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Ultime ore del 2020, fuori c’è un cielo sereno che prendiamo come buon auspicio per l’anno che ci aspetta, e intanto approfittiamo della reclusione per decreto sfruttandola come la più benvenuta delle scuse per starcene in casa e fare un po’ di bilanci.

Controllando le statistiche del blog, ho scoperto che Holonomikon è arrivato a 350 articoli pubblicati dal 2013. Il 2020 è stato il terzo anno di maggiore attività, dopo il 2019 (109 articoli) e il 2014 (88): 63 post pubblicati fino a ieri, per un totale di 49.001 parole e una media di 778 parole ad articolo (corrispondenti a circa 5k battute, a poca distanza dal record del 2018, quando però i post pubblicati erano stati appena 6 nell’arco dei 12 mesi). Più che un consuntivo, è una testimonianza della rinnovata dedizione con cui dallo scorso anno ho ripreso a dedicarmi al blog, e che spero di conservare anche nel corso del 2021. Questo malgrado il traffico generato sia davvero marginale rispetto ai volumi di un blog anche solo medio: nel corso di questi 8 anni di attività ho cercato più volte di variare la dieta dei contenuti, con l’intenzione di intercettare fasce sempre più ampie di lettori, a volte focalizzandomi su argomenti molto settoriali, altre cercando di offrire la maggior varietà possibile. Ammetto che entrambe le strade non hanno portato a particolari benefici in termini di pubblico intercettato: da un paio di anni i lettori che seguono queste pagine si contano in una ventina al giorno di media; voi sapete chi siete, e io vi ringrazio per l’attenzione con cui seguite roba che, in ultima istanza, potrei scrivere a mio esclusivo uso e consumo.

Veniamo quindi a ciò di cui abbiamo parlato nel 2020, con diverse piacevoli scoperte in termini di visioni e letture, in alcuni casi recuperi di visioni e letture degli anni passati, e sicuramente molto meno liete notizie di cronaca dal mondo là fuori:

A cui vado ad aggiungere le pagine sulla pandemia, che hanno monopolizzato l’attività di Holonomikon per buona parte della primavera scorsa, e l’elogio di Diego Armando Maradona, tra le altre cose che il 2020 si è portato via.

Apro qui un inciso. Maradona non è stata l’unica perdita a livello personale (chi vuol capire, capisca; a chi non vuol capire, è inutile che provi a spiegarlo). Ognuno di noi conosce i pezzi di sé che il tempo si porta via, ma finiamo per accorgerci sempre troppo tardi dell’importanza delle presenze che eravamo abituati a dare per scontate nelle nostre esistenze. Solo di fronte all’assenza ci rendiamo conto, ogni volta, immancabilmente, che tutto ciò che possediamo davvero sono i ricordi dei momenti trascorsi insieme, mentre cresciamo e scopriamo la vita, mentre invecchiamo e cerchiamo di prepararci all’inevitabile, e non saremo mai davvero pronti abbastanza quando verrà il momento di salutarci. E sicuramente non c’è niente di peggio di non poter nemmeno salutarsi, prima di intraprendere l’ultimo viaggio.

Tornando al blog, quest’anno ho inaugurato una nuova categoria di micropost. L’ho chiamata Microverso, sia per le dimensioni dei contributi, sia per la fonte: sono schegge del mondo fantastico visto con gli occhi di un bambino di quattro anni (nella fattispecie, non faccio altro che trascrivere le uscite di mio figlio Samuel).

Tra le cose pubblicate fuori dal blog negli ultimi 12 mesi, vale senz’altro la pena segnalarvi gli articoli apparsi su Quaderni d’Altri Tempi. In particolare:

Sul fronte della narrativa, le soddisfazioni non sono mancate. Da una parte Red Dust, un mio vecchio racconto ripubblicato lo scorso anno dopo una profonda revisione, mi è valso il primo Premio Italia in carriera per la narrativa: essendoci arrivato dopo una dozzina di finali senza risultati degni di nota, è un traguardo e, a suo modo, probabilmente un record. Ma nel corso dell’anno sono riuscito anche a dare alle stampe ben cinque lavori a cui sono particolarmente legato:

  • Due racconti sono usciti per pubblicazioni prestigiose, che hanno aggiunto importanti tasselli all’immaginario distopico nostrano: Prometheus Post Mortem su Lo Zar non è morto, terza antologia del progetto Next-Stream, stavolta a cura di di Lukha B. Kremo e Nico Gallo (Kipple); Al servizio di un oscuro potere su Distòpia, il Millemondi estivo di Urania curato da Franco Forte (Mondadori).
  • Un terzo racconto è stato ospitato sul numero 13 di Futuri, la rivista italiana di future studies curata da Roberto Paura: s’intitola La sindrome di Kessler e parla di rifiuti orbitali, cambiamenti climatici, mercato del lavoro e geopolitica (Italian Institute of the Future).
  • Finalmente ha visto la luce Cronache dell’Armageddon, un’antologia che ho avuto il privilegio di curare con Alessio Lazzati, riunendo un team di autori straordinari, che hanno messo le rispettive penne e tastiere al servizio di questa operazione in ricordo di un maestro scomparso troppo presto, Sergio “Alan D.” Altieri (Kipple).
  • E, infine, Carmine Treanni ha ripubblicato per CentoAutori Terminal Shock, un mio romanzo di alcuni anni fa, rivisto per l’occasione e finalmente approdato sulla carta dopo essere rimasto sospeso in un limbo a seguito della chiusura della casa editrice che lo aveva pubblicato in formato elettronico.

Per quanto riguarda le letture, Anobii mi sbatte in faccia la triste realtà dei numeri: nel 2020 ho letto appena 13 libri, per un totale di 3.492 pagine, la metà dello scorso anno e mai così pochi dal 1998. Di sicuro mancano all’appello molti volumi, diversi anche sostanziosi per paginazione, la cui lettura porto avanti da diversi mesi intervallandola con i libri destinati a recensioni o progetti più ampi, e nel novero mancano gli articoli su rivista (in particolare Le scienze, che dopo le decine di numeri accatastati negli anni ho ripreso a esaminare con una certa costanza) e i racconti usciti in antologie, di cui di solito leggo solo i contributi che sono di mio interesse per l’immediato. Ma è indubitabile che mai come negli ultimi due anni il tempo che posso dedicare al piacere della lettura è andato riducendosi, diventando un vero e proprio privilegio. Spero di invertire la rotta nei prossimi mesi, anche se sono costretto a nutrire un forte scetticismo a riguardo.

Dove la rotta non è stata di certo invertita, malgrado i propositi di inizio 2020, è nell’acquisto dei volumi cartacei, che ormai hanno ridotto lo spazio vitale del nostro appartamento a una cubatura minima indispensabile: oltre la soglia attuale, si corre il rischio concreto di un conflitto domestico. La soglia dei 30 libri che mi ero imposto di comprare come tetto massimo delle edizioni cartacee è stata polverizzata da ben 53 acquisti, e anche se si tratta per la maggior parte di tascabili, presto sarò costretto a «delocalizzare» parte del bottino. Per il 2021 non posso quindi evitare di rinnovare i propositi, pur nella consapevolezza di finire inevitabilmente per infrangerli.

Malgrado sia ancora a meno di un quarto del lavoro finale, l’inventario della biblioteca domestica mi ha sicuramente aiutato a contenere gli acquisti cartacei, evitando il peggio fin da quest’anno. Anche se hanno rappresentato solo in parte l’occasione per smaterializzare la biblioteca cartacea, i 60 e-book acquistati nel 2020 mantengono in crescita il trend degli acquisti digitali per anno. Nel 2021 cercherò di fare meglio.

L’altro proposito tradito dell’anno è la conclusione del romanzo che avevo iniziato a scrivere nel 2019. La stesura ha fatto progressi ma probabilmente il lavoro finale avrà un respiro diverso e dovrebbe diventare una novella, il che dovrebbe consentirmi di massimizzare la resa dell’idea evitando inutili dispersioni. Il materiale in esubero potrebbe costituire un eventuale seguito delle stesse dimensioni, chi vivrà vedrà. Nel frattempo non è che abbia lavorato solo a togliere, perché in cantiere è stato messo anche il progetto di un nuovo romanzo (o ciclo di novelle, anche in questo caso si vedrà) a sfondo discronico (ehm… come sarebbe a dire che non sapete di cosa sto parlando?), sulla cui documentazione mi sono già portato abbastanza avanti (ne riparleremo, inevitabilmente, nei prossimi mesi).

E prima di concludere lasciatemi dire che è stato un enorme onore aver ospitato sulle pagine di Next-Station due magnifici racconti a firma di due dei padri fondatori del connettivismo come Marco Milani e Lukha B. Kremo. Se non li avete ancora letti, approfittate di questi giorni di tregua dal trambusto quotidiano per recuperarli di corsa: daranno un senso diverso alle vostre letture da vacanza.

Evito qualsiasi augurio per il 2021, visto come sono andati a finire gli auspici per il 2020. Ma mai come adesso pensiamo ai nostri affetti, alla salute nostra e dei nostri cari, a chi sentiamo vicino in forme che quasi mai possono prevedere la prossimità fisica. Pensate a voi stessi, ma in un modo che faccia bene anche agli altri. Anch’io ci proverò. E per il momento è tutto.

Passo e chiudo. A rileggerci nel 2021.

Un sole di gomma fu squassato, e tramontò; e un nulla nero-sangue si mise a far girare un sistema di cellule intrecciate con cellule intrecciate con cellule intrecciate dentro un unico stelo. E spaventosamente nitida, sullo sfondo di tenebra, una candida fonte zampillò.
Vladimir Nabokov, Fuoco pallido, traduzione di Franca Pece e Anna Raffetto per l’edizione italiana Adelphi (2002)

Finalmente la mia copia del balenottero è venuta a spiaggiarsi qui di fianco e quindi quale occasione migliore per parlarvi un po’ del mio racconto? Il senso del post, come avrete capito, è quanto di più autoreferenziale si possa immaginare. Se decidete di andare avanti, sapete cosa aspettarvi.

1. Riferimenti letterari

Come fa giustamente notare il curatore del volume Franco Forte (che ringrazio oltre che per aver messo in luce il modello, anche per avermi dato la possibilità di comparire ancora una volta in un libro con diverse autrici e autori per cui non ho mai fatto mistero di nutrire da lettore – e a volte anche, nel mio piccolo, da curatore – un apprezzamento incondizionato), sul mio racconto aleggia l’ombra di Sergio “Alan D.” Altieri. Alla fine i conti tornano, no?

Anche lui forse avrebbe usato per questo racconto l’etichetta sci-fi action, che non so se merito, però mi avrebbe fatto senz’altro piacere.

Accanto a lui, altri riferimenti al mio personale pantheon letterario che fanno capolino tra le pagine sono meno scontati per un racconto di fantascienza quale Al servizio di un oscuro potere è, e in particolare penso a H. P. Lovecraft, Thomas Ligotti e Breece D’J Pancake.

2. Suggestioni e ispirazioni

Lo spunto di partenza, la scintilla che ha innescato la suggestione da cui è scaturito il racconto, è una sequenza di fotogrammi di Bologna, una mattina presto d’inverno di due o tre anni fa. In superficie la città deserta, spazzata da un vento gelido che strappava pioggia ghiacciata a un cielo di marmo. Nel sottosuolo, il labirinto multi-livello della stazione dell’alta velocità, con le sue lunghe passerelle di vetro sospese sui binari e immerse in un’atmosfera ovattata, altrettanto rarefatta, e le voci dei passeggeri in attesa che si perdono in lontananza, soffocate dai volumi delle navate sotterranee.

La cordiale voce registrata del sistema di annunci sonori diffusi dagli altoparlanti è stata da ispirazione per Mezereth. Con la complicità di un umore appena più torvo del solito, non è stato difficile delineare invece il personaggio di Maksim Bogdanov. Il nome è un omaggio ad Aleksandr Bogdanov, sulla cui figura è incentrato Proletkult dei Wu Ming, ma anche ad Arkady Bogdanov, uno dei personaggi più intriganti della Trilogia Marziana di Kim Stanley Robinson.

Osservatorio ALMA, Cile.

3. Storie dentro storie dentro altre storie

Keira è antecedente a entrambi, essendo ormai anni che medito di raccontarne la storia. Una storia che inizia in una città devastata dalla guerra, subito dopo il crollo della civiltà, e si conclude a bordo di un’astronave interstellare che si lascia alle spalle un sistema solare irreversibilmente sconvolto. In mezzo ci sono un annuncio del SETI a lungo atteso, ma che forse mai avremmo voluto sentirci dare sul serio, e il Programma Majestic. Di tutto questo si fa menzione in Al servizio di un oscuro potere, che va così a coprire con una prima tessera il mosaico di una storia più ampia e più antica. Il resto, prima o poi, lo scriverò.

Dimenticavo. Il personaggio che fa da contraltare a Maksim nella ricerca di Keira per conto di Mezereth si chiama… Irene Adler. Ovviamente, non quella Irene Adler.

4. World-building

Nel mondo post-apocalittico in cui vivono Maksim e Irene Adler, la società e le sue strutture di potere sono state commissariate dalle intelligenze artificiali. Amorevoli, altruistiche IA come Mezereth hanno preso in custodia il genere umano per il bene della civiltà. E gli umani, per lo meno quelli sopravvissuti all’ultima guerra totale, sono stati incasellati, per il loro bene, in ruoli predefiniti in virtù della loro classificazione in sedici tipi psicologici, che riprende lo schema messo a punto dalle psicologhe Myers e Briggs, per altro madre (la seconda) e figlia (la prima), nel secondo dopoguerra (per scoprire il vostro tipo MBTI, potete sottoporvi a test più o meno accurati, anche on line se ne trovano di diversi, tra cui questo in italiano).

Nel racconto mi diverto a giocare, come si sarà capito poco sopra, con i rischi esistenziali di Nick Bostrom, provando ad azzardare una risoluzione “artificiale” del dilemma del prigioniero, che porta a pagare un prezzo alto ma accettabile per evitare la distruzione assicurata. Questo dilemma, nel racconto, è legato al paradosso di Fermi, e a una possibile spiegazione che è stata già affrontata con eccellenti risultati da autori come Stephen Baxter, Alastair Reynolds e Liu Cixin.

Credit: Babylon 5.

5. Altri mondi, altre storie

Il nome della città in cui si apre e finisce il racconto, al-Hastur, è una citazione abbastanza trasparente di Robert W. Chambers, i cui racconti del ciclo del Re in Giallo sono andati a costituire il nucleo di un universo letterario di rimandi e citazioni che si è avvalso nel corso del tempo dei contributi, tra gli altri, di H. P. Lovecraft, sublimando nell’immaginario popolare anche grazie al lavoro di Nic Pizzolatto sulla prima stagione di True Detective.

In effetti, con tutti questi link, sembra che non abbia dovuto fare altro che mettere un po’ di ordine nella cronologia del blog. Ma è stato un po’ più complessa di così.

Nella descrizione di al-Hastur come di una città mausoleo, uno spettrale sepolcro imbiancato, riverberano le sensazioni di Cuore di tenebra di Joseph Conrad, in cui si ritrova una descrizione di Bruxelles che gli permette di materializzare una critica all’imperialismo colonialista europeo (“Mi ritrovai nella città sepolcrale risentito alla vista di individui che si affrettavano nelle strade per sgraffignare un po’ di denaro l’uno all’altro, […] per sognare i loro sogni sciocchi e insignificanti. Calpestavano i miei pensieri. Erano intrusi e la conoscenza che avevano della vita mi appariva un’irritante finzione, perché mi sentivo così sicuro che non potessero certo sapere le cose che sapevo io“).

Ho aggiunto il prefisso al un po’ per un tocco di esotismo, un po’ per caricarlo di un vezzo demoniaco, e poi perché mi sono detto: con tutti questi riferimenti, perché non citare anche Jack Vance?

Credit: Carcosa, by Irrealist.

6. E il titolo?

Ok, adesso l’ultima e poi evito di importunarvi oltre. Il titolo, vi starete chiedendo, o forse no, ma ormai avrete capito che ho comunque intenzione di dirvelo.

Al servizio di uno strano potere è il titolo, preso in prestito da uno dei suoi racconti, di un’antologia di Samuel R. Delany pubblicata in Italia in un numero monografico di Robot (il 35, per l’esattezza, nel febbraio del 1979). Robot è la mia rivista preferita, Delany è uno degli autori di cui non potrei fare a meno (e tra i primi che citerei se mi venisse chiesto il nome di uno scrittore che tutti dovrebbero conoscere) e questa antologia è uno scrigno di pietre preziose (così parafrasiamo pure il suo titolo più bello).

Al servizio di un oscuro potere esiste anche grazie a Robot e a Delany. Ed è un’influenza che va al di là del titolo, ma che il titolo mette da subito in chiaro.

Buona lettura!

Sono trascorsi tre anni da quel giorno che nessuno di noi avrebbe mai voluto vedere, ma Alan D. Altieri, Sergio per gli amici, è ancora con noi, come dimostrano due iniziative che hanno visto la luce in questa terza, triste ricorrenza.

La prima, grazie al coordinamento del formidabile trio composto da Cecilia Lavopa, Andrea Novelli e Giampaolo Zarini, è apparsa sulle pagine di Contorni di Noir, con i ricordi di una nutrita schieri di amici e autori che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e lavorare con lui. Potete leggere i nostri contributi nei due post che li raccolgono tutti, da cui credo che emerga bene un affresco a tutto tondo di questo gigante della letteratura italiana contemporanea.

La seconda è un annuncio a cui tengo molto, perché è il frutto di un anno e mezzo di lavoro, un arco di tempo durante il quale con Alessio Lazzati abbiamo visto nascere e crescere un progetto che accarezzavamo praticamente dal giorno dopo quella tragica data di tre anni fa. Fin da subito è stato un nostro comune cruccio trovare un modo per omaggiare degnamente il ricordo di un amico e un maestro troppo importante per poter condensare in una manciata di parole la portata dell’influenza che ha esercitato su di noi. Poi nell’autunno 2018, in occasione di uno StraniMondi, Andrea Vaccaro, curatore per Kipple Officina Libraria della collana K_Noir, ci lanciò il guanto di una sfida che noi accettammo con l’entusiasmo degli incoscienti. Ed ecco il risultato.

Dal sito dell’editore:

Venti contributi tra narrativa e realtà, tra omaggio e memento, esplorano i sentieri tracciati dal bardo dell’Apocalisse; autori, colleghi, amici e familiari ricordano l’esploratore del vuoto, evocando la sua immensa disponibilità, bravura, capacità di sintetizzare intere forme di Letteratura in un’apocalittica visione creativa ogni giorno più attuale.

I racconti di Danilo AronaBarbara BaraldiUmberto BertaniItalo BoneraSandro BattistiAndrea Carlo CappiGianluca D’AquinoAlessandro DefilippiGiovanni De MatteoAlessio GalleraniGiuseppe GennaLukha B. KremoLuca Mazza & Jack SensoliniValeria MontaldiGianfranco NerozziAndrea Novelli & Gianpaolo ZariniClaudia SalvatoriDario Tonani, rendono omaggio a Der Wolf, il bardo dell’Apocalisse, l’esploratore del vuoto. Con la prefazione di Franco Forte, un ricordo di Dario C. Altieri e Adrian D. Altieri e la sontuosa copertina di Franco Brambilla.

Emerse dalle tenebre.
Memento e incubo.
Un uomo in un mantello colore delle ombre, su un cavallo da guerra colore dell’acciaio. Un viandante. Nient’altro che un viandante in nero.
Avanzò lungo la strada flagellata dalla pioggia del Giorno dei Morti. Superò i relitti di case sventrate, invase da erbacce sibilanti nel vento. L’aria era opaca, miasmatica. Vapori lividi si levavano dal lastrico di pietre, disperdendosi contro nubi simili ad antracite liquefatta. Nessuna luce arrivava sulla terra. Forse la luce aveva semplicemente cessato di esistere.

Alan D. Altieri, Magdeburg. L’Eretico (Corbaccio, 2005)

Mentre il lavoro dietro le quinte va avanti, qualcuno si chiederà cosa bolle in pentola. E allora ecco le prime portate arrivare dalla cucina… Cominciamo con ordine.

La prima importante novità è la nuova antologia di Kipple Officina Libraria curata da Sandro Battisti, che s’intitola La prima frontiera e nelle parole del curatore si annuncia come un’esperienza di lettura lontana dai canoni ordinari (come per altro la casa editrice ci ha abituati):

Da pochi giorni ho terminato di lavorare sulla curatela di una nuova antologia, uno strano weird con ambientazioni non umane, poste oltre le dimensioni del conosciuto e totalmente distanti dall’antropocentrismo imperante, in uscita nel prossimo autunno. Il progetto esplora cosa può spaventare l’inumano, lo strano, il diverso; nomi meravigliosi, molto importanti, sono coinvolti nel progetto.

Numerosi sono i nomi noti coinvolti nel progetto, con alcune sorprese e due ospiti d’eccezione: Danilo Arona e Bruce Sterling (tradotto da Salvatore Proietti). Il mio racconto incluso nell’antologia s’intitolerà Dharma Connection e avrà a che fare con uno strano intrigo in un mondo futuro prossimo che sta affrontando l’apocalisse cosmica e metafisica di un’invasione di mostruose creature. Sono alieni, demoni o messaggeri di una dimensione superiore? Se il punto di partenza è senz’altro una via di mezzo tra Neon Genesis Evangelion (un mio pezzo sulla nuova ondata di animazione seriale giapponese degli anni ’90 lo trovate in un numero di Robot di qualche tempo fa) e Pacific Rim, andando avanti altre suggestioni si stratificano sulla trama. Il racconto mescola così atmosfere surreali e meccanismi da spy story, sullo sfondo di una macchinazione capital-finanziaria che fornisce una chiave di lettura del racconto in termini di… iperoggetti. Più strano di così non avrei saputo cosa offrire. Se siete fan di Cigarette Burns e John Carpenter, di Alan D. Altieri e del suo techno-weird, della serie The Black Monday Murders di John Hickman e Tomm Coker, troverete probabilmente pane per i vostri denti e easter eggs a volontà.

Seconda novità, ma non meno weird, è S.O.S. – Soniche oblique strategie. Immaginario fantastico, trovate fantascientifiche e suggestioni musicali convergono nell’ultimo progetto di Mario Gazzola, che senza tema di smentita mi spingo a definire senza precedenti: un progetto folle, quello di comporre un’antologia di 8 racconti ispirati a un gioco di ruolo ideato dal produttore musicale Brian Eno durante le sessioni di registrazione di 1. Outside, uno degli album più singolari di David Bowie. Gazzola ha delineato una cornice metanarrativa che tiene insieme il tutto e va al di là delle pagine del volume edito da Arcana, che si ramifica fino al web con un sito dedicato all’eminenza occulta che muove le trame dei racconti: il produttore Brain One.

Il curatore ne parla su Posthuman.it e su Facebook potete trovare anche una pagina ricca di contenuti extra.

Per quanto mi riguarda, il mio racconto s’intitola Un grande del crack rhythm a Lagos e mi ha offerto l’occasione di giocare con un’ambientazione inedita: per questo ne ho approfittato per ridisegnare la megalopoli nigeriana nella seconda metà del XXI secolo, aggiungendo un tocco di cyberpunk e afrofuturismo, e facendone uno dei nuovi nodi strategici del panorama economico globale. Anche qui, come in Dharma Connection, c’è un intrigo dietro le quinte che vede scontrarsi due (o forse più) entità in una lotta senza esclusione di colpi per l’egemonia dei nuovi mercati. Quando una variabile imprevista entra nelle equazioni finanziarie, si genera un effetto domino che in linea con le ineludibili leggi della teoria del caos finisce per sconvolgere la vita del protagonista.

E per finire, last but not least, arriviamo a una novità che terrà banco al prossimo Strani Mondi il 12-13 ottobre… e, temo, si tirerà dietro uno strascico di polemiche infinite. L’impavido Carmine Treanni, direttore di Delos Science Fiction, si è preso la briga di selezionare quello che secondo lui rappresenta il meglio del racconto di fantascienza italiano apparso nel 2018 presso piccoli e medi editori. Un lavoro immane che ha portato alla selezione di 15 racconti per Altri Futuri, in cui il mio Cryptomnesiac apparso lo scorso anno in Next-Stream. Visioni di realtà contigue si ritrova in ottima compagnia.

Questa che vedete qui sotto è la superba copertina di Franco Brambilla.

Once There Were Giants.
(Sergio Altieri, ritratto da Giorgio Raffaelli)

La notizia della morte prematura di Sergio Altieri ha colto tutti di sorpresa. Fatico a farmene una ragione da quando è stata diffusa ieri. In queste ultime ore nella mia mente è andato in onda un film della memoria a ciclo continuo e ho cercato di trovare il modo per parlare di Sergio senza a tutti i costi dover parlare di me. Succede spesso, nelle commemorazioni degli amici, di ridurre il ricordo della persona scomparsa quasi a un pretesto in cui il narratore finisce immancabilmente per rubare la scena al vero protagonista. Vorrei che così non fosse in questo caso, ma mi rendo conto che è impossibile, perché la storia della mia amicizia con questo gigante dell’editoria italiana è coincisa con la mia piccola “carriera” di scrittore.

Fu la sua voce che trovai dall’altra parte di un numero sconosciuto nel pomeriggio romano di un giorno di dieci anni fa, proprio in questo periodo dell’anno: mi comunicava che Sezione π² aveva vinto il premio Urania e che la mia vita stava per cambiare. Disse proprio così e mi lasciò a corto di parole, a masticare l’aria afosa dell’Eur, incredulo di fronte a una stazione della metropolitana in cui fino al giorno prima, nell’attesa della mia navetta per l’ufficio, avevo letto i libri che lui scriveva, traduceva o curava. Fu Sergio a lavorare con me sulla revisione del romanzo: telefonate, appunti, bozze che ormai conservo come un diploma. Fu Sergio a chiedermi di occuparmi con Giuseppe Lippi di un nuovo progetto che si apprestava a lanciare per trasportare nel web 2.0 le storiche collane da edicola Mondadori: mettere in pista, insieme ai blog delle sue sorelle, anche il blog di Urania.

E per capire che tipo di persona fosse Sergio, non bastano tutti i progetti connettivisti in cui si è lanciato a capofitto, dandoci racconti e postfazioni per le nostre pubblicazioni (Next International, Avanguardie Futuro Oscuro) oppure partecipando con il suo istrionismo vulcanico alle nostre Nextcon. Sergio, in arte Alan D. Altieri, era una figura imprescindibile per noi: sul blog del movimento gli avevamo dedicato uno speciale corredato da una lunga intervista, tra i pezzi di cui vado personalmente più orgoglioso. Non a caso la Nazione Oscura Caotica ha proclamato il 16 giugno giornata di lutto in memoria. Sergio era un cantore dell’Apocalisse, o forse solo un cronista dell’inferno verso cui stiamo tutti allegramente marciando, e di fronte a quest’uomo imponente in pantaloni e stivali militari, di cui per anni erano circolate solo rarissime foto, credo che la mia prima esperienza sia coincisa con quella di molti: il primo contatto segnato da un inevitabile timore reverenziale; il secondo all’insegna dell’imprevedibilità di chi non sa quale tipo di battuta o invito aspettarsi: poteva essere un commento al vetriolo sul politico di turno, un racconto per un’antologia o un’anticipazione di qualche suo progetto in rampa di lancio. Sergio era così: gli bastavano quattro parole, di cui la metà nello slang dei bassifondi di Los Angeles, per metterti a tuo agio e farti sentire parte di una squadra di cui lui era allo stesso tempo capitano, allenatore e primo dei tifosi.

Per tutto il periodo della sua direzione delle collane da edicola Mondadori (2006-2011), la cartolina da Segrate firmata di suo pugno è stato un appuntamento fisso per Natale. Ed è difficile dimenticare le cene milanesi in cui, alla prima trasferta utile, riuscivamo a vederci con lui, Giuseppe Lippi, Dario Tonani e Franco Brambilla. Oppure una passeggiata serale per le strade di Piacenza invase da una nebbia che sembrava uscita da Cherudek, dopo quella che sarebbe stata l’ultima presentazione di un altro gigante mai abbastanza rimpianto, Vittorio Curtoni, diretto lui verso un parcheggio e io verso un treno che – sempre nelle sue parole – non potevamo essere sicuri di trovare alla fine di quella marcia disperata. In effetti, a pensarci bene, almeno adesso che ci troviamo costretti a parlarne al passato, ogni cosa con lui sembra linfa adatta per l’aneddotica. Sergio stesso era un generatore umano di storie, un serbatoio inesauribile di racconti improbabili, di vita vissuta o meno.

Dopo che aveva lasciato il timone del mass market Mondadori nel 2011 ci eravamo un po’ persi di vista. Ogni tanto ci capitava di scriverci, magari ci incontravamo a qualche ritrovo, una convention o una fiera. E l’ultima volta è stata proprio a Stranimondi 2016, quando ha stritolato Sandro Battisti e me in un abbraccio fraterno e finalmente, dopo anni di comunicazioni via e-mail e incroci fugaci, siamo riusciti a scambiare di persona quattro chiacchiere senza fretta. Ci aveva lasciato il suo nuovo indirizzo e-mail, che sostituiva quello storico che era stato costretto a disattivare. Un indirizzo e-mail a cui non ho avuto il tempo di scrivere.

Quello che trovo paradossale della sua scomparsa è che sia arrivata in maniera del tutto imprevista. Sergio continuava ad allenarsi come ormai d’abitudine da diversi anni, aveva intensificato il ritmo del suo lavoro di scrittore, e attendeva come tutti il prossimo capitolo della saga di George R. R. Martin che aveva contribuito a portare all’attenzione dei lettori italiani. In questi anni ha lavorato alla traduzione di giganti come lui: Howard Phillips Lovecraft, Dashiell Hammett, l’amatissimo Raymond Chandler. Era appena uscito Magellan, il seguito di Juggernaut, che nel 2013 aveva inaugurato la sua ultima impresa, un ritorno – per me così atteso – alla fantascienza. E aveva promesso ai lettori che poi sarebbe stato il tempo di un nuovo ritorno, nella spirale di violenza e caos che stritolava l’Europa del ‘600 in quello che per ambizione e profondità è forse stato il suo massimo capolavoro, in una carriera di capolavori di certo tutt’altro che avara: la Trilogia di Magdeburg.

Ecco spiegato perché mi costi tanta fatica trovare le parole per ricordarlo. La sua scomparsa lascia un vuoto incolmabile, una voragine in chi lo ha conosciuto anche brevemente e a maggior ragione nel panorama dell’editoria italiana, che di professionisti con la sua preparazione, attenzione e generosità non ne ha mai conosciuti molti. Sarà impossibile sostituire la sua assenza.

Per dirla alla Sergio: Once there were giants. So di cosa parlo, credetemi. Li ho visti con i miei occhi.

Abbiamo visto nella prima parte di questo doppio articolo come si può intervenire lato sorgente per massimizzare la comunicatività di un testo. Andiamo ad esaminare ora cosa succede invece dal lato del destinatario, prendendo spunto per tentare quello che in gergo si chiama reverse engineering.

Partiamo quindi da quello che sembra funzionare. Scelgo un approccio possibilistico e tutt’altro che definitivo in quanto nessuno può vantare in quest’ambito di detenere la formula segreta del successo: in caso contrario non ci sarebbe bisogno di riflettere e interrogarsi, come stiamo facendo qui adesso, ma basterebbe piuttosto applicarla pedissequamente (e magari custodirla con gelosia per evitare che finisca nelle mani della concorrenza).

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Sul nuovo numero di Delos, on-line in questi giorni con la consueta messe di articoli a cui Carmine Treanni ci ha abituati (l’indice è davvero ricco, ne cito almeno altri due: l’intervista rilasciata da Altieri a Fabio Novel su Terminal War, di cui parlavamo pochi giorni fa, e le riflessioni del compagno Fazarov sulla valenza di Gravity come “blockbuster d’autore”), trovate anche un mio pezzo molto atipico.

In un certo senso Zeitgeist 1980: la memoria dalle ceneri è un pezzo su commissione. Se Salvatore Proietti, critico e amico, non avesse insistito perché lo scrivessi, probabilmente non mi sarebbe mai venuto in mente di cimentarmi con una roba del genere. Fatto sta che la recente ristampa di Cenere alla cenere sul numero estivo di Robot offriva in effetti il pretesto per ripercorrerne la genesi. L’articolo ne ricostruisce il background, dall’idea originale alla stesura, passando soprattutto per le molteplici fonti di ispirazione e l’immancabile lavoro di documentazione e ricostruzione d’epoca. Un’esperienza collettiva che lo rende in effetti un racconto totale, oltre che una delle cose a mio parere più riuscite che siano uscite dal mio word processor.

Ed è anche un modo per ricordare quanto di buono si possa fare con un blog. E tutto grazie a uno Strano Attrattore, pace all’anima sua…

Un po’ di musica per accompagnare la lettura.

L’altro giorno è uscita su Fantascienza.com la mia recensione all’ultimo romanzo di Alan D. Altieri: Juggernaut. Si tratta di un romanzo seminale, non solo perché innesca la nuova saga del maestro italiano del techno-thriller (una pentalogia, denominata Terminal War), ma perché impone un nuovo standard per chiunque oggi in Italia voglia confrontarsi con la scrittura di genere, e in particolare con la fantascienza.

En passant, questo articolo è anche il 300° che scrivo per Fantascienza.com (li trovate tutti in ordine quaggiù). E l’anno prossimo saranno 10 anni di collaborazione. Nel mio piccolo, comunque una milestone.

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Vivere anche il quotidiano nei termini più lontani. -- Italo Calvino, 1968

Neppure di fronte all'Apocalisse. Nessun compromesso. -- Rorschach (Alan Moore, Watchmen)

United We Stand. Divided We Fall.

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Mi chiamo Giovanni De Matteo, per gli amici X. Nel 2004 sono stato tra gli iniziatori del connettivismo. Leggo e guardo quel che posso, e se riesco poi ne scrivo. Mi occupo soprattutto di fantascienza e generi contigui. Mi piace sondare il futuro attraverso le lenti della scienza e della tecnologia.
Il mio ultimo romanzo è Karma City Blues.

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