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La scorsa primavera, tra le altre cose, mi è capitato di essere ospite di Davide Giordani per il suo podcast Tra il dire e il fare. In quell’occasione ci siamo dilungati sul connettivismo e i suoi rapporti con la fantascienza e l’immaginario, passando in rassegna anche alcuni dei miei lavori.
La registrazione dura circa un’ora e potete ascoltarla sulla pagina ufficiale oppure cliccando direttamente sul badge qui in basso.
Pochi giorni fa mi sono imbattuto per caso in questo articolo che descrive gli effetti di una tendenza in atto da anni in Africa centrale, vale a dire la concessione dei diritti di sfruttamento sulle proprie risorse naturali accordata dai governi locali, tipicamente corrotti, alle multinazionali cinesi. Le royalties derivanti dal settore minerario basterebbero a migliorare le condizioni di vita della popolazione della Repubblica Democratica del Congo, che per oltre la metà vive sotto la soglia di povertà, ma invece finiscono intercettate da funzionari e signori della guerra che esercitano una forma di controllo feudale sulle regioni interne. Altri articoli che approfondiscono la situazione possono essere letti qui e qui. Oggi è ancora il cobalto che va per la maggiore, ieri era il coltan (da cui estrarre niobio e tantalio), domani potrebbero essere uranio o rame o chissà cos’altro.
Comunque, siccome si sente spesso ripetere come la fantascienza non sia sul pezzo, come si lasci superare dalla realtà troppo facilmente o finisca per invecchiare prematuramente, ecco, per l’ennesima volta, mi piace constatare come il fronte d’onda della storia non si sia ancora lasciato indietro questo mio timido tentativo di estrapolazione sulle conseguenze che un simile trend potrebbe produrre sugli assetti geopolitici del continente africano.
Quello che segue è un brano estratto dalla parte centrale di Karma City Blues, che potrete trovare a Strani Mondi il prossimo 12 e 13 ottobre. Ed è da qui che parte l’effetto domino che condurrà agli eventi narrati nel romanzo.
– Katanga, 2061 – lessi di nuovo ad alta voce. – Cosa vuol dire?
– Il Katanga nel 2061 – rispose il costrutto. – Uno dei numerosi stati indipendenti emersi dal serbatoio di instabilità politica e demografica dell’Africa centrale. E il Katanga è il cuore dell’Africa. Il cuore di tenebra dell’Africa. Quando proclamò la secessione da Kinshasa sul finire degli anni ’30, il Katanga era già la provincia più ricca della Repubblica Democratica del Congo, possedendo i maggiori giacimenti di rame, cobalto e niobio del pianeta e una varietà mineraria che spaziava dall’oro allo stagno all’uranio, ma gran parte della sua popolazione viveva in condizioni di estrema povertà. Il prezzo da pagare per l’indipendenza fu un costo umano stimato tra i trecento e gli ottocentomila morti tra la popolazione civile del paese, sommando catastrofe umanitaria a catastrofi umanitarie precedenti. Solo per limitarci ai dieci anni antecedenti, per esempio, un’ondata di disperati, in fuga dalle milizie armate di etnia Hutu che erano sconfinate dal Ruanda e dall’Uganda nel nord-est del Congo, attirate dalle riserve di tantalio della regione, era stata spinta verso sud. Oltre due milioni di rifugiati, richiamati dalle promesse di ricchezza del Katanga, si erano riversati alle porte della capitale Lubumbashi e avevano trovato accoglienza nel più grande campo profughi del continente, uno slum che occupava metà della città vera e propria. In queste condizioni, il governo indipendentista trovò una soluzione sbrigativa ed efficace per convertire il problema in opportunità. I profughi dell’Haut-Zaire vennero sfruttati per fornire manodopera a basso costo ai veri padroni del paese: il consorzio cinese Zhongzhen Amalgamated Industries, che alla fine della guerra aveva rilevato la quota di maggioranza della KMC, l’ex-compagnia di stato attraverso cui il governo secessionista gestiva i giacimenti di materie prime strappati al controllo di Kinshasa.
– Grazie per la lezione di storia e geografia. Ma cosa c’entra il Katanga con una cartolina delle Cascate Vittoria? Lo Zambesi non mi pare tocchi il Katanga, ma potrei ricordare male.
– Nel 2061 un guasto ai PLC della centrale di Kariba, sul fiume Zambesi, al confine tra Zambia e Zimbabwe, fu la causa della più grave catastrofe ambientale nella storia africana. Quell’inverno le precipitazioni erano state abbondanti in tutto il bacino dello Zambesi e, nonostante i gestori della diga avessero deciso di lasciar defluire gran parte dell’acqua in eccesso senza forzarla nelle condotte della centrale elettrica, si calcola che il lago di Kariba raddoppiò in pochi mesi la propria superficie. L’accresciuta portata dello Zambesi investì in pieno il bacino di Cabora Bassa, più a valle, e l’onda d’urto fu tale da distruggere il principale impianto idroelettrico del Mozambico, con il risultato di lasciare al buio mezzo Sudafrica.
– Molto interessante. Ma non vedo dove voglia andare a parare questa conversazione, in tutta onestà.
– Solo perché ti mancano ancora degli elementi – osservò con tono di sufficienza la scatola. – E io sono qui per darteli.
– Molto gentile da parte tua.
– Fin dal dopoguerra il Sudafrica è stato uno dei principali partner economici del governo centrale della Repubblica Democratica del Congo. Le esportazioni di materie prime su cui si regge tutta l’economia di Kinshasa, la tutela dei comuni interessi nell’area, non ultima la resistenza all’avanzata cinese e russa in Africa, hanno sancito un’alleanza simboleggiata dal faraonico progetto della Grande Inga, la più grande centrale idroelettrica al mondo, in grado di sfruttare il volume medio di circa 40.000 m³/s delle cascate Livingstone per generare oltre 40 GigaWatt di potenza. E la Grande Inga è stata anche una risposta geopolitica del Blocco dei Paesi Non Allineati al TAP e all’operazione Desertec nel Maghreb, oltre che alle strategie di penetrazione perseguite da giganti come Cina e Russia, attraverso la protezione politica, il land grabbing o le forniture militari. La Grande Inga intercetta le acque nel basso corso del fiume Congo, un centinaio di chilometri a sud-ovest di Kinshasa, praticamente al termine di un percorso di 4.700 chilometri, con un bacino idrografico grande quasi quanto l’Europa. E nel 2061, proprio mentre lo Zambesi risentiva delle piogge insolitamente copiose, dall’altra parte dello spartiacque il Congo viveva il suo periodo di minimo storico, con una riduzione della portata media di oltre il venti percento.
– Quindi?
– Quindi, si dà il caso che il tuo vecchio socio abbia scoperto che fine avesse fatto tutta quell’acqua. E, cosa ancor più interessante, chi fu l’ideatore e artefice del piano che mise in ginocchio in un colpo solo le due potenze dell’area. Motivo per cui ha deciso di sparire dalla circolazione, lasciandoti in eredità questa copia di sé in forma di oracolo digitale. Un prodotto di bassa tecnologia, non accessibile dalla rete in nessun modo. Adesso il quadro si sta facendo più chiaro?
L’articolo pubblicato dall’AGI cita anche una frase del dittatore Mobutu: “Quello che c’è sotto terra è mio, quello che si muove sulla terra è mio, quello che c’è nelle acque è mio, quello che vola nel cielo è mio“. Parole che potrebbero adattarsi a una delle forze invisibili che mettono in moto gli eventi di Karma City Blues.
Leggendo tra le righe del post di sabato, qualcuno avrà notato che a rigor di logica le novità non sono tre ma quattro, e quindi eccoci qui a svelare il quarto annuncio per l’autunno: a distanza di un anno dalla sua uscita in e-book, finalmente Karma City Blues conoscerà una incarnazione cartacea nella collana Odissea Fantascienza di Delos Digital. Dopo le finali al Premio Italia e, imprevedibilmente, all’ESFS Award, la storia di Rico Del Nero e della metalogica Hanuman, sullo sfondo postumano della Città del Karma, vedrà quindi la luce una seconda volta.
Se vi servisse un piccolo incoraggiamento, non trovo di meglio che riportare un estratto.
Un riflesso sui suoi occhiali mi nascose alla vista gli occhi di Valentina per una frazione di secondo e allora capii che era intenta a eseguire dei comandi sui suoi Glass-x, per richiedere le autorizzazioni necessarie e impartire le istruzioni relative alla mia richiesta.
– Abbiamo acceso cinque diverse linee di credito per consentirle di sostenere le spese necessarie – assicurò. – Le abbiamo appena trasmesso i codici di accesso. – Una notifica prese forma e scomparve in un angolo dei Glass-x. – Sono collegati con il suo q-id. Autenticazione fisica a tre fattori tramite impronte digitali, traccia nanoscopica e riconoscimento retinico, attive a partire da questo momento.
– Bene. Avrò bisogno anche di armi. Automatiche e di precisione. Armalite, se possibile. Pistole Glock da assalto. Qualche granata. tnt a scaglie o miscele esogene ricristallizzate, non sono al corrente delle ultime novità presenti sul mercato. Niente che possa dare nell’occhio, comunque.
– Vedo… – fu il commento sardonico di Valentina, mentre prendeva nota scrupolosamente.
– E nanosomi disindividuanti programmabili per l’alterazione della fisionomia e del riconoscimento informatico. Ah… dimenticavo. Mi ci vorrà anche un intervento di chirurgia un po’ invasiva.
Valentina distolse lo sguardo dal desktop virtuale su cui stava appuntando la lista della spesa. Il wetware le permetteva di sintonizzare la sua volontà con il word-processor del dispositivo portatile. Niente tastiera virtuale, per lei – qualsiasi ritardo avrebbe comportato una imperdonabile inefficienza. Il suo era di fatto un dettato telepatico. – Quanto invasiva?
– Dovrò impiantarmi tutto il necessario per una neuroscansione – spiegai.
– È uno scherzo? – Schemi comportamentali, predisposti ad hoc dall’ufficio di formazione del personale della sua vera compagnia, ne tenevano il tono di voce modulato sul livello di un cortese scambio di vedute. Era assertiva, parlava con fermezza.
– Sono serissimo.
– A cosa le può servire l’armamentario di un necromante?
– Mi assecondi, la prego. – Il suo sguardo scettico non subì il minimo mutamento. – In azione – improvvisai allora, – l’imprevisto è sempre in agguato. Inoltre, i collaboratori che ho in mente vorranno delle garanzie per lasciarsi coinvolgere nell’affare. Lo consideri come un piccolo incentivo. Non chiedo lo stato dell’arte: mi accontenterò di tecnologia sorpassata, purché ancora efficace.
– Altro?
– Una piccola modifica ai banchi di memoria. Avrò bisogno di un innesto mnemonico flesh provvisto di una linea ridondante interfacciata direttamente alla corteccia per il riconoscimento visivo e linguistico. Un buffer di bypass dovrebbe fare al caso nostro. Il mio impianto è stato inibito dalla SmartCorr.
– Avremo bisogno di tempo per preparare l’intervento. Ne servirà poi altro per il decorso postoperatorio… Non credo che…
– Voi penserete ai preparativi – tagliai corto. – Del recupero lasciate che mi preoccupi io.
Per la prima volta mi parve di cogliere una fugace ombra di esasperazione sul viso della mia interlocutrice. Si sfilò gli occhiali, li posò sulla scrivania e mi fissò dritto negli occhi, inclinando appena la testa, come a voler prendere meglio la mira sul nucleo profondo della mia anima. Se cercava l’haragei[1] stava guardando un mezzo metro abbondante troppo in alto. Se poteva accontentarsi della ghiandola pineale, si trovava invece sulla strada giusta.
Disse: – Nient’altro?
Avevo una vita nuova, nuovi amici e un’intera gamma di nuove esperienze da affrontare, per tacere delle occasioni che ero pronto a cogliere. Decisi che potevo accontentarmi.
– Nient’altro.
[1] Nelle arti marziali giapponesi, centro di gravità, baricentro delle energie vitali che permette al praticante di avvertire una minaccia e anticipare la mossa dell’avversario. Il termine indica anche una competenza nella comunicazione interpersonale, consistente nell’abilità di trasmettere pensieri ed emozioni tenendole implicite nella comunicazione verbale: si tratta di una forma di retorica che si prefigge di esprimere le reali intenzioni e la verità sottesa al linguaggio attraverso le implicazioni, una pratica ritenuta molto difficile da acquisire per i non giapponesi.
In questa intervista per il ricchissimo numero 204 di Delos, l’ultracentenario direttore Carmine Treanni (che ringrazio) mi strappa alcuni dettagli sui retroscena di Karma City Blues.
Dopo Sezione π² e Corpi spenti mi sarei aspettato il terzo romanzo con protagonista Vincenzo Briganti, e invece mi hai spiazzato (favorevolmente e credo anche i tuoi lettori), scrivendone uno ambientato nello stesso universo, ma con un nuovo principale personaggio. Quali sono i motivi che ti hanno spinto verso questa scelta e che collegamenti ci sono con i due precedenti romanzi?
Anche se l’esordio letterario di Vincenzo Briganti era fin dall’inizio pensato come parte di un possibile racconto seriale, l’universo della Sezione Speciale di Polizia Psicografica di Napoli abbracciava un più ampio orizzonte narrativo ancora prima che Briganti entrasse in scena. Prima di Sezione π² era stata infatti la volta di un fumetto uscito a puntate sulle pagine di Solaris*, un progetto di Cagliostro ePress tanto interessante quanto sfortunato, e come la stessa rivista rimasto incompiuto. C’era tutto un mondo lì fuori che Sezione π² e Corpi spenti mi hanno permesso solo di intravedere di sfuggita, e un romanzo slegato dalla continuity delle indagini dei necromanti poteva aiutarmi ad addentrarmi nei suoi recessi.
I collegamenti con i due romanzi «canonici» non mancano, con alcuni personaggi di contorno che tornano in Karma City Blues, unendosi a una galleria ancora più ampia. Ma i punti di contatto principali sono sicuramente l’ambientazione, che al lettore dei precedenti romanzi risulterà allo stesso tempo familiare e straniante, e la psicografia, qui mostrata secondo la lezione di William Gibson nell’uso che la strada ha trovato il modo di farne. Uno dei motivi che mi hanno spinto a scrivere un romanzo staccato dalle indagini dell’Officina è anche questo: esplorare il contesto criminale dall’altra parte della barricata.
Come nasce l’idea di Karma City Blues, che, leggendo la tua nota alla fine del romanzo, ha avuto una lunga gestazione?
Ovviamente dal ricordo di una donna, in particolare una che l’interruzione delle pubblicazioni di Solaris* aveva condannato a un oblio prematuro e immeritato. In Pi-Quadro Angelica Vicino era in un certo senso il braccio armato della Ksenja Corporation, uno dei colossi industriali che dominano questo mondo futuro. Karma City Blues è stata l’occasione per riportarla in azione. E in dodici anni Angelica non è certo rimasta con le mani in mano, ma ha avuto tutto il tempo necessario per aggiornare la sua agenda e tornare più determinata che mai a perseguire i suoi obiettivi.
Il resto lo trovate qui.
Se in Karma City Blues il mondo che avevamo conosciuto in Sezione π² e Corpi spenti è andato avanti dieci anni, immaginare quale evoluzione possa avere interessato le tecnologie del 2059-61 è stato uno dei nodi centrali del lavoro di world-building che ha interessato il romanzo.
Per ridurre il discorso ai minimi termini necessari (anche per parlarne senza incorrere in una quantità di spoiler), nel 2059 abbiamo:
- processori quantistici universali: distribuiti commercialmente, rendono conto dell’obsolescenza della legge di Moore (in realtà già mentre ci lavoravo appariva probabile che le principali applicazioni dei computer quantistici sarebbero state in ambiti specializzati e molto più difficilmente si sarebbe arrivati a dispositivi di tipo general purpose, su cui quindi ho lasciato galoppare la fantasia);
- interfaccia olografica: rendono immersiva l’interazione degli utenti con le applicazioni informatiche, facilitando l’organizzazione dei dati e la ricerca di informazioni;
- impianti neurali e neuroelettronica: il potenziamento elettronico delle facoltà cognitive attraverso innesti in grado di interfacciarsi con il sistema nervoso centrale e banchi di espansione di memoria è uno dei presupposti dello sviluppo della psicografia, attorno a cui ruotano le storie dell’Officina di Briganti e soci;
- mind uploading: se ne fa brevemente menzione verso la fine di Sezione π² e guadagna un po’ di spazio in Corpi spenti;
- virus neurali: costrutti autosufficienti in grado di installarsi nella mente di un soggetto e di fatto parassitarlo, soggiogandone la volontà;
- crio-conservazione o ibernazione: preservazione di un corpo umano a basse temperature in animazione sospesa;
- bioingegneria: modifiche invasive della fisiologia per consentire ai soggetti modificati di lavorare in condizioni ambientali estreme, per esempio in microgravità ed esposti a radiazioni cosmiche;
- Internet of Things: la trasformazione di oggetti di uso quotidiano e pressoché di ogni prodotto e bene di consumo in uno smart object connesso in rete;
- carta riprogrammabile: un modo di tradurre in termini pratici e immediati l’applicazione delle nanotecnologie alla scienza dei materiali;
- Logiche (ovvero intelligenze artificiali): declinate nella forma di intelletti semi-senzienti, costrutti complessi in grado di emulare il comportamento umano, automigliorarsi e farsi carico di operazioni complesse (cluster di IA mandano avanti interi settori anche di interesse strategico, come la logistica, il controllo del traffico aereo e l’esplorazione spaziale).
Sono solo alcuni esempi ma penso che servano a rendere un’idea dell’aspetto profondamente diverso del mondo in cui si trova a investigare Vincenzo Briganti rispetto a quello che conosciamo.

Jia Jun, Concrete Jungle.
L’idea di posizionare nel 2049 l’ipotetico verificarsi della Singolarità Tecnologica, che per la verità è fin da subito descritta come una convergenza NBIC, è anche un escamotage che serve a delineare una cesura tra il mondo che conosciamo e quello tutto da scoprire che funge da contesto della serie informalmente detta delle Cronache del Kipple. Dall’epigrafe di Sezione π²:
Metà del XXI secolo. La curva dello sviluppo tecnologico ha subìto un’improvvisa cabrata, schizzando verso l’alto come impazzita. Nanotecnologie, cibernetica, computazione quantistica, ingegneria della vita e intelligenze artificiali hanno concorso all’evento.
È una nuova rivoluzione culturale.
L’incalzante ricambio generazionale delle tecnologie stravolge la percezione della realtà. Dal mutamento emergono nuove prospettive: gli orizzonti dell’uomo si dilatano. I mutamenti si succedono a distanza di giorni.
Questa è una storia raccolta dalle voci dei morti. In presa diretta dalla Singolarità.
Per Karma City Blues era inevitabile alzare la posta. E così, tra le altre cose, abbiamo delle evoluzioni sempre più spinte delle tecnologie già viste sopra, e in particolare:
- Kit morfogenetici: sciami di nanobot per modificare temporaneamente i lineamenti;
- Ginoidi: nell’era della riproducibilità a basso costo, la duplicazione delle donne (e del corpo delle donne) è un modo come un altro per ricordarci che niente è insostituibile nel capitalismo iperliberista e ogni desiderio può essere soddisfatto (per la verità le replicanti della Ksenja Corporation si vedevano già nel fumetto che fungeva da prequel di Sezione π², ma questa è la prima volta che entrano in scena nei romanzi);
- nanotecnologie militari: alcuni prodotti della sperimentazione militare sfuggita di mano all’esercito sono ancora operativi nel Kipple;
- Big Data: il mondo è diventato una foresta di dati, qualsiasi cosa, scelta, spostamento, vengono tracciati definendo schemi di comportamento e monitorando dinamiche private, sociali, etc.
- EveryWare (EW): l’interazione tra internet e IoT ha originato conseguentemente una realtà aumentata, di cui il mondo fisico è solo uno dei possibili strati, a cui si sovrappongono molteplici layer di informazione, dando vita a una realtà codificata a matrioska, in cui chi la abita può accedere a livelli di informazione diversi a seconda della tecnologia di cui dispone, del know-how che possiede e della bravura che ha saputo maturare.
Elementi che si aggiungono e in alcuni casi si sovrappongono alla lista precedente, prospettando interazioni inedite in un paesaggio tecnologico in continua evoluzione. A questo si aggiungono le new entry, che sono delle trovate (chiamatele invenzioni, chiamatele estrapolazioni, chiamatele metafore, simboli o allegorie) per rispondere ad alcuni quesiti:
- in un mercato globale ormai da tempo al di là della nostra capacità di controllo, dominato dal trading ad alta frequenza che rende gli algoritmi la nuova specie dominante dell’ecosistema finanziario, gli operatori umani sapranno inventarsi un nuovo modo per manomettere la Macchina?
- in che modo le IA possono uscire dal dominio della pura informazione e interagire con il mondo esterno?
- e se gli algoritmi sono la specie nativa dei mercati finanziari telematici, quanto ci vorrà prima che le corporation, gli zaibatsu, i conglomerati industriali, i titani dell’alta tecnologia escogitino una soluzione per serrare la stretta su un mondo che rischia di diventare dominio incontrastato delle IA?
Quest’ultima domanda, per la verità, trova nel romanzo una risposta solo accennata, ma continuo ad accarezzare l’idea di dedicarle un’opera a sé stante, di fatto un gemello di KCB che dovrebbe formare con questo un ideale dittico. Bisogna poi dire che nel romanzo c’è anche altro, che sarebbe però imprudente e scorretto anticipare in questa sede. Se non altro così presto.
La gestazione di Karma City Blues è stata lunga: tra una revisione e una riscrittura e un’altra revisione – e così via per quattro o cinque volte – ci sono voluti oltre dieci anni tra mettere giù la prima parola e arrivare alla sua pubblicazione. Ho voluto raccontare i retroscena del making of in una nota pubblicata in appendice all’e-book, quindi non mi soffermerò oltre su quali sono stati i passaggi che il romanzo ha dovuto attraversare. Voglio però spendere due parole su una bizzarra corrispondenza di cui mi sono accorto solo dopo aver dato alle stampe il romanzo.
Ho iniziato a scrivere KCB subito dopo aver pubblicato Sezione π², per potermi cimentare di nuovo con il mondo che avevo costruito senza il peso dei suoi personaggi, quasi come banco di prova prima di passare a lavorare a un seguito vero e proprio. Dieci anni sono curiosamente gli anni che intercorrono tra la pubblicazione dei due titoli e anche tra le storie che raccontano. Sezione π² aveva infatti luogo nell’arco di un paio di settimane nel novembre del 2059, mentre è il 23 marzo 2069 quando Rico Del Nero si risveglia sotto l’identità di copertura di Lorenzo Roi. “Time is a flat circle“, rubando la battuta a Rustin Cohle. Non possiamo farci niente, e neanche Rico Del Nero, che cercherà di riannodare i fili spezzati otto anni prima per portare a galla una verità sepolta nel suo passato, scomoda soprattutto per lui.
Dieci anni non trascorrono invano. Sono più di un quarto degli anni che mi porto sulle spalle e quasi due terzi del tempo trascorso da quando ho cominciato a misurarmi seriamente con la scrittura. Quindi sicuramente KCB contiene un bel po’ di trucchi del mestiere appresi nel frattempo, che ai tempi del mio romanzo d’esordio non potevo nemmeno immaginare. Ma racchiude anche la maggiore esperienza accumulata come lettore (secondo le statistiche del mio profilo Anobii, corrispondono in effetti a 470 tra libri e fumetti), come spettatore (qui non ho cifre precise, ma dodici anni fa guardavo pochissime serie TV, mentre ormai la mia dieta da spettatore è monopolizzata dalla narrazione seriale), come essere umano (nel 2007 ero entrato da poco più di un anno nel mondo del lavoro).
E dieci anni non trascorrono invano nemmeno per il mondo. Se nel 2008, l’anno della prima stesura di KCB, gli USA eleggevano Barack Obama loro 44esimo presidente, non credo serva ricordare i tanti capricci che ci siamo presi il lusso di toglierci nel frattempo come specie e come civiltà. Ma lasciando da parte la visione politica, pensiamo a cosa è cambiato in questi dieci anni per provare a immaginare cosa potrebbe cambiare nei prossimi quaranta che ci separano dal 2059, e ancor più – secondo la legge dei ritorni acceleranti – nei successivi dieci fino al 2069. Banalmente, se tra Sezione π² e Corpi spenti intercorrono circa diciotto mesi, il futuro di KCB non poteva che essere molto più diverso da quello di Corpi spenti di quanto quest’ultimo non fosse dal futuro di Sezione π².
In particolare, da diversi anni le proiezioni di crescita concordano nel dipingere uno spostamento del baricentro economico del pianeta dall’Atlantico all’Asia. Uno studio dell’OCSE di pochi anni fa, analizzato qui abbastanza nel dettaglio, prevede la contrazione della quota di PIL mondiale per i paesi membri dell’organizzazione dal 65% del 2011 al 42% del 2060, mentre contestualmente Cina e India da sole saliranno dal 24% al 46%. E mentre l’economia cinese tenderà a consolidarsi, assumendo le caratteristiche di economie mature come quelle occidentali e cominciando a mostrare gli stessi segni di indebolimento (inclusa la transizione verso un ageing society), l’India già nel prossimo decennio segnerà il sorpasso demografico sulla Cina e continuerà a crescere a ritmi vertiginosi fino a sopravanzare la dimensione stessa del mercato USA.
La crescita degli altri BRICS, dell’Indonesia e del Messico metterà nell’angolo le economie occidentali, in particolare l’UE, che perderà progressivamente terreno rispetto ai paesi emergenti. Lo scenario di decadenza già delineato nei precedenti due romanzi, non poteva che venire esasperato in KCB. Ma mentre in Sezione π² e Corpi spenti lo scenario globale, per quanto non trascurato, rimaneva sempre piuttosto relegato sullo sfondo, in Karma City Blues la geopolitica guadagna un ruolo centrale, non solo con i difficili equilibri tra USA, Russia, Cina e India, ma anche con i crescenti interessi delle potenze mondiali in Africa.
In un altro post parleremo del contesto tecnologico del romanzo.
La prima volta che ho guardato Blade Runner, il futuro di Philip K. Dick, Ridley Scott e Vangelis (ma anche di Syd Mead, Douglas Trumbull e Jordan Cronenweth) mi rimase appiccicato addosso. Per anni non potei fare a meno di riguardare periodicamente la vecchia VHS su cui lo avevo registrato da una trasmissione fuori orario della Rai (ovviamente inframezzata da un bel quarto d’ora di telegiornale notturno). All’epoca avevo tredici o quattordici anni ed ero sinceramente convinto che il 2019 che ci aspettava non sarebbe stato molto diverso dal mondo di Deckard e Roy Batty.
La prima volta che lessi Neuromante di William Gibson non ci capii granché: il romanzo era stato sicuramente un tour de force per i traduttori della Nord (Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli), ma mi appuntai pagine e pagine di brani e citazioni su un vecchio quaderno a righe, ognuna in grado di aprire da sola una porta su un mondo intero. Negli anni avrei riletto il romanzo tre o quattro volte, e ogni volta si sarebbero chiariti particolari, chiusi interruttori e illuminate corrispondenze, schemi e percorsi che la volta prima avevo magari solo vagamente intuito, e a volte nemmeno quello.
Ma prima di Neuromante era stato il turno di un libro che mi avrebbe assistito nei miei percorsi di lettura da neofita della fantascienza come un vangelo. Curata da Piergiorgio Nicolazzini, Cyberpunk era alla sua uscita (e tale è rimasta fino ai giorni nostri) “la più ampia raccolta di romanzi e racconti” della nuova fantascienza, e non a caso apparve in una collana di massimi del genere quali erano le Grandi Opere dell’Editrice Nord. 28 racconti di altrettanti autori, alcuni dei quali (Storm Constantine, Michael Blumlein, Tony Daniel, Howard V. Hendrix) avrebbero fatto qui una delle loro rarissime apparizioni per i lettori italiani, accanto ad altri già da anni sulla cresta dell’onda anche qui in Italia (oltre a Gibson ricordiamo Bruce Sterling, Pat Cadigan, Iain M. Banks, Rudy Rucker, a cui negli anni si sarebbero aggiunti Ian McDonald, Paul Di Filippo, Walter Jon Williams). Senza dimenticare il ricchissimo apparato critico, comprensivo di una introduzione del critico Larry McCaffery e una guida schematica scritta a quattro mani con Richard Kadrey (che negli anni seguenti avrei usato come vademecum alla scoperta di autori e opere da leggere, guardare, ascoltare, etc.).
E prima ancora di tutti questi titoli, c’era stato un fumetto, Nathan Never, creato da Medda, Serra e Vigna, il trio di autori sardi attivi fin dagli anni ’80 per la Bonelli. In particolare con questi due albi, capaci di evocare un senso di vertigine e di magia assoluta con due storie scritte rispettivamente da Bepi Vigna e Antonio Serra, ed entrambe secondo me non a caso rese in immagini dalle matite di Roberto De Angelis: Vendetta Yakuza e L’enigma di Gabriel (con il suo seguito, Il canto della balena).
C’è tutto questo, tra le altre cose, in Karma City Blues. Sentiamo spesso ripetere dagli autori, anche i più affermati, che l’esercizio della fantasia nelle loro storie è un modo per tornare bambini, per tenere in vita quel pezzo di magia che ognuno di noi si porta dentro dai suoi anni d’infanzia. Sarà davvero così? Nel mio caso non proprio, non direi. Però sicuramente questo romanzo è un modo per tenere in vita un certo immaginario, un futuro che avrebbe potuto essere e non è stato, e che se all’epoca già ci appariva come distopico col tempo ci ha costretti a rivalutarlo, perché la realtà ha saputo rivelarsi di gran lunga più spietata e, mentre ci condannava al limbo di un futuro zero, gli spazi di resistenza al deserto del reale si sono ristretti fino quasi a sparire del tutto.
Quasi, appunto. Karma City Blues è il mio angolo di ring. Uno spazio in cui il futuro resiste. E lotta insieme a noi.
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