Dopo 22 anni di onorato servizio e altrettanti albi, l’Almanacco della Fantascienza si congeda dai lettori e lascia spazio al nuovo arrivato in casa Bonelli: Nathan Never Magazine. Le pagine sono ancora 176, ma in linea con il restyling delle altre testate annuali (avventura, western, horror) la rivista perde la sua elegante carta lucida. In compenso si presenta interamente a colori, anche nelle storie a fumetti che avevano mantenuto il tradizionale bianco e nero delle origini.
Cambia anche la formula. Un po’ è un peccato non trovare più le tradizionali panoramiche di apertura sull’annata fantascientifica nei libri, al cinema e in TV, con divagazioni sui fumetti e i videogiochi. Le tradizionali 30 pagine di apertura si ritrovano condensate nella metà dello spazio, frammentate nel doppio delle rubriche: schermo, fumetti, carta, viaggio (!), TV e gioco. Lettura agile e veloce, ma inevitabilmente parziale. Non possiamo più parlare di panoramica dell’annata, ma a tutti gli effetti di un estratto che risponde al gusto e alla discrezione dei redattori, e questo è un po’ un peccato, se ricordiamo le scoperte e i recuperi che invece la vecchia formula garantiva agli appassionati.
A recuperare profondità ci pensano però i quattro Sci-Fi Files, che prendono il posto dei dossier (negli ultimi anni solitamente tre per albo): Gianmaria Contro ripercorre le tappe storiche della fantascienza di marca militare, un tema piuttosto familiare ai lettori della prima ora di Nathan Never; Giuseppe Lippi perlustra l’ultima frontiera del cyberpunk, dedicando ampio spazio all’attività del movimento connettivista in un articolo accurato e informatissimo; Luca Barbieri si concentra sulla morte in diretta, sul rapporto di controllo tra i mass media, l’individuo e la società (con almeno una omissione importante e inspiegabile, a mio avviso, ovvero il romanzo L’occhio insonne di David G. Compton, fonte del film La morte in diretta di Bertrand Tavernier da cui l’articolo prende in prestito il titolo); e infine Maurizio Colombo dedica il suo spazio alle minacce del sottosuolo. Va detto che gli articoli rasentano l’eccellenza, offrono abbondanza di consigli di lettura e di visione, e sono anche ben calibrati per quanto riguarda il mix dei media: ogni file offre, ove possibile, uno spaccato di film, libri, fumetti (e manga) e serie TV.
La nuova formula prevede inoltre una correlazione diretta tra gli Sci-Fi Files e i fumetti. L’albo ne include quattro, tre dei quali sono ripescaggi di storie apparse intorno alla metà degli anni ’90:
- Lone Star, una storia inedita firmata da Giovanni Gualdoni (testi) e Dante Bastianoni (disegni): ambientazione inedita su un cantiere in orbita eliostazionaria (non si sa bene perché…), con una nave militare destinata allo smantellamento e il nostro Agente Alfa in missione sulle orme di una sua vecchia conoscenza (a quanto mi risulta, però, ignota ai lettori). Storia ben congegnata che cita Sunshine, e proprio come il film di Danny Boyle si presenta poco accurata sotto il profilo scientifico.
- La danza delle luci blu di Michele Medda (testi) e Nicola Mari (disegni): un’avventura d’antan sul cyberspazio che contiene in embrione l’idea di Lost, ma non ha lo spazio per svilupparla a dovere. Risale al 1994.
- La sfida di Bepi Vigna (testi) e Germano Bonazzi (disegni): una sfida di scacchi che cavalca le suggestioni degli incontri tra Deep Blue e il campione del mondo Garry Kasparov, con twist finale. Apparsa originariamente nel 1996 sul Nathan Never Speciale di quell’anno.
- Colonie, ancora del duo Medda/Mari: pubblicato originariamente nel 1995, è a mio parere la storia migliore delle quattro. Una storia di frontiera, ambientata in un avamposto disperso in mezzo al Territorio, alle prese con centopiedi e poteri extrasensoriali (uno dei cavalli di battaglia del primo periodo di Nathan Never).
Inutile l’editoriale di Graziano Frediani. Ma per fortuna a vendere il volume ci penserà la spettacolare copertina di Giancarlo Olivares.
Quanto abbia significato per me l’Almanacco della Fantascienza ho già provato a raccontarvelo in altre occasioni e non mi piace essere ripetitivo. Vedermi citato nel primo numero di Nathan Never Magazine, proprio con Sandro Battisti (per altro fresco vincitore del Premio Urania) e gli altri scrittori che con noi hanno contribuito a dar forma al connettivismo e alla fantascienza post-cyberpunk italiana (Lukha B. Kremo, Dario Tonani, il due volte premio Urania Francesco Verso, e molti altri se ne potrebbero nominare), mi lascia con un senso di soddisfazione che faccio fatica a descrivere, ma che potete facilmente immaginare.
Il futuro, lo scriviamo ogni giorno.
6 commenti
Comments feed for this article
28 luglio 2015 a 00:11
zoon
una sorta di poetica epica quando parli del nostro collettivo, quasi non sembra vero questo presente se solo proviamo a guardarci indietro, a quell’inizio potente e giovane, spavaldo, pieno soltanto di volontà…
28 luglio 2015 a 14:09
X
Buona volontà all’inizio. Tanto lavoro in mezzo. E i risultati, poco alla volta, alla fine stanno arrivando… ;)
28 luglio 2015 a 14:13
Nathan Never Magazine | Holonomikon | HyperHouse
[…] segnala Giovanni De Matteo, è uscito il nuovo albo Nathan Never Magazine, che sostituisce l’Almanacco della Fantascienza, […]
9 agosto 2015 a 21:08
Kremo
Sì, mi pare giusto che i risultati arrivino molto tempo dopo i primi passi, per altri sono arrivati troppo presto e ne hanno decretato la fine…
26 agosto 2015 a 11:32
X
Assolutamente vero. E profondamente saggio.
28 Maggio 2016 a 00:15
Nathan Never: Altri mondi | Holonomikon
[…] Nathan Never a distanza di quasi un anno dall’ultimo. Se quella volta si era trattato di un vero e proprio revival, in questo caso è stata la ricorrenza del numero tondo, che anticipa di un mese il 25simo […]