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Tra le cose che nel frattempo ho fatto e scritto, una di quelle che mi ha tenuto maggiormente impegnato negli ultimi mesi è sicuramente questo Mappe dedicato alla saga di Dune, ospitato da Quaderni d’Altri Tempi. Il ciclo di Frank Herbert mi ha tenuto compagnia durante i miei primissimi anni universitari, monopolizzando le mie letture per diversi mesi, mentre saltellavo disordinatamente da un libro all’altro sulla base degli interessi e dei gusti, trascurandone alcuni che proprio adesso mi accingo ad affrontare tenendo fede a un proposito di lettura/rilettura di tutta la saga originale.

Nel frattempo, per scrivere l’articolo ma anche un po’ per diletto, mi sono riguardato il primo tentativo di adattamento cinematografico, arrischiato da Dino de Laurentiis e David Lynch nel lontano 1984, che esce ammaccato e zoppicante dalla prova del tempo, e mi sono sciroppato il documentario di Frank Pavich incentrato sul progetto – ambizioso, visionario, ma anche molto personale, bizzarro e al limite della lesa maestà, e per questo fortunatamente mai completato – di Alejandro Jodorowsky. Forse anche per via di queste visioni, oltre che per la contemporanea rilettura del romanzo di Herbert che inaugurò una delle saghe di maggior successo nella storia della letteratura di fantascienza (20 milioni di copie vendute nel mondo nel 2016, un record mantenuto per decenni, prima di essere surclassato dalla trilogia dei Tre Corpi di Liu Cixin), ho potuto apprezzare particolarmente la fedele, quasi filologica, trasposizione dedicata da Denis Villeneuve all’esule Paul Atreides e alla sua faida con gli Harkonnen, al cui inevitabile seguito è stato da poco dato il via libera e che probabilmente (incrociamo le dita) finirà per articolarsi in una trilogia, coprendo tutto l’arco narrativo del personaggio di Muad’dib.
In maniera analoga al Dune di Lynch, non si può dire che la scrittura di Herbert non abbia risentito del trascorrere del tempo. Forse, almeno in questo caso, più per colpa «nostra» che sua: il suo approccio stilistico, la tecnica nel montaggio delle scene e le soluzioni nella gestione del punto di vista appaiono oggi ben poco conformi alle prescrizioni vigenti sui manuali di scrittura, come pure al gusto che col tempo è prevalso tra i lettori educati alle convenzioni, rendono oggi questa serie un oggetto molto più alieno di quanto dovesse sembrare alla sua uscita, a partire dal 1965. Ma oggi come vent’anni fa, al tempo della mia prima lettura, mi sono bastati pochi capitoli per essere completamente trascinato dal maelstrom di visioni e concetti innescato da Herbert, un affresco cosmico che infrange le barriere dello spazio e del tempo, e in cui possiamo trovare passaggi dalla carica immaginifica dirompente, come i due campioni che seguono:
Basta questo, forse, per capire che non abbiamo mai davvero lasciato Arrakis in questi anni. Eravamo sempre lassù, in attesa che qualcosa ci ricordasse dove eravamo davvero. Qualcosa come il film di Villeneuve, appunto: grandioso, crudele, stratificato e complesso, come l’opera di Herbert che onora con la prima trasposizione efficace e riuscita dopo oltre mezzo secolo di tentativi.
Siccome Tenet è finalmente sbarcato nelle sale e tutti ne parlano, anche chi normalmente forse non lo farebbe ma invece adesso si sente in dovere dal momento che si tratta comunque del primo vero grande film distribuito dopo il lockdown, con tutto ciò che ne consegue, starete forse cercando di orientarvi nella giungla dei pareri discordi e vi starete probabilmente chiedendo se vale la pena andare a vederlo.
Ecco allora alcune buone ragioni per cui non dovreste prestare ascolto alle campane contrarie e dovreste precipitarvi al cinema prima che l’ondata di comportamenti scriteriati delle ultime settimane si traduca in una nuova serrata generale.
1. Perché, come ogni film di Christopher Nolan, dal più riuscito al più zoppicante, è garmonbozia per le vostre menti, in grado di tradurre le più macchinose e astruse contorsioni cerebrali in un senso di appagamento post-orgasmico. Alcune risposte ad alcune domande che vi sorgeranno durante la visione, potete trovarle qui (e in italiano qui). Ma cliccate su questi due link solo dopo aver visto il film, a meno che non siate già passati attraverso un tornello e passati attraverso un’inversione.
2. Perché Tenet è sia un film di spionaggio che un film di fantascienza, è un blockbuster tutto azione e colpi di scena e allo stesso tempo un esercizio filosofico sulla natura della realtà, un film alla vecchia maniera (vedi il punto 3) e un film del futuro (vedi sempre il punto 3).
3. Perché pochi registi come Nolan riescono a essere così efficaci nel coniugare il citazionismo (molti i modelli qui omaggiati, dalla spy story alla James Bond al western di Sergio Leone, dal solito Philip K. Dick al solito Christopher Priest) e l’autocitazionismo (l’assalto al teatro dell’Opera di Kiev nella sequenza di apertura è un condensato di tutte le più spettacolari operazioni di Bane in The Dark Knight Rises); così credibili nel sintetizzare la fedeltà a un’idea di spettacolo e una visione del cinema pronta a sfidare ogni volta nuovi limiti.
4. Perché Tenet è un gioco di prestigio e come ogni numero di magia è composto da tre parti o atti. La prima parte è chiamata la promessa. L’illusionista vi mostra qualcosa di ordinario: una sequenza d’azione, un’operazione dei servizi segreti che finisce male, o un pezzo di metallo dalla forma strana. Vi mostra questo oggetto. Magari vi chiede di ispezionarlo, di controllare che sia davvero reale… sì, inalterato, normale. Ma ovviamente… è probabile che non lo sia. Il secondo atto è chiamato la svolta. L’illusionista prende quel qualcosa di ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario: il pezzo di metallo viaggia indietro nel tempo: vi salta in mano dal pavimento, si muove prima che lo tocchiate, rotola verso le vostre dita senza che nessuno lo abbia spinto. Ora voi state cercando il segreto… ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati. Ma ancora non applaudite. Perché mostrare qualcosa che sfida il nostro senso comune non è sufficiente; bisogna anche farci credere che sia possibile. O, ancora meglio, che sia inevitabile. Ecco perché ogni numero di magia ha un terzo atto, la parte più ardua, la parte che chiamiamo il prestigio. E Tenet fa tutte e tre queste cose meglio di qualsiasi altra cosa si sia vista al cinema, per lo mento dai tempi di The Prestige.
5. Perché a ogni nuovo film Nolan si ritaglia un posto nell’olimpo dei registi più grandi di tutti i tempi – quello, per intenderci, dove siedono Orson Welles e Alfred Hitchcock, Stanley Kubrick e Akira Kurosawa, Andrej Tarkovskij e Sergio Leone, e continuate voi l’elenco. Dell’ultima generazione di cineasti, lui e il collega Denis Villeneuve sono i candidati più accreditati a unirsi alla schiera di cui sopra. E questo dovrebbe bastare per non lasciarsi scappare ogni nuovo parto delle loro menti.
6. Perché Tenet prosegue una riflessione sul tempo che accompagna Nolan fin dai suoi esordi, da Following e Memento fino a Interstellar e Dunkirk, passando per Insomnia e Inception, e mette insieme il gusto per i paradossi e la fascinazione della meccanica quantistica che già facevano capolino in The Prestige e Interstellar. E riesce a costruire due ore e mezza di spettacolo senza tregua a partire da uno schema di 5 parole:
S A T O R
A R E P O
T E N E T
O P E R A
R O T A S
7. Perché ci sono 5 attori in stato di grazia: John David Washington è già da BlacKkKlansman qualcosa di ben più di un “figlio d’arte” e non è quindi una sorpresa, come non lo sono Kenneth Branagh (qui alla seconda collaborazione con Nolan dopo Dunkirk) e ovviamente Michael Caine (a cui bastano pochi minuti per registrare l’ennesima interpretazione indimenticabile di una carriera straordinaria); ma sono state per me delle rivelazioni sia Robert Pattinson (su cui, malgrado la buona prova di Cosmopolis, ammetto il mio pregiudizio) che Elizabeth Debicki (che era anche nei Guardiani della Galassia Vol. 2, ma di cui non avevo visto altro prima di questo film).
8. Perché non credo che vi capiterà di vedere tanto presto qualcosa di simile o anche solo di lontanamente paragonabile. Per la molteplicità di livelli di lettura/visione (pellicola action, riflessione filosofica sulla realtà, operazione metanarrativa fin dal nome e dal ruolo eterodiretto del Protagonista… vedi il punto 2); e per la magistrale resa coreografica dello spettacolo, in grado di filmare qualcosa che sulla carta è per sua definizione non filmabile.
9. Perché forse lo avete già visto. E quindi dovete per forza rivederlo.
10. Perché Tenet è tutto questo e molto altro ancora e quindi, se non sono riuscito a convincervi, andate a vederlo per farvi un’idea vostra. E magari tornate da queste parti e riparliamone.
11. Perché viviamo in un mondo crepuscolare. Nessun amico al tramonto.
Buona visione!
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