In maniera del tutto inattesa ci ritroviamo a menzionare Alberto Moravia per la seconda settimana di fila. Che il rapporto dell’intellettuale romano con la fantascienza non sia mai stato improntato – non dico alla stima – alla curiosità, all’interesse minimo per ciò che magari non comprendiamo ma in cui possiamo riconoscere se non altro il pregio della dignità, sia pure con riserva, è storia arcinota. La chiusura al nostro genere da parte di Moravia fu totale e senza ripensamenti. E sulla stessa linea sembra muoversi ancora oggi Nuovi Argomenti, la rivista di critica letteraria che Moravia contribuì a fondare nel 1953 e che oggi rivive in una quinta incarnazione, sotto la cura di un direttorio ben partecipato e sotto l’egida del Gruppo Mondadori.
Nuovi Argomenti ha dedicato l’ultima uscita dell’anno, il numero 68 di ottobre-dicembre 2014, alla fantascienza in Italia. O almeno questo deve essere stato il proposito, denunciato fin dal titolo, che accosta quello della più longeva collana italiana di genere al capolavoro di Ray Bradbury (immortalato per il cinema da François Truffaut), sincera e appassionata dichiarazione d’amore per i libri, le storie e la lettura: Urania 451 s’intitola questo numero monografico, ed è un titolo che alle mie orecchie fin da subito è suonato un po’ troppo lugubre e sinistro per alimentare buoni auspici.
Fahrenheit 451, infatti, alludeva alla temperatura di combustione della carta. E tutta la storia concepita da Bradbury è incentrata sulla salvaguardia e la preservazione della conoscenza umana da parte di Guy Montag, un ex-membro pentito del corpo dei pompieri deputato alla distruzione dei libri in un regime distopico fondato sul controllo dei mass media e il potere egemonico della televisione. La stessa causa che sembra essere stata sposata dalla rivista letteraria di casa Mondadori. Quella del corpo dei pompieri, non quella del redento Guy Montag.
La mia impressione è stata confermata da chi la rivista ha avuto l’audacia di leggerla. Io non mi sento sufficientemente motivato a portare soldi a iniziative simili, già i libri che meritano di essere letti sono talmente tanti da costringerci a convivere con l’idea che non riusciremo mai a leggerli tutti e la vita è davvero troppo breve per sprecare tempo prezioso dando fiducia a operazioni editoriali che puzzano di bruciato. Dando una scorsa all’indice, che è tutto ciò che avrò mai il tempo e il coraggio di leggere di questo Nuovi Argomenti curato da Carlo Mazza Galanti, tre cose mi sono subito balzate all’occhio:
- La totale assenza di professionisti provenienti dall’ambiente. Nella sua introduzione (a quanto mi riferiscono) il curatore “rivendica” di aver scelto deliberatamente scrittori che non scrivono fantascienza. Tutto bene, se l’operazione non mirasse a tirare le somme su cosa sia e cosa abbia prodotto la fantascienza in Italia. Se invece questo era l’intento, non dico che per essere credibile l’operazione avrebbe dovuto fondarsi sul coinvolgimento esclusivo dei professionisti del settore (curatori, traduttori, critici, autori), ma forse il loro contributo avrebbe potuto costituire un valore aggiunto. Anche solo un’intervista a Giuseppe Lippi, curatore da un quarto di secolo di quell’Urania da cui l’operazione ha preso in prestito metà del titolo, avrebbe potuto fornire quello sguardo interno e focalizzato sufficiente ad agganciarla all’attualità e allo stato dell’arte del genere. Senza menzionare i critici che alla fantascienza hanno fornito contributi di valore, magari a cominciare dalla triade fondatrice di Anarres (rintracciabile senza sforzi particolari on line e per altro primo risultato di Google alla stringa di ricerca “rivista studi fantascienza”). Oppure gli autori che su Urania hanno pubblicato in questi anni, tra i quali se ne annoverano almeno un paio pubblicati anche all’estero (Dario Tonani in Giappone, Francesco Verso in Australia) e uno capace di scrivere uno dei romanzi italiani (al di là dell’appartenenza di genere) più importanti di questi anni (Vittorio Catani con Il quinto principio). Di diverso avviso è risultato invece il curatore della monografia, che ha invece preferito affidare la testimonianza sullo stato del genere a gente che in tutta evidenza (a giudicare dai relativi curricula) ha avuto con lo stesso, nel migliore dei casi, solo una frequentazione episodica se non proprio accidentale.
- Il richiamo del saggio introduttivo di Tommaso Pincio alle figure di Fruttero & Lucentini, i due operatori culturali più ostili alla maturazione di una via italiana alla fantascienza, nonché artefici dalla tolda di comando di Urania di una visione del genere filtrata e parziale di cui ancora oggi il settore sconta le conseguenze. Quel “Marziano in cattedra” varato dalla ditta è un pugno nell’occhio per ogni sano appassionato di fantascienza. E da parte di Pincio (per altro, con Laura Pugno, l’unica firma coinvolta ad aver avuto almeno qualche trascorso documentato di un certo livello con la fantascienza), che ha abituato i lettori ad apprezzare la sua cura per la profondità critica e l’attenzione per i dettagli, è – a voler essere generosi – come minimo un passo falso.
- La costrizione della panoramica finale di Gino Roncaglia sulla fantascienza in Italia a due soli decenni: gli anni ’60 e gli anni ’70. Tralasciando tutto ciò che c’è stato prima, dalla protofantascienza agli anni ’50. E tutto ciò che è venito dopo. Un punto di vista comodo forse a giustificare tutte le amnesie già evidenziate in precedenza.
Di tutto possiamo dire sul fandom, tranne che non ci sia autocritica. Tant’è che, davanti all’indice e ai contenuti di Nuovi Argomenti non hanno tardato ad arrivare i j’accuse e gli atti di dolore. E un fondo di verità c’è: che la comunità sia ripiegata su se stessa lo denunciavo non più di qualche post fa; che troppo spesso prevalgano logiche esclusive piuttosto che aperture verso il nuovo, idem. Probabilmente il fandom che abbiamo in Italia non è il luogo più ricettivo e accogliente verso le novità. Eppure, di fronte a operazioni come questa di Nuovi Argomenti, è curioso vedere come ci si metta subito all’opera per individuare il colpevole interno a cui attribuire la responsabilità. Come se tutto, in fin dei conti, si riducesse all’ennesima occasione per il redde rationem.
In tutta franchezza, non riesco davvero a capire come si possa pensare di giustificare l’esito imbarazzante e discutibile di un’iniziativa nata e maturata al di fuori del settore come se fosse colpa degli addetti ai lavori. Se una rivista letteraria decide di dedicare una monografia alla fantascienza in Italia arrivando a citare Urania fin dal titolo, evidentemente chi sta curando l’operazione ha una cognizione minima di quali siano i canali da investigare e i cammini da percorrere per affrontare l’impresa. Il minimo che il lettore può attendersi per spirito di coerenza sarebbe il coinvolgimento di chi su Urania ha lavorato e continua a lavorare. Solo partendo da lì sono disposto ad analizzare e valutare l’indice di settarietà della SF italiana: se chi viene coinvolto riesce ad allargare la rete ad altri professionisti (tramite il coinvolgimento diretto o anche “solo” il riconoscimento dei meriti), allora possiamo assumerci il coraggio di riconoscere il livello di integrazione e cooperazione finalmente raggiunto nell’ambiente; altrimenti abbiamo la misura di ciò che non va e siamo legittimati a criticare esclusioni, eccezioni, anomalie, particolarismi e faziosità varie – e allora via pure con la resa dei conti.
Invece, in questo caso è mancato fin dall’inizio qualsiasi interesse, qualsiasi apertura a chi nella fantascienza italiana lavora: scrivendo, curando collane, riviste e web magazine, traducendo e facendo critica. La fantascienza di Nuovi Argomenti si ferma a quel titolo, comunque ambiguo e in ogni caso fuorviante: la temperatura a cui è stata ridotta in cenere la storia di più di mezzo secolo di fantascienza italiana. Fin dall’indice e dall’elenco dei collaboratori è forte purtroppo il sentore di opportunità e snobismo a voler essere gentili, e di dilettantismo e superficialità a voler essere invece appena un po’ più severi.
Se non fossi parte in causa vi inviterei a investire i vostri soldi in un numero qualsiasi di Robot. Siccome sono invece direttamente coinvolto, sfiderei i curiosi che non siano frequentatori assidui della fantascienza a comprare entrambe le riviste, Robot e Nuovi Argomenti, per metterle a confronto e avere così un giudizio disinteressato e di prima mano su quale delle due realtà funzioni meglio per divulgare lo stato del genere presso i lettori.
A tutti mi sento di chiedere un’unica cortesia: evitiamo i piagnistei, offrono troppi alibi di comodo utilizzo e non aggiungono valore al dibattito.
23 commenti
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9 dicembre 2014 a 13:53
Del
mah secondo me serve un ragionamento più sobrio. Stante che la maggior parte della fantascienza italiana contemporanea è magari immaginifica ma molto carente a livello di scrittura, e stante che le riviste tipo Nuovi Argomenti valutano invece molto più lo stile e la prosa che la trama e le idee (cosa su cui ovviamente si può dibattere, specie nel “genere”), per mettere su un numero hanno preso più da fuori che da dentro. Ma i racconti come sono? Nell’indice vedo nomi di gente brava e in alcuni casi non del tutto estranea al genere.
9 dicembre 2014 a 14:59
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Del, con tutto il rispetto, che la fantascienza italiana contemporanea sia molto carente a livello di scrittura è un tuo parere. Io che ne leggo parecchia sono di avviso contrario. E in ogni caso non sto contestando la scelta dei racconti, che non ho letto e che potranno anche essere dei gioiellini (chi li ha letti riferisce impressioni diverse, ma tant’è). Fossi stato io, avrei almeno cercato di bilanciare racconti di scrittori di fantascienza (visto che non ne mancano in circolazione) con racconti di fantascienza di scrittori in genere abituati a scrivere altro. Scelta altrettanto discutibile, come ogni altra, è pacifico. Il problema è che di quello che è la fantascienza italiana di oggi non traspare nemmeno un vago riflesso, e se permetti questa è una grave lacuna. E come se non bastasse i saggi che dovrebbero inquadrare storicamente il fenomeno restano fermi a una stagione finita da più di 30 anni e ne rimandano un ritratto fallace, perché la rimozione storica è stata totale, cancellando figure del calibro di Curtoni, Montanari, Lippi, Valla, Aldani, Catani e, venendo a tempi più recenti, Evangelisti, Masali, Grasso, Tonani, Vallorani, Farris, Cola, Sosio, Verso… e qui preferisco fermarmi.
9 dicembre 2014 a 22:44
Paolo Zardi
Ciao Giovanni, premetto: facendo parte del gruppo di autori che hanno contribuito all’ultimo numero di Nuovi Argomenti, sono di parte.
Parto dall’introduzione del curatore, Carlo Mazza Galanti, al quale tu fai un veloce cenno: “vorrei sottolineare il fatto di aver cercato, in quanto curatore, la partecipazione di autori non necessariamente versati nel genere, la cui scrittura, tuttavia, per modi e immaginario, mi sembra muoversi in territori limitrofi, in spazi che facilmente potevano contaminarsi, espandersi a contenere elementi fantascientifici”. L’ultimo numero di Nuovi Argomenti, dunque, a differenza da quanto mi pare tu intenda, non si propone come uno spaccato della fantascienza italiana contemporanea, né come una raccolta dei più rappresentativi autori di fantascienza: per quello, ci sono già le raccolte che indichi tu, e non capisco che tipo di contributo avrebbe potuto dare NA se avesse cercato di rifare, di imitare, riviste già esistenti e affermate.
Sul merito, è un peccato che tu esprima giudizi su un lavoro senza averlo neppure letto; frasi come “chi li ha letti riferisce impressioni diverse, ma tant’è”, “l’esito imbarazzante e discutibile di un’iniziativa nata e maturata al di fuori del settore” (non l’hai letta: come fai a dire che è discutibile e imbarazzante?), “Nella sua introduzione (a quanto mi riferiscono)” non dovrebbero mai comparire quando si parla di letteratura.. su quali basi stiamo discutendo? E di cosa? Del diritto di una rivista di parlare di fantascienza senza chiedere il permesso? Non credo che NA scalfisca la reputazione di chi si occupa di fantascienza da anni, con meriti (e demeriti) simili a chi invece non se ne occupa, e fa altro. La sensazione, non bella, è che si stia cercando di difendere una sorta di diritto sul genere, e di volerlo fare a priori… Qui non stiamo parlando di contenuti, ma di un principio che in letteratura non deve trovare spazio, e cioè che qualcuno “possiede” l’accesso a determinate forme di espressione. Esiste un movimento di scrittori di fantascienza, non c’è dubbio, ma la fantascienza, ahimé, non appartiene a loro, così come il noir non appartiene a Larsson o a Carlotto e il legal thriller a Grisham. Nuovi Argomenti ha proposto uno sguardo diverso, di autori che si avvicinano alla fantascienza portando il proprio immaginario e la propria esperienza: senza avere la pretesa di aver creato dei “gioellini”, ma con il diritto, sacrosanto, di essere giudicati per quello che si ha scritto.
A presto
Paolo
9 dicembre 2014 a 23:36
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Ciao Paolo, grazie per il tuo intervento. Hai ragione, il mio commento sui racconti è stato inappropriato e me ne assumo la responsabilità. Chiedo scusa a te e agli altri autori dei racconti, sui quali non ho elementi per esprimermi (mi permetto solo di ribadire che se fossi stato nei panni del curatore avrei scelto una metodologia diversa… e magari altrettanto discutibile). Ma il mio post e tutti i commenti che ne sono conseguiti non vogliono essere una recensione.
Io mi sto limitando ad analizzare un’operazione a partire da dati che converremo essere oggettivi: a) esiste in Italia una fantascienza dalle numerose sfaccettature, maturata in un ambiente non privo di contrapposizioni e rivalità, che ha saputo esprimere comunque delle personalità riconosciute, che continua a evolversi tuttora faticando più di altri generi a trovare spazi editoriali nelle librerie per raggiungere una visibilità presso il grande pubblico, ma che continua la sua lotta quotidiana su siti web, riviste cartacee e in edicola (con numeri importanti, dal momento che Urania va avanti da più di 60 anni e tira ancora una decina di migliaia di copie, con numeri quindi che basterebbero per entrare nelle classifiche di vendita libraria); b) viene messo in cantiere un numero di una rivista letteraria interamente dedicato alla fantascienza; c) in questo numero non viene coinvolto un solo conoscitore del settore: una sola persona che possa essere riconosciuta – non unanimamente, ma anche solo da una ristretta cerchia di appassionati, cosa anche abbastanza facile considerata la frammentazione del fandom – come capace di fornire un focus (comunque parziale, comunque personale) su una galassia che potrebbe essere oggetto di una piccola enciclopedia, e che invece dobbiamo filtrare attraverso poche pagine. Parlo di inquadramento generale, di conoscenza e più in generale di competenza, tutte cose che non si possono inventare dal niente né ottenere per caso.
Non mi ripeto perché tutte le considerazioni relative sono sul blog. Voglio buttarti qui qualche nome: Salvatore Proietti, Alessandro Fambrini, Vittorio Catani. La studiosa americana Arielle Saiber ha dedicato alla fantascienza italiana una panoramica “preliminare”: le sono servite 30 pagine di articolo e 20 di bibliografia (te lo linko, magari hai la possibilità di segnalarlo al curatore e ai due autori della saggistica: https://escholarship.org/uc/item/67b8j74s).
Non ho motivo di credere che i racconti siano brutti, ma nessuno è ancora riuscito a togliermi dalla testa l’impressione che l’operazione sia nata col piede sbagliato. Nessuno ha pretese egemoniche, ultimamente l’ho ripetuto spesso e sono stato anche duramente criticato per aver condannato il diritto di esclusività di cui alcuni lettori tendono a farsi portatori. Però che di un genere maturo, con una sua storia che si è andata via via stratificando e numerose figure professionali emerse dal suo alveo e poi magari prestate altrove, alla fine restino appena un titolo, una commemorazione delle personalità più ottuse ad aver avuto a che fare con Urania e una generica panoramica limitata a due decenni con non più di un paio di nomi citati di straforo, lo capirai, desta un bel po’ di amarezza. E che questa amarezza abbia messo praticamente d’accordo un ambiente litigioso, frammentato in una molteplicità di fazioni, costantemente in polemica interna, dovrebbe essere il dato più esplicativo dell’esito dell’operazione. Ma ovviamente le conclusioni non dovrebbero trarle gli autori, che presumo abbiano fatto del loro meglio (se non altro gli scrittori), quanto invece il curatore.
Come ho detto altrove, alla fine si ha come l’impressione che si sia voluto sostituire alla fantascienza italiana un simulacro concepito per l’occasione. Io mi chiedo: fatte salve le legittime intenzioni del curatore, ma perché non provare a sentire un collega, tanto più che stiamo parlando di una rivista (NA) e una collana (Urania) pubblicate dallo stesso editore? E soprattutto: ma davvero chi ha diretto questa operazione in questo modo era convinto che non avrebbe acceso un putiferio? Già solo quest’ultima domanda fornisce la risposta ad ogni dubbio sulla professionalità con cui è stata gestita la cosa.
10 dicembre 2014 a 11:13
Gino Roncaglia
Riporto anche qui un commento postato altrove; non per insofferenza verso le critiche, che vanno benissimo e fanno parte del gioco, ma per chiarire – almeno per quanto mi riguarda – le intenzioni con cui ho collaborato a questa raccolta.
Naturalmente ciascuno giudica i contenuti del fascicolo – singolarmente e collettivamente – come meglio crede: la cosa non mi turba, e mi sembra anzi giusta e naturale.
Per quanto mi riguarda, e per quanto riguarda il mio articolo, vorrei fare due sole osservazioni:
1) non avevo certo alcuna intenzione di fare il punto sulla situazione (o sulla storia) della scrittura di fantascienza in Italia. E’ una storia lunga e complessa, che richiederebbe ben altro spazio e sicuramente anche ben altre competenze. Il mio intervento, di poche pagine, propone non una “panoramica” ma solo – come dice chiaramente il titolo – alcune *note*, concentrandosi su un periodo specifico, gli anni ’60 e ’70 (e anche questo lo dice chiaramente il titolo). E’ buffo che si rimproveri all’articolo di “fermarsi”… a quello che è programmaticamente il tema che quell’articolo intende trattare. E’ un po’ come rimproverare a un articolo che proponga delle osservazioni su alcuni episodi della guerra dei trent’anni di fermarsi al Seicento… non è che “si ferma” al Seicento: parla del Seicento (e solo di alcuni aspetti del Seicento).
2) personalmente mi sembra poi un po’ fuori posto l’aria di sufficienza con cui nell’articolo su Fantascienza.com si critica il fatto che io citi “addirittura Kolosimo”. Ovvio, Kolosimo – che pure un po’ di (mediocrissima) fantascienza l’ha scritta – non è un autore di particolare rilievo nel panonrama italiano: Aldani, Curtoni, Catani e tanti altri sono di ben altra levatura. Ma chi ha vissuto quegli anni sa che Kolosimo ha avuto un ruolo di assoluto rililevo in un mondo che all’epoca era percepito da molti lettori (e dallo stesso Kolosimo: basta guardare le note dei suoi libri) come in qualche misura ‘vicino’ a quello della fantascienza. Molti lettori hanno scoperto Urania sui libri di Kolosimo. E non è davvero un caso che Kolosimo scrivesse regolarmente su ‘Oltre il cielo’. Chi sottovaluta il ruolo che ‘Oltre il cielo’ (che all’epoca, ebbene sì, parlava anche di UFO!) ebbe in quegli anni, forse non sa poi tanto bene cos’era la fantascienza in Italia alla fine degli anni ’50 e all’inizio degli anni ’60. Quasi tutti gli autori ‘validi’ di fantascienza italiana (comunque si interpreti il giudizio) sono venuti dopo… ma non sono nati dal nulla.
Detto questo, per carità, le mie osservazioni saranno anche “banali” (forse non così tanto, se davvero c’è chi pensa che la storia della fantascienza italiana di quegli anni non abbia alcuna relazione con figure come Kolosimo o con riviste come Planète) o legate a un punto di vista “di comodo” (?). Questo è un libero giudizio, e se da un articolo di nove pagine, programmaticamente non sistematico, ci si aspetta un’analisi esaustiva della storia della fantascienza italiana, è sicuramente anche un giudizio corretto.
La questione poi delle scente editoriali complessive del fascicolo ovviamente riguarda il curatore e non me. Ma, proprio perché ho frequentato abbastanza la fantascienza dell’epoca delle fanzine e dei ‘collettivi’ (e continuo a leggere tanta fantascienza, anche italiana), le accuse di “scarsa rappresentatività” mi lasciano un po’ perplesso. Certo, in Italia ci sono moltissimi autori e critici ‘professionali’ di fantascienza. Alcuni, ottimi. Se lo scopo fosse stato quello di offrire un quadro rappresentativo della fantascienza italiana, si sarebbero dovuti senz’altro coinvolgere (e si sarebbero lamentate comunque scelte ed esclusioni). Ma lo scopo può essere anche quello, forse meno ambizioso ma credo non meno interessante, di mettere semplicemente insieme persone che guardano alla fantascienza da una prospettiva un po’ diversa da quella tradizionale degli ‘addetti ai lavori’. Che magari non sono del tutto d’accordo, ad esempio, con il giudizio liquidatorio e sprezzante qui riservato a Fruttero e Lucentini, e presentato come ovvio e scontato. Negli anni ’70 e ’80 ogni fanzine, ogni circolo o collettivo aveva un proprio punto di vista. Suggerirei di pensare a questo numero di Nuovi Argomenti (e mi perdonerà Carlo Mazza Galanti per il paragone, che non vuole essere irriverente) un po’ come a una fanzine, che propone alcuni testi e alcuni punti di vista un po’ diversi da quelli abituali. Niente di più, e niente di meno.
Ultimissima osservazione. Vedo molte voci che, giustamente, si levano a ricordare i tanti nomi che hanno fatto e fanno la storia della fantascienza italiana. Fra questi nomi, anche nei thread dedicati a questo numero di Nuovi Argomenti su Facebook, compare quello di Ugo Malaguti. Malaguti è stata figura polemica, controversa, spesso (e talvolta a ragione) poco amata, ma è stata sicuramente una delle figure più rilevanti della fantascienza in Italia. Oggi Malaguti è malato, è stato operato per la seconda volta pochi giorni fa, deve essere operato nuovamente fra poche settimane, e non ha un soldo in tasca. Sarebbe bello che il mondo della fantascienza italiana riuscisse a mobilitarsi un po’ anche su questi temi, e che oltre a ricordare i nomi, fosse anche capace di aiutare un po’ le persone. In questo caso, finora ha saputo farlo molto poco. Permettetemi allora di approfittare di questa occasione per ricordare che lo si può aiutare con un bonifico sul conto corrente della Cassa di Risparmio di Ferrara intestato a UGO MALAGUTI, IBAN IT85 R 06155 02402 000000000278.
10 dicembre 2014 a 15:29
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Ringrazio Gino Roncaglia per il commento. A beneficio di tutti riporto anche il link all’altra discussione menzionata, così riusciamo a tenere traccia dei diversi fronti di questo dibattito innescato dall’ultimo numero di Nuovi Argomenti. Tra l’altro mi ritrovo a concordare su ogni singolo argomento già proposto da Silvio Sosio in quella sede, per cui cercherò di non ripetere cose già dette.
Mi permetto di approfittare del tuo intervento per rivolgerti qualche domanda, su cui comunque non mi dispiacerebbe ricevere un riscontro anche da Tommaso Pincio per l’articolo a sua firma e da Carlo Mazza Galanti per il suo ruolo di curatore dell’intera operazione.
1. E’ stato ribadito in più sedi, anche dal curatore, che l’iniziativa non ha alcuna pretesa di esaustività. E’ una ammissione onesta: realisticamente, come ho detto altrove, si sarebbe potuta scrivere una piccola enciclopedia sulla fantascienza italiana. Questo è il vostro punto di vista sul tema, insomma: F&L con il “Marziano in cattedra” da una parte (della serie: “UFO? A Lucca mai…” con quell’accento sui dischi volanti che storicamente è stato forse il primo argomento dell’uomo di paglia mai usato contro la fantascienza italiana) e Peter Kolosimo dall’altra, una figura senz’altro pittoresca e interessante, ma di certo non imprescindibile per il contributo letterario dato al genere (per altro, la sua collaborazione con Oltre il cielo mi sembra che fosse legata a una rubrica di fantarcheologia, non di certo a contributi narrativi, e fino a prova contraria NA si propone come rivista letteraria). Non pensate che la parte che viene fuori dalla rassegna presentata su NA sia quella meno rappresentativa – forse solo più folkloristica – della fantascienza italiana?
2. Contrariamente a quanto leggo in questo commento e in altre giustificazioni di Urania 451, né qui né altrove si è lamentata un’invasione di campo. Anche in maniera abbastanza sorprendente, innanzitutto per me, che solo pochi giorni fa me la prendevo con un certo attaccamento a idee e mode del passato da parte di quello che definivo provocatoriamente il “lettore riluttante” di fantascienza (meritandomi per altro gli attacchi di un certo numero di altri appassionati). Ho provato a darmene una spiegazione, e mi sono convinto che è vero, molti appassionati hanno la loro idea del genere da cui faticano a staccarsi, ma davanti a un’operazione condotta in questo modo non si sono sentiti davvero minacciati. Semplicemente, NA per molti appassionati di fantascienza è come se di fantascienza non si fosse occupata: non ha minacciato minimamente le loro convinzioni storiche su ciò che dovrebbe dire e fare il genere, né su come dovrebbe essere scritto oggi un buon racconto o un buon romanzo per essere apprezzato. Gli anticorpi non sono scattati come davanti alle proposte più controverse degli ultimi tempi (vedi alla voce “connettivismo”, anche se qui gioco in casa e non voglio in nessun modo diventare autoreferenziale). Per voi (ma in particolare per il curatore) questo significa qualcosa?
3. Fatta salva – ancora una volta – l’intenzione del curatore di proporre uno sguardo “esterno” sul genere, ma davanti a una rivista che mette insieme due saggi incentrati su un periodo ben ristretto di tempo (offrendo, per vostra stessa ammissione, un punto di vista personale sul genere) e poi una decina di racconti scritti da giovani autori solitamente estranei alla scrittura di genere, ma riuscite a spiegarmi precisamente che senso ha? Non sarebbe stato più utile a quel punto incentrare i saggi sugli autori che storicamente si sono sporcati le mani con la fantascienza pur restando esterni al genere (Primo Levi, Giorgio Manganelli, Guido Morselli, Italo Calvino, Dino Buzzati, giù fino a Tullio Avoledo e Antonio Scurati)? Oppure presentare racconti scritti da autori appartenenti al periodo storico inquadrato dai saggi? Qual era il risultato che si voleva ottenere accostando uno sguardo critico sul passato (e un certo passato in particolare, filtrato attraverso esperienze e gusti molto personali) e la promozione di autori contemporanei non di fantascienza? Quale utilità avrebbe dovuto trarne un lettore già appassionato e quale un lettore che invece si avvicina per la prima volta al genere attraverso questo lavoro?
4. Inoltre, concentrarsi su dei casi specifici (come la resistenza di F&L a una via italiana alla fantascienza e la riduzione di un’intera epoca storica alla figura di Kolosimo) senza considerare minimamente il dibattito critico e gli effetti del loro lavoro prodotto nei decenni successivi, con un filo rosso che di fatto arriva fino a noi, oggi (da una parte l’istituzione del Premio Urania da parte della Mondadori proprio per scoprire e valorizzare i talenti italiani, dall’altra tutta la ghettizzazione operata dalla cultura alta, dalla critica mainstream e dai settori accademici sulla fantascienza, vista appunto come la “narrativa dei dischi volanti e degli omini verdi”), non vi sembra un approccio anti-storico?
5. Infine, questa è rivolta esplicitamente a Tommaso Pincio: ma come si fa a sostenere che Italo Calvino ha visto nella fantascienza “un genere veramente minore” (qui il suo articolo), quando ha sempre rivendicato il ruolo di una letteratura aperta alla complessità, consapevole dei nuovi conflitti, di “nuove situazioni esistenziali”, inclusiva e ispirata dal ruolo mitopoietico della scienza? Un punto di vista che mi sembra molto più vicino alla realtà dei fatti è quello espresso da Salvatore Proietti, prima su Robot e poi su Next Station.
Grazie per le risposte che vorrete darmi.
10 dicembre 2014 a 17:07
Roberto Kriscak
dall’intervento di Roncaglia :”…E non è davvero un caso che Kolosimo scrivesse regolarmente su ‘Oltre il cielo’…” – Kolosimo ha scritto per Oltre il Cielo una sola volta un racconto di una pagina e mezza – “Barbastregatti a capodanno” (n 51, 1959) – un ‘imprecisione può anche capitare ma poi segue un paragrafo sul fatto che Kolosimo e Oltre al Cielo hanno aperto la strada a quegli autori italiani “di ben altra levatura” che SONO VENUTI DOPO e si cita una meritoria triade con Catani, Curtoni (ok sono venuti dopo ma mica tanto, Catani esordisce nel 62) e ALDANI !!!! che su Oltre il Cielo avrà pubblicato almeno 30 racconti…
10 dicembre 2014 a 18:30
Gino Roncaglia
@Kriscak: non è vero, basta controllare il Vegetti per verificare che Kolosimo ha scritto per “Oltre il cielo” non uno, ma complessivamente ben 12 pezzi.
Come dici, “una imprecisione può anche capitare”, ma poi mi attribuisci anche la tesi secondo cui Kolosimo “ha aperto la strada” ad altri autori italiani. Sarebbe una bestialità – anche perché, ribadisco, Kolosimo non è mai stato importante come autore di fantascienza – e non l’ho mai scritto.
Ho scritto invece una cosa ben diversa: “Kolosimo ha avuto un ruolo di assoluto rililevo in un mondo che all’epoca era percepito da molti lettori (e dallo stesso Kolosimo: basta guardare le note dei suoi libri) come in qualche misura ‘vicino’ a quello della fantascienza. Molti lettori hanno scoperto Urania sui libri di Kolosimo. E non è davvero un caso che Kolosimo scrivesse regolarmente su ‘Oltre il cielo’. Chi sottovaluta il ruolo che ‘Oltre il cielo’ (che all’epoca, ebbene sì, parlava anche di UFO!) ebbe in quegli anni, forse non sa poi tanto bene cos’era la fantascienza in Italia alla fine degli anni ’50 e all’inizio degli anni ’60. Quasi tutti gli autori ‘validi’ di fantascienza italiana (comunque si interpreti il giudizio) sono venuti dopo… ma non sono nati dal nulla.”
La frase vuole appunto sottolineare che una esperienza come quella di “Oltre il cielo” ha visto insieme autori non (primariamente) di fantascienza come Kolosimo e autori di fantascienza come Aldani – che, appunto, non nascono dal nulla ma da un ambiente in cui Kolosimo e perfino gil UFO erano presenti eccome. Questo non vuol certo dire che Kolosimo ha “aperto la strada” ad Aldani e ai tanti autori di fantascienza italiana venuti dopo: vuol dire che l’ambiente di Oltre il cielo era quello, e in quegli anni è stato importante, e quel che c’è stato dopo nasce anche da quell’ambiente.
10 dicembre 2014 a 19:11
Gino Roncaglia
La maggior parte delle domande riguarda in realtà Carlo: a me è stato chiesto un contributo, e l’ho scritto volentieri. Ma provo a dire qualcosa, dal mio personale punto di vista:
1) proprio perché non c’è mai stata (e non è neanche mai stata prospettata) nessuna pretesa di esaustività o l’idea di costruire storie o enciclopedie, i due articoli che citi – quello di Pincio e il mio – sono stati scritti in maniera del tutto indipendente e, molto semplicemente, offrono spunti su singoli temi che Pincio (per il suo articolo) e io (per il mio) trovavamo di un qualche interesse. Tutto qui. Lungi da me (o da noi) l’idea ridicola di ridurre la fantascienza italiana a F&L+Kolosimo (peraltro, io accenno a Kolosimo in mezza pagina su nove, non mi pare si possa sensatamente dire che il mio intervento è su Kolosimo; quel che contesto è che quell’accenno sia totalmente indebito e fuorviante per chi parla del mondo della fantascienza italiana di quegli anni).
2) Personalmente non ho mai usato il termine “invasione di campo”, e non direi che sia lamentata una invasione di campo: quel che trovo sono delle critiche sicuramente legittime, ma che mi sembra non tengano conto della natura del fascicolo di NA: nessuna storia della fantascienza italiana, nessuna enciclopedia, nessuna pretesa di fornire un punto di vista esaustivo o anche solo coerente. Più semplicemente, una raccolta di interventi – per lo più narrativi – da parte di autori che frequentano il mondo della fantascienza “da una prospettiva un po’ diversa da quella tradizionale degli ‘addetti ai lavori’”. Non è una “giustificazione”, perché mi pare non ci sia nulla da giustificare. Altre operazioni editoriali sarebbero sicuramente interessanti, e probablimente alcune sarebbero *più* interessanti: nessuno vieta di farle.
3) “riuscite a spiegarmi precisamente che senso ha?” Personalmente, trovo che raccogliere contributi di persone che, pur non occupandosi professionalmente di fantascienza, partecipano al dibattito culturale e letterario italiano di oggi e guardano alla fantascienza con interesse, un senso lo abbia, e sia anche una testimonianza interessante della vitalità della fantascienza come genere letterario. Certo, se si ritiene che la maggior parte dei racconti e contributi raccolti siano di basso livello o interesse, il risultato sarà deludente. Se si ritiene che alcuni di quei testi siano interessanti, il senso dell’operazione è maggiore. Come davanti a qualunque lavoro editoriale, il giudizio è libero e non pretendo certo di darlo io. Le altre operazioni editoriali che proponi sono certo potenzialmente interessanti, ma sono appunto *altre* operazioni editoriali: se si fanno, sono più che benvenute.
4) Di nuovo, “la riduzione di un’intera epoca storica alla figura di Kolosimo”. Ma quando mai? Sarebbe una bestialità. Che non ho *mai* sostenuto. Che poi l’approccio del fascicolo di NA sia anti-storico è verissimo. O meglio: semplicemente, non è un approccio storico. E non ha mai preteso di esserlo. Ribadisco nuovamente: il mio articolo propone delle “note” sulla fantascienza italiana degli anni ’60 e ’70. Non è una storia della fantascienza italiana, e neanche della fantascienza italiana di quegli anni. Non è, e non vuole essere esaustivo. Sennò, con nove pagine a disposizione, semplicemente avrei rinunciato a scriverlo.
10 dicembre 2014 a 22:07
Roberto Kriscak
STRANGER THAN FICTION
per Gino Roncaglia
“Noi abbiamo bisogno di un passato visibile, di un continuum visibile, di un mito originario visibile per rassicurarci a proposito dei nostri fini ultimi, dal momento che ultimamente non ci crediamo più”
― Jean Baudrillard, Simulations (Semiotext)
Ovviamente io mi riferivo alla produzione narrativa di “fiction” di Pier Domenico Colosimo, in arte Peter con la K alias Jim Omega (con quest’ultimo pseudonimo firmò il suo unico romanzo di sf sull’intrepida rivistina “I Narratori dell’Alfa-Tau” nel 1957 dal titolo “Fronte del Sole”).(sempre fonte Vegetti, per la precisione).
Quel prode lussemburghese di nome Hugo Gernsback si peritò di chiamare questo genere letterario (“The Dreams Our Stuff Is Made Of”, La roba di cui sono fatti i nostri sogni, bellissima storia della sf di Thomas M. Disch) appunto Science-fiction e poi venne chiamata così in tutto il mondo (a parte che in Italia, e qui noi facciamo sempre gli originali, e arrivò nel 1952 Mr.
Monicelli ad inventarsi il neologismo “Fantascienza” che solo noi usiamo – bello, anche più bello di quello di Hugo, solo che vai a perdere un po’ la “fiction”).
E anche oggi quelli della tv che, siccome han paura di sembrare out of date, non hanno più il coraggio di chiamarli “sceneggiati” (non so se vi ricordate “A come Andromeda”, che fu sceneggiato dall’ottimo Inisero Cremaschi) proprio non ce la fanno a trovare un termine meno orrido di “fiction”.
Quand’ero ragazzino (anni 70) passavo ore a casa di mio zio che era abbonato ad Urania e la cosa che mi attraeva di più erano sicuramente le pazzesche copertine di quel genio di Karel Thole e ne lessi un bel po.
Un giorno notai sullo scaffale più in basso messo in un angolo una copia di “Non è Terrestre” di Kolosimo, ne lessi 40 pagine e lo trovai anche divertente (avevo 12 anni) con le storie delle astronavi e piramidi, di Machu Pichu, Mu, Atlantide, Lemuria; mancavano forse solo i cerchi nel grano e l’area 52.
Ma qualcosa non mi tornava, perchè l’avevano messo li in disparte?
E allora chiesi – Zio, ma questa è fantascienza? –
Lo zio Luciano : “Ma no, xe tute bale (son tutte palle), ho sbagliato a comprarlo, lo devo rivendere anzi se vuoi te lo regalo”.
Andai alle bancarelle in Citavecia a Trieste e riuscì a scambiarlo per un meraviglioso “Le Spirali del Tempo” di Chad Oliver (a proposito di fantarcheologia antropologica) vecchio e sgualcito senza copertina e dopo averlo letto mi resi conto che era molto più bello e ne fui molto soddisfatto.
Anni dopo, spulciando tra i vecchi pulp USA, venni a conoscere la storia pazzesca di questo individuo : Richard Sharpe Shaver (il Kolosimo americano?) uno che finì i suoi giorni internato in manicomio, che nel 1947 aveva pubblicato un famoso racconto “I remember Lemuria” (inedito in italiano) sulla vecchia “Amazing Stories” (negli anni 20 era stata la rivista di
Hugo Gernsback, sempre lui – nei 20 era stata all’avanguardia, ma nel 47 se la passava male perchè la concorrente “Astounding” aveva tirato fuori un nuovo tipo di sf più credibile e più scientifica di quella, ingenua e sfolgorante, degli esordi e aveva scoperto dei nuovi giovani scrittori come Asimov, Heinlein, Bradbury, Clarke – per Amazing le vendite erano in calo ed il nuovo direttore Ray Palmer doveva escogitare qualcosa)
E allora avevano pubblicato questo “I Remember Lemuria” di Shaver, dopo che nei numeri precedenti lo stesso Shaver nella rubrica della Posta al direttore aveva mandato una serie di missive deliranti dove sosteneva di aver rinvenuto degli antichissimi papiri scritti in un linguaggio antico chiamato “Mantong”, e che, via via, lui andava decifrando e traducendo.
E sosteneva disperatamente che vi erano contenute delle informazioni incredibili sull’origine extraterrestre dell’umanità, sul suo destino futuro affidato all’intelligenza superiore dei Mantong.
Le lettere crearono una attesa spasmodica.
Il racconto doveva essere il disvelamento di tutti i segreti ed in effetti Shaver produsse una storia-reportage divertente (oggi magari, alla Giacobbo – un nipotino di Peter K?- la definiremmo “docu-fiction”) con tanto di Continenti scomparsi, antichi reperti egizi rinvenuti a Lemuria, città subacquee, e simboli e alfabeti perduti.
Solo che Palmer piazzò quel pezzo non come “fiction” ma come articolo divulgativo. Quel numero andò a ruba ma in seguito un sacco di lettori si credettero raggirati e fioccarono le disdette degli abbonamenti. Famosa fu la lettera di un giovanissimo e furente Harlan Ellison che smontò minuziosamente i deliri di Shaver. Shaver però a quelle cose ci credeva davvero ed in seguito gli fu diagnosticata una forma acuta di schizofrenia bipolare.
Certo anche Kolosimo giocava con il concetto di vero e di falso, con la nozione di fiction, ti scambiava il significato con il significante come se fosse il gioco delle tre carte,le sue panzane erano talmente ben costruite ed avevano una pervenza di “realismo” degna dell’ET di Rambaldi.
E’ stato lui il motore propedeutico alla fantascienza nell’Italietta del boom economico?
O piuttosto gli sferici protagonisti carosellari del pianeta Papalla (della agenzia Armando Testa) o “Il Marziano a Roma” di Ennio Flaiano versione Alberto Sordi o Jerry Lewis doppiato da Carletto Romano ne “Un Marziano sulla Terra”, o Jane Fonda con la tutina aderente di Barbarella o i fumetti con i super-eroi americani o Laika e Yuri Gagarin dal tubo catodico, oppure gli omini Michelin che svettavano vicino ai distributori, oppure le mostruose
torri degli impianti chimici che venivano edificati intorno alle fabbriche che sembravano i tripodi di HGWells…forse, ma anche no…
10 dicembre 2014 a 23:08
Gino Roncaglia
Conosco la storia di Kolosimo, e concordo sul fatto che sia un personaggio per molti versi curioso e interessante (per qualcuno, anche possibile spia della Germania Est…). Però nella nostra discussione facciamo pochi passi avanti se mi continui a far dire cose che non ho mai detto né scritto :-)
Scrivi “Ovviamente io mi riferivo alla produzione di fiction”. Ma io nell’articolo parlavo invece esplicitamente della sua produzione di “archeologia misteriosa”, quella che – appunto – c’era su “Oltre il cielo”. E scrivevo – appunto – che su “Oltre il cielo” accanto alla prima fantascienza italiana c’era anche *questo* Kolosimo. Mi pare che quel che scrivi lo confermi in pieno.
Anch’io ero ragazzo in quegli anni: posso testimoniare che i libri di Kolosimo non erano presenti assieme a quelli di fantascienza solo nella libreria di tuo nonno. Un appassionato imparava presto a distinguere la fantascienza dalla (a suo modo anche fascinosa) paccottiglia archeospaziale: l’ha fatto tuo nono, l’hai fatto tu, l’ho fatto anch’io. L’iniziazione alla fantascienza passava anche per la scoperta che la fantascienza NON era quello, era cosa diversa e più varia e molto più interessante. Ma serviva imparare a distinguere proprio perché molto spesso – su ‘Oltre il cielo’, nelle edicole, nelle botteghe dell’usato in cui cercavamo fantascienza – trovavamo l’una e l’altra. L'”ho sbagliato a comprarlo” di tuo nonno è meravigliosamente rivelatore. Lo scambio che fai fra il libro di Kolosimo e quello di Chad Oliver anche. E – ripeto – quello che ho scritto (in due paragrafi di un articolo di nove pagine, che ora nei vostri interventi sembra tutto dedicato a Kolosimo…) è esattamente questo.
Ovviamente, non ho mai detto ne scritto (né pensato) che sia “stato lui il motore propedeutico alla fantascienza nell’Italietta del boom economico”. Sarebbe una colossale stupidaggine, e sarei veramente grato se smetteste di mettermi in bocca – in varie declinazioni – questa tesi assurda: nell’articolo (basta leggerlo per rendersene conto) non dico nulla di neanche lontanamente simile. Ma far finta che Kolosimo non abbia mai scritto su ‘Oltre il cielo’, e che nell’immaginario di tanti lettori (e nei molto concreti fascicoli di quella rivista) i due mondi non fossero all’epoca in qualche misura collegati, sarebbe, a mio avviso, altrettanto miope.
Una curiosità: il primo tema su cui avevo pensato di scrivere il mio pezzo (a riprova dell’assenza di qualunque proposito di esaustività) era proprio la versione di Cremaschi di “A come Andromeda”: se avessi voluto dare un quadro completo anche solo di quel periodo, e non proporre solo alcune “note” fra le molte possibili (come era credo obbligatorio fare avendo solo quelle poche pagine a disposizione), ne avrei dovuto parlare assolutamente. Non l’ho fatto proprio perché mi dispiaceva relegarlo a poche frasi, e perché avrebbe introdotto un discorso più articolato e complesso – ma difficile da far entrare nei limiti di spazio che avevamo – sulla percezione, anche in Italia, del rapporto fra scienza e fantascienza. La fortuna italiana della produzione sia letteraria sia scientifica di Fred Hoyle avrebbe meritato una nota a sé. Per fare solo un esempio marginale, c’è un elemento interessante nel passaggio dalla prima edizione de “La nuvola nera” (in una collana rilegata Feltrinelli priva di particolari connotazioni fantascientifiche) e di “A come Andromeda” alle seconde edizioni economiche e con copertine illustrate della stessa “Nuvola nera”, di “Quinto pianeta” (1967: nelle migliori tradizioni, avvenente astronauta con casco e tuta rivelatrice) e di “A come Andromeda” (1971: copertina bianca con Nicoletta Rizzi nel ruolo di Andromeda).
10 dicembre 2014 a 23:13
Gino Roncaglia
(sorry, ho scritto “nonno” mentre tu parli di tuo zio: interferenza con la storia di un amico che mi raccontava di avere anche lui incontrato – di nuovo, non casualmente – sia la fantascienza sia Kolosimo nella libreria del nonno.)
11 dicembre 2014 a 01:14
X
@ Gino Roncaglia: grazie per le tue risposte. A cui rispondo nel merito:
1. Lungi da me (o da noi) l’idea ridicola di ridurre la fantascienza italiana a F&L+Kolosimo (peraltro, io accenno a Kolosimo in mezza pagina su nove, non mi pare si possa sensatamente dire che il mio intervento è su Kolosimo; quel che contesto è che quell’accenno sia totalmente indebito e fuorviante per chi parla del mondo della fantascienza italiana di quegli anni).
Ottimo! Però converrai che se l’unico – o uno dei pochissimi – nomi citati per presentare il panorama fantascientifico di quegli anni è Kolosimo emerge un quadro quanto meno distorto di ciò che era la fantascienza del periodo. Anche solo due paragrafi per Kolosimo comportano come minimo un numero a parte della rivista interamente dedicato a Galassia (di Ugo Malaguti, che giustamente citi, ma anche di Rambelli, Curtoni & Montanari) e magari un terzo numero dedicato a Robot e alle riviste. Tu dici che la fantascienza di quegli anni era contigua alle fantabubbole di Kolosimo. E’ una posizione legittima. Ma della fantascienza di quegli anni, di Robot nelle edicole, di Galassia, di Urania che malgrado F&L (anche noti per aver regalato al pubblico italiano la lista della spesa di Ron Goulart e versioni condensate di romanzi di ben altro spessore) riusciva comunque a far arrivare ai lettori italiani Ballard e Lovecraft, del lavoro dell’Editrice Nord… si è parlato? E non sarebbe stato – ancora una volta – di ben altro interesse concentrarci invece su questo, piuttosto che anche solo menzionare di striscio una figura marginale del panorama SF?
2. […] quel che trovo sono delle critiche sicuramente legittime, ma che mi sembra non tengano conto della natura del fascicolo di NA: nessuna storia della fantascienza italiana, nessuna enciclopedia, nessuna pretesa di fornire un punto di vista esaustivo o anche solo coerente. Più semplicemente, una raccolta di interventi – per lo più narrativi – da parte di autori che frequentano il mondo della fantascienza “da una prospettiva un po’ diversa da quella tradizionale degli ‘addetti ai lavori’”
Ma perché ignorare totalmente qualsiasi conoscitore del settore? Ecco, è questo che in tanti continuiamo a chiederci e a non capire. Ed è una domanda a cui so bene che non puoi rispondere. Perché anche se volessimo fermarci solo al coordinamento degli articoli, per limitare i danni, sarebbe bastato che il curatore si consultasse con qualcuno che conosce la materia. Esperti riconosciuti, intendo… che invece sono stati tranquillamente ignorati. Se permetti, a scapito dei lettori.
Altre operazioni editoriali sarebbero sicuramente interessanti, e probablimente alcune sarebbero *più* interessanti: nessuno vieta di farle.
Be’, certo. Però Nuovi Argomenti ha deciso di fare questa operazione e qui di questo stiamo parlando. Anche perché prima che la stessa rivisita si decida ad affrontare nuovamente il tema potrebbero volerci altri 60 anni. Ma, anche se la fantascienza ci ammonisce anche sugli effetti che il presente produrrà sul nostro futuro e spesso e volentieri si premura di demolire la fede cieca e le false speranze, la speranza resta sempre l’ultima a morire.
3. Personalmente, trovo che raccogliere contributi di persone che, pur non occupandosi professionalmente di fantascienza, partecipano al dibattito culturale e letterario italiano di oggi e guardano alla fantascienza con interesse, un senso lo abbia, e sia anche una testimonianza interessante della vitalità della fantascienza come genere letterario.
Certo, ma è gente che prima d’ora ha fatto anche solo un mezzo intervento in merito al dibattito culturale e letterario in corso in seno alla fantascienza? Ci sarà sicuramente qualcuno nel novero dei collaboratori che ogni tanto capita su Fantascienza.com… Ma quanti di voi prima d’ora si sono sentiti in dovere di scomodarsi per entrare in uno solo dei dibattiti in corso (bioetica e transumanismo, ghettizzazione dei generi, contrapposizione tra visione ottimista e visione pessimista del futuro, etc.)? Se lo spirito era di partecipare e coinvolgere in un dibattito più ampio, non è che facendo in questo modo si è invece prodotto l’effetto opposto, dando l’impressione di voler pontificare su qualcosa da cui fino al giorno prima si faceva bene attenzione a mantenere le distanze?
4. Di nuovo, “la riduzione di un’intera epoca storica alla figura di Kolosimo”. Ma quando mai? Sarebbe una bestialità. Che non ho *mai* sostenuto.
Sono lieto di leggerlo. Ma le semplificazioni eccessive e arbitrarie comportano il rischio di conclusioni eccessivamente semplicistiche e arbitrarie.
Che poi l’approccio del fascicolo di NA sia anti-storico è verissimo. O meglio: semplicemente, non è un approccio storico. E non ha mai preteso di esserlo. Ribadisco nuovamente: il mio articolo propone delle “note” sulla fantascienza italiana degli anni ’60 e ’70. Non è una storia della fantascienza italiana, e neanche della fantascienza italiana di quegli anni. Non è, e non vuole essere esaustivo. Sennò, con nove pagine a disposizione, semplicemente avrei rinunciato a scriverlo.
Quindi, se ho capito bene, chiunque può ritrovarsi all’improvviso con i titoli richiesti per pubblicare su questa rivista. Magari senza neppure saperlo, purché si attenga a un approccio non esaustivo e non necessariamente storico. E vale sempre o solo quando c’è Carlo Mazza Galanti come curatore? Magari possono esserci altri interessati che ci leggono, così ci regoliamo e sappiamo a chi sottoporre il materiale. Calibrando gli sforzi per non sembrare troppo “specialistici”, troppo “settoriali”. Magari se ci venissero prospettati argomenti a cui siamo per lo più estranei potremmo riuscire a ottenere un prodotto altrettanto valido di questo numero.
11 dicembre 2014 a 21:07
Gino Roncaglia
Continuiamo temo a girare intorno alle stesse questioni, ma senza capirci:
1. ” converrai che se l’unico – o uno dei pochissimi – nomi citati per presentare il panorama fantascientifico di quegli anni è Kolosimo emerge un quadro quanto meno distorto di ciò che era la fantascienza del periodo”: ripeto per l’ennesima volta: il mio scopo, come dice chiaramente il titolo e come si evince chiaramente dal contenuto, *NON*, dicesi **NON** era “presentare il panorama fantascientifico di quegli anni”, ma offrire alcune *NOTE* su alcuni aspetti di quel panorama. Rispetto ai temi che affrontavo, quel riferimento a Kolosimo (marginale, ma divenuto apparentemente e misteriosamente il cuore del mio articolo) era funzionale. Se avessi voluto presentare in maniera anche solo minimamente esauriente il panorama fantascientifico di quegli anni, avrei avuto bisogno di molte più pagine, e avrei dovuto fare un’infinità di nomi che mancano: non solo autori di fantascienza, ma anche registi, autori e critici mainstream che in varie forme hanno parlato di fantascienza (ad esempio, Sergio Solmi), e così via. La forma-saggio rappresentata dalle ‘note’ serve proprio a dichiarare fin dal titolo che non si pretende esaustività, e si intende fornire solo alcuni spunti auspicabilmente interessanti (e se non sono considerati interessanti, amen). L’ho detto ormai in mille modi, ma vedo che il concetto non passa.
Sul resto, è meglio che – se ritiene – risponda il curatore. Continuo personalmente a non capire perché, fra i tanti modi possibili per parlare di fantascienza, non debba essere considerato legittimo – in particolare da parte di una rivista non di settore come NA – anche quello di chiedere a persone attive e presenti nel panorama culturale italiano, ma che non si occupano professionalmente di fantascienza, di confrontarsi su tematiche fantascientifiche. Ma a quanto pare anche questo concetto non passa, o non è accettato. Anche qui, a questo punto, amen.
Giusto un inciso: si rimprovera a chi ha contribuito a quel numero di NA di essere “gente che prima d’ora [non] ha fatto anche solo un mezzo intervento in merito al dibattito culturale e letterario in corso in seno alla fantascienza”. Non so bene cosa voglia dire “in seno alla fantascienza”, ma contesto con decisione l’idea che per parlare (e pubblicare) di e/o intorno alla fantascienza si debba necessariamente passare da una sorta di ‘hortus conclusus’ di addetti ai lavori e di Sedi Ufficialmente Accettate. Personalmente (per fare un esempio che conosco :-) ho parlato lungamente di fantascienza (parlando anche di alcuni testi assai poco conosciuti da noi, come “Cyberbooks” di Ben Bova) nel volume “La quarta rivoluzione”, perché mi interessava confrontare l’evoluzione del libro elettronico con l’immaginario che intorno alle possibili evoluzioni del libro e della forma-libro aveva sviluppato la fantascienza. Non avrei dovuto farlo senza prima almeno un intervento “nel dibattito in corso in seno alla fantascienza”? E perché mai? (incidentalmente, in tempi ormai assai lontani e in sedi evidentemente troppo ‘fanzinare’ per essere ricordate o conosciute, qualche intervento l’ho anche fatto: ma questo è totalmente irrilevante).
Per fare un altro esempio che mi è familiare, esistono (in particolare negli States) fior di filosofi che pubblicano fior di libri e articoli in cui si discute di fantascienza e filosofia: potrei citare decine di titoli. Molti di loro non hanno mai pubblicato nel mondo del fandom o dell’editoria fantascientifica professionale, ma in quei libri e in quegli articoli ci sono idee e punti di vista sulla fantascienza che molti professionisti del settore non farebbero affatto male a conoscere (e che talvolta, fortunatamente, conoscono).
12 dicembre 2014 a 00:12
X
Non mi è del tutto chiaro il tuo intervento, ma la risposta all’unica parte che ho capito l’ho già data. Non vedo nessun problema che critici, filosofi, autori, etc. solitamente estranei al genere affrontino tematiche fantascientifiche, riprendano riferimenti fantascientifici e se lo credono facciano anche riflessioni sulla storia della fantascienza nei loro lavori. Autori come Tullio Avoledo e Laura Pugno, per citarne solo un paio, hanno scritto romanzi di fantascienza e di confine che sono tenuti in altissima considerazione dagli appassionati di fantascienza: lo merita la qualità delle loro opere.
Trovo singolare invece l’idea che un numero monografico di una rivista letteraria, un numero speciale dichiaratamente incentrato sulla fantascienza, possa decidere di fare a meno del contributo anche minimo di un esperto di letteratura fantascientifica. E uso volutamente il singolare e non il plurale, pur consapevole che di eccellenze nel campo ce ne sono invece diverse.
Mi piacerebbe sapere se in passato Nuovi Argomenti ha adottato lo stesso approccio verso altri argomenti: chessò, un numero sulla poesia senza un solo contributo da parte di un poeta o di un critico letterario esperto di poesia, oppure uno speciale su Alberto Moravia con contributi esclusivamente di autori e critici che non avessero mai scritto – e possibilmente letto – una riga di Moravia.
12 dicembre 2014 a 00:52
Gino Roncaglia
Per quel che mi poteva vagamente riguardare ho provato a rispondere. Evidentemente con scarso successo, se la mia risposta non ti è chiara. Ma dopo aver cercato di formularla in tutti i modi possibili, mi arrendo. Prendo atto che “critici, filosofi, autori, etc. solitamente estranei al genere” possono sì affrontare tematiche fantascientifiche (meno male…), ma devono farlo o da soli, o accompagnati da un adulto. Se lo fanno in gruppo, senza almeno un accompagnatore e – non sia mai – sul fascicolo di una rivista, non vale :-)
Mi taccio (anche perché confesso che la voglia di occuparmi ogni tanto anche un po’ di fantascienza – considerando che ne leggo da sempre e a iosa, e che in fondo professionalmente mi occupo di libri e di testi, non di biologia molecolare – a questo punto mi è abbastanza passata).
12 dicembre 2014 a 01:08
X
Invece non hai risposto a quasi niente, inclusa l’ultima questione, che ti ho ribadito in un paio di salse diverse. E non l’hai fatto non perché non potessi o non avessi voglia, ma perché non esiste una risposta diversa da quella che tutti già conosciamo, che quindi avrebbe svelato la mistificazione che avete voluto costruire e in cui magari qualcuno di voi ha pure cominciato – in buona fede – a credere.
12 dicembre 2014 a 03:08
Roberto Kriscak
Gino Roncaglia
su molte cose siamo anche d’accordo – sull’agente Kolosimo
solo parzialmente. (cioè penso che in qualche modo ha avuto
un’influenza culturale anche da prendere in considerazione, ma
non proprio un’influenza strettamente letteraria, e tu mi
dirai giustamente che le cose sono connesse, ma bisogna vedere
quanto e come….discorso lungo).
E poi certo le interferenze benevole dei nostri zii e nonni
(io peraltro devo al tuo, di nonno, il fatto di aver capito un
po di più del mondo dell’opera lirica attraverso i suoi
preziosi libri durante i miei anni damsiani…).
Ad ogni modo mi riservo di risponderti più dettagliatamente
(se ti interesserà) quando riuscirò a leggere il tuo saggio
nei prossimi giorni e non come finora, solo per interposta
persona (cosa non certo corretta).
(PS – Inisero Cremaschi era un poeta e un fine letterato, non
proprio uno del fandom, ma credeva nelle possibilità creative
ed intrinseche proprie del genere sf con convinzione. Ebbi
modo di passare un bel pomeriggio di discussione accesa e
cortese con lui ed era sicuro che anche con la lingua italiana
le fantasie scientifiche potessero trovarsi a loro agio.
Compilò con grande perizia negli anni 70 due notevoli
antologie “Futuro” per la Nord ed “Universo e Dintorni” per
Garzanti.)
12 dicembre 2014 a 17:02
Gino Roncaglia
@Kriscak: mi fa piacere che su molte cose siamo comunque d’accordo; per chiudere il discorso su Kolosimo, anch’io non credo affatto (e – come vedrai se leggerai l’articolo – non ho mai scritto) che abbia avuto una infuenza strettamente letteraria: il breve riferimento era proprio all’ambiente culturale (cito dall’articolo: “(…) tutti testi di scarsa o nulla attendibilità, ma che si mescolavano con la fantascienza e con le cronache quotidiane e popolari dell’avventura spaziale americana nel costruire un immaginario collettivo assai poco rigoroso e nel contempo non completamente e non unicamente fantastico”. E’ solo in questo senso, e solo relativamente alla fortuna presso una parte del pubblico (parlo infatti di fortuna, non di infussi letterari diretti), che credo che questi ambiti, sicuramente assai diversi ma tutti in qualche misura narrativi (giacché era narrazione la fantascienza, ma lo era anche almeno in parte il racconto quotidiano dell’avventura spaziale, e lo era assai largamente l”archeologia misteriosa” di Kolosimo & C – anche se ovviamente si tratta di tipologie di narrazione diverse), siano stati in qualche misura connessi. E’ una tesi credo assai lontana da quelle assurde che mi sono state messe in bocca, e che nell’articolo non ci sono affatto.
Mi fa naturalmente piacere anche il riferimento a mio nonno. Che io sappia non ha mai letto fantascienza, ma amava anche lui le invasioni di campo, dato che aveva cominciato come professore di scienze naturali (aveva scritto un libro di testo di biologia, e articoli di geologia e vulcanologia, e in gioventù era stato assistente all’Osservatorio di Modena) per approdare poi alla musicologia. La scoperta della fantascienza personalmente la debbo ad alcuni libri di mio fratello (dei quali mi sono da tempo appropriato): “La nuvola nera”, appunto, che per me resta un capolavoro del genere nonostante le altre incursioni fantascientifiche di Fred Hoyle (con la parziale eccezione di “October the first is too late” e appunto di “A for Andromeda”) siano assai mediocri, e diversi volumi della mitica serie di juvenilia de ‘La Sorgente’, soprattutto “Destinazione terra” di E.C. Eliott (era lo pseudonimo di Reginald Alec Martin, confesso di essere andato di recente – pura nostalgia – a cercarmi in rete gli altri volumi della serie su Kemlo…) e “pionieri dello spazio” di Heinlein.
Ho tutte e due le antologie curate da Cremaschi che citi. Era stato co-curatore anche de “I labirinti del terzo pianeta”, credo la prima raccolta di racconti italiani che ho letto. Ho anche i numeri 2, 3 e 4 de “La Collina”. Sono sicuro di aver avuto anche il n. 1, ricordo bene la copertina, ma non lo trovo più, spero sia perso da qualche parte in libreria…
20 gennaio 2015 a 20:01
Cenobita
ho sentito del numero oggi a Radio 3. Azzardo una spiegazione che a molti non piacerà: se il tizio che ha curato l’antologia ha ignorato la SF italiana è perché non l’ha vista. E se non l’ha vista è perché la SF italiana ormai è – diciamocelo – scomparsa nel nulla. Microtribù rissose, qualità infima, movimenti letterari senza impatto o aderenza. Totale incapacità di essere presente nell’editoria e nei luoghi del dibattito letterario vero. Facile fare gli umiliati e offesi. Meno facile rilanciare un genere, una piattaforma di dibattito, di critica e selezione serie.
E sì che le case editrici esisterebbero, non solo Nord e Mondadori… vedi Multiplayer che fa delle belle tirature ormai.
20 gennaio 2015 a 21:33
X
Cenobita, grazie per il tuo intervento. Abbiamo punti di vista diversi sull’argomento, e non mi dilungo per non ripetermi. A smentirti sono le stesse parole del curatore di “Urania 451”, che a Fahrenheit ha ammesso di aver voluto rivolgersi ad autori esterni al settore perché quello che a lui premeva era un approccio letterario. Quindi che esistessero autori italiani di fantascienza non l’ha scoperto dopo l’uscita del suo lavoro, tanto più che Nuovi Argomenti condivide l’editore con una certa Urania richiamata fin dal titolo del numero. Sulla letterarietà di tutti i racconti non mi esprimo, non avendoli letti, ma il racconto che si trova in rete (per inciso dell’altro ospite della puntata) di “portato letterario” – come piace chiamarlo a chi si diletta con letture più alte – non mi sembra ne abbia molto. Saremo incapaci, facili all’offesa e quello che ti pare, ma almeno un grande romanzo la fantascienza italiana di questi anni lo ha prodotto (vedi Il Quinto Principio alla voce Vittorio Catani, ma potremmo continuare con i lavori di Dario Tonani, a quanto pare più apprezzati in Giappone che in Italia), e di esiti di una certa qualità ce ne sono stati, se abbiamo attirato l’attenzione di studiosi d’oltreoceano. Poi, che ci sia un problema di visibilità, è assodato: ma non è che lo si risolve mettendosi a ballare nudi con una penna di pavone infilata su per il deretano, perché per guadagnare visibilità non bastano né l’estrosità né il merito, che per me è ampiamente dimostrato, ma ci vuole anche l’attenzione da parte della critica non di settore, della stampa che garantisca una copertura delle uscite, di qualche casa editrice che decida di puntare su titoli da libreria come accade per altri generi contigui e comunque in crisi (senza dimenticare, per valutarne lo stato di salute, che la fantascienza si è sempre fondata sui titoli da catalogo e quasi mai sui bestseller). Ma se il tuo modello di rilancio sono la Nord (che ormai è un ricordo glorioso) e Multiplayer (tanta volontà, non lo discuto, ma dalla continuità quanto meno ondivaga), amen… viviamo su due pianeti diversi.
1 luglio 2020 a 00:00
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[…] se non quando la fantascienza è il pretesto per allenare la consolidata virtù italica del velleitarismo coloniale), è il momento del Millemondi dell’estate 2020: […]
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[…] simili, ma mi limito a citare il più eclatante, che non più di sei anni fa coinvolse la rivista Nuovi Argomenti con un numero incentrato su una percezione della fantascienza italiana alquanto distorta e […]