Noi nati negli anni ’80 sentiamo spesso ripeterci che viviamo di nostalgia. Sicuramente è così: negli anni scorsi si è parlato spesso del revival degli anni ’80, iniziato agli albori degli anni Zero con un’ondata di produzioni cinematografiche che si rifacevano alle icone televisive del decennio, fino ad arrivare a produzioni inedite ma incentrate su una rievocazione del periodo o del suo immaginario, da Ashes to Ashes a Halt and Catch Fire, da Deutschland 83 a Stranger Things, fino al pot-pourri di Ready Player One. A innescare l’ondata sono state, tra gli altri, a partire dal 1999, due trilogie cinematografiche che, ognuna a modo suo, riportavano alla ribalta l’iconografia di quegli anni: la trilogia prequel di Star Wars, attingendo alla linfa della saga di maggior successo di quel decennio, e la trilogia di Matrix, con tutti i suoi debiti verso l’immaginario cyberpunk, l’animazione e i manga di quegli anni.
È stata e continua a essere una stagione popolata di alti e bassi, di rievocazioni più riuscite e di operazioni meno efficaci, ma tutte tese a offrire alla platea di chi è cresciuto in quegli anni una sensazione di persistenza di un periodo ben preciso, prolungando artificialmente la sospensione criogenica di quell’immaginario. La pervasività del fenomeno raggiunge un livello tale che, nell’ambito del fantastico e della fantascienza in particolare, innesca un ciclo che finisce per autoalimentarsi.
L’energia di attivazione è minima. Bastano una stagione di una serie TV (la terza di True Detective) o anche solo un episodio speciale (date un’occhiata agli episodi 2×15 e 3×15 di Fringe), perfino un dettaglio buttato lì per caso, per chiudere il circuito della nostalgia e attingere a un bacino dal potenziale sconfinato. Perché in fondo è molto meglio reinventare un periodo che abbiamo vissuto, con il suo portato di aspettative e speranze, di proiezioni e anticipazioni, che:
a. provare a imbastire qualsiasi discorso su un presente che ha smentito tutte le previsioni migliori del futuro che ci erano state propinate all’epoca, su cui sappiamo di essere arrivati con un gap incolmabile; e proprio per questo:
b. provare a immaginare nuovi futuri improbabili quando sappiamo che presto tutte le possibilità collasseranno sull’unico futuro inevitabile: non una linea nitida e ben tracciata, ma l’alveo roccioso di un fiume in cui scorreranno le acque turbolente di un’epoca di 1. sconvolgimenti sempre più drammatici legati ai cambiamenti climatici; 2. crisi sociali provocate dall’invecchiamento della popolazione occidentale e dall’incremento esponenziale dei rifugiati causati dai disastri ambientali; 3. dei prevedibili tentativi dei predatori alfa della giungla capitalista di scongiurare il superamento del sistema sbilanciato, sghembo e discriminatorio in cui hanno prosperato.
Qualcosa che in pochi vogliamo sentirci raccontare, e con cui ancor meno vogliamo fare i conti.
La mia generazione, i nati negli anni ‘80 come e forse ancor più dei nati negli anni ’70, è stata la prima a crescere in un mondo con la possibilità materiale di mercificare i suoi sogni e i suoi ricordi. Il passo verso la creazione di una riserva di bisogni immaginari su cui costruire un mercato di massa della nostalgia è stato una logica conseguenza del progresso tecnologico. Perché, non dimentichiamolo, è molto più remunerativo soddisfare un bisogno illusorio piuttosto che uno reale.
Anche per questo sbagliamo a credere che l’onda lunga degli anni ’80 andrà stemperandosi man mano che la nostra generazione invecchierà e passerà ad altro – qualunque cosa questo voglia dire. Anche se negli ultimi anni abbiamo cominciato a toccare i primi esiti che ripetono la stessa operazione con gli anni ’90 (dalla riproposizione dei videogame del periodo alle ricorrenze per il 25simo o trentesimo anniversario di questo o quel prodotto), in realtà siamo solo in un ciclo, perché subito dopo gli anni ’90 non partiremo certo con gli anni Zero, ma riprenderemo con gli anni ’70 e ’80 che proprio a partire dagli anni Zero hanno conosciuto una prima felice rinascita. Il quarto capitolo di Matrix, dopo la nuova trilogia di Star Wars, rappresenta un segnale impossibile da trascurare, come pure il tentativo abortito di Netflix di trasporre un anime cult come Cowboy Bebop in una serie live action. E così, potenzialmente, all’infinito, cercando di soddisfare il gusto e le aspettative di chi è cresciuto in quel decennio, finché ci sarà una domanda forte di un potere di acquisto adeguato.
E c’è qualcuno che lo ha capito molto bene, prima di tutti gli altri, e ormai dal 2006 sta mettendo in atto il suo piano per assicurarsi il monopolio sul nostro immaginario passato, presente e futuro. Se siete arrivati fin qua, avrete già capito di chi stiamo parlando.

5 commenti
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28 dicembre 2021 a 18:13
Dispacci dal pianeta della nostalgia | Holonomikon
[…] è un argomento che mi sta a cuore, riprendo il discorso cominciato ieri. Dicevamo dello stato di sospensione in cui siamo in qualche modo intrappolati, autocondannati a […]
28 dicembre 2021 a 18:49
Austin Dove
articolo molto interessante
io sono classe 98 quindi non posso capire questo argomento nel suo toto, ma sicuramente una cosa del genere è in atto da anni, anche solo per al fine delle idee
29 dicembre 2021 a 12:03
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@Austin Dove: Sì, come scrivi tu è sicuramente espressione di un’attitudine che c’è sempre stata, o che va avanti almeno dagli anni ’40-’50 (per esempio con la ripresa degli stilemi del cinema espressionista tedesco nelle pellicole noir), ma a partire dagli anni 2000 credo abbia assunto una forma molto meglio definita.
Le mie considerazioni si basano su alcuni aspetti, ma tutti fondamentalmente riconducibili alla constatazione che il potenziale commerciale di quell’immaginario è ora molto meglio sfruttabile di quanto non fosse nel passato: sia perché negli anni ’80 e ’90 la fruizione dei prodotti di massa è cambiata (con l’inondazione di manga, anime e videogame dal Giappone, ma anche con la diffusione di comics e graphic novel che ampliavano le coordinate della letteratura, oppure con la progressiva ascesa di un cinema – specie fantascienza, horror e action, di serie A, serie B, etc. – capace di stabilire nuovi riferimenti per il nostro immaginario di massa), sia perché la riproducibilità volta a mercificare quell’immaginario è più una sfida, ma diventa un’opportunità da sfruttare in maniera remunerativa e quindi appetibile per i giganti dell’entertainment (e non solo, basta considerare il caso di Amazon o Apple, che nascono per fare altro ma poi in questi anni aprono le loro divisioni per produrre contenuti multimediali).
Nell’articolo poi io mi concentravo sull’immaginario visivo, ma è un discorso che potrebbe essere ampliato anche all’ambito musicale (considera la ripresa delle sonorità elettroniche degli anni ’80 in tanta musica pop-rock degli ultimi anni).
Mi piacerebbe che mi togliessi una curiosità, se riesci: dal tuo punto di vista di nato nel ’98 (beato te!), l’immaginario degli ultimi dieci anni quanto si allontana da quello degli anni ’80 e ’90? Ti sembra abbastanza ben connotato da differenziarsi da quello di fine XX secolo? Potresti aiutarmi a confutare la mia tesi, non mi dispiacerebbe più di tanto… anche se poi in realtà credo (come scrivevo nel post di ieri) che a inizio XXI secolo sia stato un trend in crescita tutto sommato ancora lenta, sarà da questo decennio che potrebbe esplodere rivelando la propria natura esponenziale. Spero comunque di sbagliarmi! :)
29 dicembre 2021 a 12:17
Austin Dove
Boh, io non è che conosco gli anni 80 cosi tanto da beccare ogni citazione
Credo che si ispirino soprattutto per i soggetti e i look, dettagli ez ma che sbloccano ricordi. Se penso a cose chiaramente 8090like potrebbe ST, ghostbusters, le tante riunion
Ma non sono cosi informato da notare temi musicali simili
Sorry
29 gennaio 2022 a 19:47
Sincronicità, discronia e futuri perduti: gli spettri di Mark Fisher | Holonomikon
[…] risonanze con alcune riflessioni con cui da qualche mese mi sto dilettando (per esempio: in questo e in quest’altro post a tema […]