la scorta e la fidanzata, benché i moduli delle autocertificazioni del governo non prevedano quest’ultimo caso. Era un pensiero un po’ perverso, come capita alle menti costrette all’inazione. Un pensiero accompagnato da un lungo brivido.
Il pensiero che quell’uomo che se ne andava a spasso per la capitale, mano nella mano con la sua fidanzata e la sua scorta (non necessariamente in quest’ordine… ma lasciamo stare), se sette mesi fa non avesse deciso di giocare un all in su una puntata perdente, oggi sarebbe stato pienamente titolato a disporre nello stato di emergenza misure restrittive che si addicono a uno stato di polizia, nelle cui maglie sarebbe stato facile trarre i presunti nemici della nazione, del popolo italiano, del cuore immacolato di maria. E con qualche minima estensione interpretativa, senza nemmeno il bisogno di approvare modifiche al decreto, instaurare un regime del terrore in cui un qualunque buzzurro legittimato dal consenso popolare o dalla sua divisa avrebbe potuto citofonare alla casa di un privato cittadino e autoinvitarsi nel suo domicilio per inquisirlo: lei spaccia? nasconde pacchi di carta igienica? colleziona boccette di amuchina?
Un sogno bagnato per ogni caudillo. L’estasi per il piccolo sceriffo che alberga dentro ogni fascista.
Per fortuna, la storia è andata diversamente. E per questo, quando mi viene da incupirmi per il clima distopico di questi giorni, mi basta ripensare a quell’uomo piccolo piccolo, ma non mentre passeggia per Roma, ma quando in piena sbornia da consensi, nel bel mezzo dell’estate, forse per un mancino colpo di sole o solo per uno scherzo del destino, si piantò la zappa sui piedi dall’alto del suo 30% di supposta – nel senso di presunta, non fraintendete – egemonia elettorale. Un uomo piccolo piccolo, che si è fatto fuori con le sue mani, risparmiandoci dolori e sofferenze ancora più grandi dei sacrifici a cui siamo chiamati.
Ed è così che mi convinco che ce la faremo. Perché questa non è una tragedia, il tempo delle tragedie è trascorso. La storia italiana è ormai ben avviata sulla strada della farsa e del grottesco. Un’eterna tragicommedia dalle fiacche risate, ma pur sempre inconciliabile con la fine di tutte le cose.
State allegri. Il peggio forse non è ancora passato. Ma se non altro non siamo nemmeno ancora fottuti.
La dashboard dell’osservatorio globale sulla diffusione della sindrome da COVID-19 del Center for Systems Science and Engineering (CSSE) della John Hopkins University oggi si presentava cosi:
Il conto dei casi totali per la prima volta ha doppiato la Cina: 178.508 nel mondo contro gli 81.032 delle province cinesi. L’Italia, ormai stabilmente al secondo posto, ha raggiunto 27.980 contagi e superato la soglia di un terzo dei casi registrati in Cina. Se pensate che due settimane avevamo 2.500 casi, meno del dieci per cento dei casi attuali, mentre la Cina aveva appena oltrepassato la soglia allora per noi remota degli 80.000 contagi, vi renderete conto di due cose: come funziona una crescita esponenziale, che per sua natura riesce a stravolgere la prospettiva nel volgere di breve tempo, sovvertendo la linearità dei fenomeni per noi più intuitivi; e come le misure di distanziamento sociale possano riuscire a flettere la curva di espansione del virus mutando la crescita esponenziale in una funzione sigmoidale, mandandola a stabilizzarsi verso un asintoto orizzontale (è tutto illustrato con delle utili dimostrazioni pratiche in questo illuminante articolo del Washington Post). Quell’asintoto è il tetto della crescita, il coperchio sulla padella di olio infiammato che soffoca l’esplosione del fuoco prima che sia troppo tardi: in Cina ha funzionato, Italia e Spagna stanno provando a farla funzionare.
Il governo di Madrid, che ha schierato l’esercito per presidiare le stazioni ferroviarie nelle principali città e ha autorizzato la polizia a servirsi di droni per sorvegliare gli spostamenti dei cittadini, si appresta a chiudere le frontiere e a disporre un’estensione delle misure restrittive oltre i 15 giorni originariamente previsti. Anche la Svizzera si è decisa a dichiarare lo stato d’emergenza, che durerà più di un mese, fino al 19 aprile. La Francia ha rinviato a giugno il secondo turno delle comunali, mentre la Germania ha varato misure straordinarie per fronteggiare la crisi.
Il primo ministro britannico Boris Johnson, che appena quattro giorni fa annunciava al Regno Unito il piano del suo governo di non arginare la diffusione del contagio, è tornato sui suoi passi e ha invitato i cittadini a evitare i contatti e i viaggi non essenziali. Il Foreign Office ha alzato il livello di rischio dopo che i dati accertati sulla diffusione del coronavirus hanno toccato stamattina i 1.543 casi. Ieri il Guardian aveva diffuso un rapporto della Public Health England, organismo esecutivo del ministero della Salute britannico, secondo cui la diffusione del contagio in assenza di misure di contenimento raggiungerebbe l’80% dei residenti nel Regno Unito entro la primavera del 2021, causando quasi 8 milioni di ricoveri e almeno 318mila decessi. La stima si basa sull’ipotesi che il tasso di mortalità del COVID-19 si attesti intorno allo 0,6%, ma i dati italiani sono attualmente bene dieci volte più alti (qui ci sono alcune ipotesi sul perché). Per proteggere gli ultrasettantenni, si prevede adesso un isolamento forzato fino a quattro mesi.
L’idea dell’immunità di gregge che ispira l’inazione del governo britannico e dei suoi consiglieri non ha ancora trovato conferma negli studi. Per avere una panoramica delle cose che ancora non conosciamo del coronavirus, vi consiglio di leggere questo ottimo articolo del Post. L’impatto di una strategia passiva rischia di provocare milioni di morti, risolvendosi in una catastrofe sociale.
Intanto, oltreoceano, il governatore dello Stato di New York Bill De Blasio ha chiuso le scuole almeno fino al 20 aprile, ma con la prospettiva che possano non riaprire fino a giugno. Il governatore della California Gavin Newson ha invece chiuso tutti i bar, i ristoranti, i pub e i nightclub dello stato.
E qui da noi? Dopo il giorno con il più alto numero di vittime, in Italia oggi i decessi sono stati 349, di cui 202 solo in Lombardia: i morti salgono a 2.158, 1.420 nelle province lombarde. Lombardia e Marche hanno quasi saturato la capienza delle loro strutture sanitarie, ma a Milano dovrebbe entrare in funzione entro due settimane un nuovo padiglione per cure intensive all’Ospedale San Raffaele. Il totale dei casi attualmente positivi è 23.073, di cui 1.851 ricoverati in reparti di terapia intensiva, con un tasso di occupazione del 35% dei posti allestiti: sono circa 200 posti in meno di quanto prevedeva il nostro scenario E, che a questo punto stimava un tasso di saturazione di circa il 40%.
Ma c’è un’altra buona notizia: l’andamento dei contagi pare stia uscendo dall’inviluppo tra le curve degli scenari C e D, che delineavano gli orizzonti peggiori.
Dai totali giornalieri mancano i dati di Puglia e provincia di Trento, ma estrapolando le tendenze degli ultimi giorni difficilmente la loro somma supererà alcune centinaia di casi, che andrebbero sommati ai 3.233 comunicati dal bollettino della Protezione Civile (rispetto ai 3.497 di sabato e ai 3.590 di ieri). Sicuramente è presto per cantare vittoria, ma forse tra qualche giorno, riguardando indietro, riusciremo a distinguere nitidamente la cresta dell’onda che ci auguriamo di stare cavalcando proprio in queste ore.
Intanto non dobbiamo abbassare la guardia, o i sacrifici sostenuti finora finirebbero vanificati. Come dimostrano i casi esemplari dei comuni messi in isolamento nelle province campane di Avellino e Salerno:
Intanto negli ultimi giorni diversi comuni italiani sono stati messi in quarantena in seguito alla rilevazione di molti casi di contagio, con il divieto per chiunque di entrare o uscire.
Il primo comune a subire questa misura è stato quello di Ariano Irpino (provincia di Avellino), dove nei giorni scorsi erano risultati 21 casi (quando in tutta l’Irpinia sono stati 37). Sono stati poi messi in quarantena altri quattro comuni campani, tutti nella provincia di Salerno: Sala Consilina, Atena Lucana, Polla e Caggiano. Secondo il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, i contagi sarebbero tutti legati a un ritiro spirituale di una comunità di neocatecumenali avvenuto in un hotel di Atena Lucana il 28 e 29 febbraio, in cui i partecipanti avrebbero partecipato a un rito religioso bevendo tutti dallo stesso calice.
(dal Post)
Nel rapportare le traiettorie che rappresentano la diffusione di COVID-19 nei diversi paesi, due cose colpiscono: la prima è che l’Italia rimane ancora distante dalla stabilizzazione della Corea del Sud, che anzi nel giro di una settimana abbiamo praticamente triplicato; la seconda è che qualitativamente gli altri paesi occidentali stanno seguendo le orme dell’Italia. Francia e Germania (rispettivamente con 4.480 e 4.515 casi) sono dov’eravamo noi intorno alla metà della settimana scorsa, la Spagna con 6.315 casi è dov’eravamo noi lo scorso fine settimana.
Non sorprendono quindi le misure restrittive che stanno progressivamente adottando i rispettivi governi, nemmeno in Francia, dove fino a pochi giorni fa illustri esponenti del governo sbandieravano cautela e puntavano altezzosamente il dito verso i cugini transalpini, cioè noi.
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— Giovanni De Matteo (@NovaXpress) March 12, 2020
La situazione dell’Italia continua a destare preoccupazione. I nuovi casi registrati nella giornata odierna sono stati 3.497, che hanno portato il totale complessivo a 21.157. Per intenderci: siamo a circa un quarto delle proporzioni raggiunte dalla Cina. I casi attualmente positivi sono 17.750, di cui 1.518 ricoverati in terapia intensiva. Anche considerando l’aumento della capienza dei posti a 5.293, la pressione sul sistema sanitario pubblico sfiora il 30%.
Il ministero della Salute ha già disposto l’aumento dei posti in terapia intensiva a 6.200 unità entro la fine del mese, per poi salire ulteriormente a circa 7.500 posti nel mese successivo. In media un paziente positivo al coronavirus su dieci richiede cure mediche che necessitano un ricovero in terapia intensiva (ICU), con tempi di permanenza nell’ordine dei 30 giorni (circa il doppio della media dei ricoveri in terapia intensiva). Inoltre, stando ai dati del Prontuario statistico nazionale, il tasso annuo medio di occupazione dei 5.090 posti letto che costituiscono la base del servizio del nostro paese è pari al 48,4%, il che ci porta a stimare una media di 2.465 posti da prevedere per la somministrazione di cure per casi non associati all’epidemia da coronavirus, il che significa che già oggi una richiesta di poco più di 2.800 posti, corrispondente al 53,4% della capacità ICU del Sistema Sanitario Nazionale italiano, potrebbe comportare seri problemi.
Per questo adesso più che mai è fondamentale capire a che punto della curva di contagio ci troviamo.
Se esaminiamo i dati della prima fase della diffusione dell’epidemia da COVID-19 in Italia, l’andamento dei casi sembra compatibile con un picco imminente. Nel grafico sottostante, la scala della curva a campana dei nuovi casi è sull’asse verticale secondario (a sinistra) e stima un picco grosso modo dove siamo arrivati oggi.
In questo scenario E, la curva dei guariti replica qualitativamente l’andamento delle guarigioni nel precedente cinese: di fatto, abbiamo un ritardo di circa un mese a separare il picco dei contagi dal picco delle guarigioni. Se sia o meno corretto, lo capiremo già da domani o al più tardi da lunedì prossimo, ma in questo scenario la pressione sulle strutture ospedaliere sarebbe gestibile, perché il carico massimo arriverebbe verso fine marzo, quando potrebbero già iniziare a essere operative le prime nuove unità di terapia intensiva in fase di preparazione, consegna e allestimento.
Ma cosa accadrebbe se lo scenario sopra descritto non fosse quello a cui stiamo andando effettivamente incontro? Due delle curve che approssimano meglio il trend attuale, sono la crescita esponenziale con base 1,2 (ogni giorno i casi totali sono il 20% in più del giorno prima, scenario C) e una quasi cubica (in potenza 2,85, scenario D). Come si può vedere dal grafico qui in basso, negli ultimi giorni i casi hanno seguito abbastanza fedelmente l’andamento del caso C:
Ipotizzando che sia lo scenario C che lo scenario D raggiungano il picco di contagi intorno alla metà della settimana prossima (per la serie: facciamoci un regalo per la festa del papà), assumendo un tasso invariato di trattamenti in terapia intensiva rispetto a quello attuale (pari al 9% dei casi attivi in circolazione), l’andamento dei ricoveri in terapia intensiva assumerà nei tre scenari presi in considerazione le forme seguenti:
A parte lo scenario E, nessuno degli altri è anche lontanamente sostenibile. Vale la pena ricordare che nel momento in cui scrivo, la situazione negli ospedali italiani (tratta dal solito situation report) è la seguente, con alcune regioni (come Lombardia e Marche) ormai quasi ai limiti della loro capienza:
Inoltre i motivi per avere fiducia nello scenario E sono purtroppo indeboliti dalle ricorrenti notizie di fughe dalle regioni del Nord Italia, con migliaia di cittadini che negli ultimi due fine settimana hanno fatto ritorno nelle regioni del Centro-Sud (Lazio e Puglia in primis) e nelle Isole. Nell’ultima settimana i casi sono quadruplicati in Lazio e Puglia e triplicati in Sicilia. Se anche il picco dovesse arrivare nel giro di questo fine settimana o dell’inizio della prossima, non è detto che questo scongiurerebbe ulteriori picchi futuri legati al mancato contenimento del virus nelle regioni centro-meridionali.
Le notizie si susseguono veloci e gli scenari cambiano più volte nel giro di poche ore.
Ce ne sono volute meno ventiquattro alle istituzioni europee per smentire la numero uno della BCE, che con le sue improvvide dichiarazioni ieri aveva gettato nel panico le borse del vecchio continente: gli stati membri potranno contare su tutti i margini di flessibilità necessari per fronteggiare la crisi, con buona pace per Christine Lagarde e per le sue sanguisughe. Le piazze affari sono rimbalzate dopo il tonfo di ieri, ma hanno chiuso comunque in un bagno di sangue una settimana nera: Milano ha perso quasi un quarto del suo valore (-23,3%), Francoforte, Parigi e Londra non sono state da meno (rispettivamente -20,01%, -19,86% e -16,97%). I comparti più colpiti dagli effetti della pandemia sugli scenari globali: quello energetico (-29,15%) e quello turistico (-25,1%).
Meno di quarantott’ore sono quelle che ci sono volute al presidente statunitense Donald Trump per completare la sua giravolta, dal «virus straniero» e dal «rischio per il popolo americano è basso», a dichiarare lo stato d’emergenza. L’annuncio è arrivato quando ormai diverse autorità locali, tra cui lo stato di New York, avevano adottato lo stesso provvedimento. E Trump ha aggiunto che gli USA compreranno eccezionali riserve di petrolio, approfittando del calo dei prezzi – ‘sti cazzi.
Dodici ore ci sono volute invece alla UEFA per annunciare, dopo la chiusura di un turno surreale di Europa League, tra partite giocate e partite rinviate, per sospendere tutte le competizioni a tempo indeterminato. Il calcio si conferma una realtà parallela, un mondo virtuale in cui il mondo qui fuori non può fare altro che riflettersi e scoprirsi per quello che è: nella merda fino al collo.
Ma la notizia che batte di gran lunga qualsiasi altra cosa sia stata detta o fatta oggi è quella che arriva dalla nostra amata Terra di Albione, dove il primo ministro Boris Johnson ha annunciato misure drastiche per fronteggiare la pandemia: parlando alla nazione ha invitato il popolo a prepararsi, perché «molte famiglie perderanno i loro cari prima del tempo». Una strategia contro-intuitiva e potenzialmente catastrofica: l‘obiettivo dichiarato dai consiglieri scientifici del governo è maturare un’immunità di gregge attraverso un piano di mega-infezione che interessi almeno il 60% della popolazione britannica. Se non è un esperimento sociale questo, è uno dei frutti più avvelenati di Brexit: nella sua vocazione all’isolazionismo, il Regno Unito di Johnson & Co. potrebbe davvero trovarsi a usare i body bag accumulati in previsione dei più foschi scenari post-Brexit.
Persino la Premier League ha deciso di fermarsi, ma Downing Street tira dritto. E poco importa se in fondo alla strada che ha deciso di imboccare a fari spenti in piena notte e a tutta velocità possa esserci un muro.
E nel resto del mondo? Israele sta provando a formare un governo di unità nazionale dopo che le ultime elezioni non sono riuscite a definire una maggioranza nella Knesset, il governo del Nepal ha annullato tutti i permessi rilasciati per le spedizioni sull’Everest tra il 14 marzo e il 30 aprile, gli spettacoli di Broadway hanno annunciato la sospensione fino a metà aprile e la moglie del premier canadese Justin Trudeau, Sophie Gregoire, è risultata positiva al coronavirus e dovrà restare in isolamento per quattordici giorni.
In Italia oggi leggera flessione nell’aumento dei casi: +2.547 rispetto a ieri (contro i +2.651 di ieri), ma è presto per parlare di picco raggiunto. Il totale dei casi ha raggiunto i 17.660 contagi, i morti sono 1.266, i guariti 1.439. Dei 7.426 ricoverati, 1.328 pazienti sono in terapia intensiva: l’indice di saturazione sui 5.293 posti disponibili in terapia intensiva è quasi triplicato in una settimana, arrivando a toccare il 25,1%. Già oggi Lombardia e Marche viaggiano intorno al 75% delle rispettive capacità, ma se il trend di crescita non dovesse uscire dalla rampa lineare della sigmoide entro la prossima settimana, il peso sul sistema sanitario nazionale arriverebbe ai limiti della sostenibilità la settimana successiva, con una saturazione superiore al 70%.
Altra giornata di numeri e annunci, o di conseguenze agli annunci. Dopo la nuova serrata decretata ieri sera dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella notte il presidente degli USA Donald Trump si è rivolto alla nazione in un discorso in diretta televisiva in cui ha annunciato la sospensione di tutti i voli provenienti dai paesi dell’UE per un periodo di trenta giorni, una misura «dura ma necessaria» per contenere «l’orribile infezione». Parole che segnano in qualche modo, nel suo stile bambinesco, superficiale e scriteriato, un deciso dietrofront rispetto ai tentativi di minimizzare nei giorni scorsi, ma che continuano a inanellare falsità attribuendo la causa della diffusione del virus ai paesi europei.
Il consulente del Ministero della Salute Walter Ricciardi, intervistato da Scienza in Rete, solo l’altro giorno non aveva usato mezzi termini per descrivere la situazione americana: «Prevedo che negli Stati Uniti sarà una catastrofe, perché lì il virus sta avanzando incontrastato. Di fatto lì non lo testano neanche, trattandosi di un sistema che non ha grandi risorse di sanità pubblica. Questo potrebbe far sì che fra una settimana-dieci giorni l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiari lo stato pandemico». Come abbiamo visto, la WHO (di cui Ricciardi è membro) ci ha impiegato poco più di ventiquattr’ore per intervenire.
Intanto sempre ieri Tom Hanks e sua moglie, in Australia per le riprese di un nuovo film, hanno annunciato sui social di essere positivi. New York e Chicago hanno annullato le popolari sfilate per il giorno di San Patrizio (17 marzo). E la NBA ha deciso di sospendere gli incontri dopo che un giocatore degli Utah Jazz è stato trovato positivo: qualcosa di analogo a quanto sta succedendo con la serie A in Italia, ma non con la UEFA che si sta ciecamente ostinando a far disputare gli incontri validi per i tornei europei.
Oggi, nel pomeriggio, nell’annunciare le disposizioni per contrastare la crisi, la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde si è lasciata andare a una frase che in molti hanno interpretato come una risposta “francese” al famoso «whatever it takes» del suo predecessore Mario Draghi. Le reazioni non hanno tardato ad arrivare, con le borse europee che hanno lasciato sul terreno oltre il 10% del loro valore precedente e Milano che ha chiuso addirittura a -16,92%, peggior risultato della sua storia. Wall Street non è stata da meno, malgrado l’annuncio della Federal Reserve di immettere nel sistema monetario 1.500 miliardi di dollari tra il 12 e il 13 marzo. Anche in questo caso la politica non è estranea dal tonfo dei mercati, grazie alla vaghezza delle misure annunciate dall’Amministrazione USA per contrastare la pandemia.
Sembra una risposta alle parole della presidente della BCE la nota diffusa in serata dal Quirinale, quasi un sussulto indignato che stride con la figura compassata e pacata del nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e che rivelano forse molto più di quello che dicono:
#Quirinale, Nota del Presidente della Repubblica Sergio #Mattarella: pic.twitter.com/o3KbzlVmdv
— Quirinale (@Quirinale) March 12, 2020
In serata, infine, il presidente francese Emmanuel Macron ha rivolto un discorso alla nazione in cui ha definito l’epidemia da coronavirus «la più grave crisi sanitaria che abbia colpito la Francia nell’ultimo secolo», annunciando la chiusura di asili, scuole e università a partire da lunedì prossimo. Un bagno di realtà dopo gli eventi di massa degli ultimi giorni (dal raduno dei puffi in Bretagna… alle migliaia di tifosi del PSG che ieri sera si sono raccolti davanti al Parco dei Principi per incitare la squadra impegnata nel ritorno del turno degli ottavi di finale di Champions League con il Borussia Dortmud, disputato a porte chiuse), ma con misure che potrebbero rivelarsi drammaticamente tardive e necessarie di drastiche correzioni di rotta a giudicare dal trend di crescita dei contagi nel paese, arrivati a 2.284 casi.
Hanno superato la soglia dei 2.000 contagiati anche Spagna e Germania, mentre l’Italia ha fatto registrare un nuovo record, con 2.651 nuovi casi che portano il numero totale a 15.113 e più di mille morti. Dei nuovi casi registrati, 1.445 sono in Lombardia, regione le cui strutture sanitarie erano già molto stressate, che così arriva a 8.725 positivi, di cui circa 5mila casi in sole tre province: Bergamo, Brescia e Cremona. In rete ho scovato questa interessante dashboard realizzata in Power BI per monitorare l’andamento delle statistiche legate alla crisi in Italia.
Un senso di catastrofe incombente regna in queste ore sui titoli e le comunicazioni. Per valutare l’efficacia delle misure adottate negli ultimi giorni bisognerà aspettare ancora la prossima settimana, e forse anche quella successiva. Intanto si spera che i dati mostrino l’arrivo del picco nelle province lombarde, sarebbe un segnale incoraggiante, anche se potrebbe presto essere vanificato da un secondo picco in altre regioni, forse nel Lazio, o in Puglia, o in Sicilia, dove il governatore Nello Musumeci sta considerando l’ipotesi di armare una nave-ospedale per fronteggiare la crisi.
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